Liana Milella, la Repubblica 14/4/2013, 14 aprile 2013
CASSAZIONE, NELLA CORSA AL VERTICE UNA TOGA CHE ANDÒ A CENA DA PREVITI
ROMA — Venerdì appena passato è corso un brivido al Csm nel leggere l’intervista a Repubblica di Berlusconi. Laddove parla della Suprema corte e dice: «Alla fine ci sono gli integerrimi giudici della Cassazione che mi hanno sempre assolto. Un giudice a Berlino l’ho sempre trovato». All’improvviso, sulla nomina del primo presidente della Corte che il Csm deve fare entro i primi giorni di maggio, s’è acceso un potente riflettore. C’è
chi si è chiesto se le parole di Berlusconi, che deve fare i conti con l’esito di ben tre processi, fossero un caso o un segnale ben preciso visto che, neanche a farlo apposta, la prossima settimana sarà decisiva per il primo voto. È vero che avviene in commissione e poi ci sarà il plenum, ma quel passaggio conta molto e lì ecco che spunta, come probabile vincitore, giusto un magistrato che nel suo passato conta una frequentazione, documentata nei processi Sme e Imi-Sir, con Cesare Previti. È Giorgio Santacroce, attuale presidente della Corte d’appello di Roma, sponsorizzato da Unicost, da Magistratura indipendente, dai laici del centrodestra. Lui, un penalista, batterebbe due civilisti, Gabriella Luccioli, nota per la sentenza Englaro, che avrebbe potuto essere la prima donna per una poltrona che conta quanto un ministero, e Luigi Rovelli, esperto di diritto commerciale, in buoni rapporti con il cardinal Bagnasco.
Ernesto Lupo lascia il 13 maggio. Per quella data il nuovo presidente va nominato. Non c’è molto tempo. E dopo le parole di Berlusconi una corsa già complicata è diventata tutta in salita. Perché è ovvio che la dote di un primo presidente dev’essere l’adamantina trasparenza nella vita e nella carriera. In quella di Santacroce si staglia l’ombra di Previti. Per carità, come vedremo dalle carte, nessun addebito, solo quello che Santacroce stesso, nell’aula del processo Sme, ha ammesso il 18 marzo del 2001, quando a interrogarlo, alle 15 e 15, fu il pm Ilda Boccassini.
«Lei conosce Previti?» chiede. Lui risponde: «Sì». E precisa: «L’ho visto pochissime volte, è un avvocato e l’ho conosciuto in questa veste, ma non ho mai avuto cause in comune».
Bisogna ricordarli quei processi Sme e Imi-Sir. Scaturiti dalle rivelazioni di Stefania Ariosto, l’ex fidanzata di Vittorio Dotti, che rivelò la rete delle assidue frequentazioni tra l’allora braccio destro di Berlusconi, nonché ex ministro della Difesa, e i magistrati del Porto delle nebbie. Squillante, Verde, Sammarco, Izzo, Vinci, Napolitano, Priore, Marvasi. Il famoso gruppo che a spese di Previti nell’88 andò a Washington per la kermesse della Niaf. In udienza Santacroce precisa. «A Gherardo Colombo (l’altro pm del processo, ndr.) ho detto che non ricordo esattamente quando ho conosciuto Previti. Io avevo un complesso musicale, ho sempre pensato di averlo conosciuto in una di quelle occasioni con la moglie». Poi, con voce sottile: «L’ho visto tre o quattro volte in tutta la mia vita». Chiede Boccassini: «È stato a casa di Previti?». Risposta: «Ho preso parte a una cena nello studio di via Cicerone». Lei incalza: «C’erano altri?». Lui, vago: «Credo di sì, uno o due, ma non ricordo chi erano». Il resto della deposizione riguarda il suo rapporto con la Niaf. Conosce «da ragazzo» il vice presidente Franco Nicotra, che invita le toghe segnalate da Previti e per cui lui paga viaggio e soggiorno. Santacroce no, è a spese di Niaf. Va in Usa dall’83 per conferenze sul terrorismo. «Le spese di viaggio erano addebitate a lei o erano fifty fifty?» chiede Boccassini. Lui: «Non potevo certo andare a spese mie per fare una conferenza».
Certo non si può ridurre a questo il ritratto di Santacroce, l’alto magistrato che ha fatto pulizia nella sezione fallimentare di Roma e che il 26 gennaio, aprendo l’anno giudiziario, ha tuonato contro «i magistrati che si propongono di redimere il mondo, quelli convinti che la spada della giustizia sia sempre senza fodero, pronta a colpire o a raddrizzare le schiene ». Sono i giorni di Ingroia candidato e Santacroce dice: «Questi magistrati parlano molto di sé anche fuori delle aule giudiziarie, senza rendersi conto che per dimostrare quell’imparzialità che è la nostra sola divisa, non bastano frasi a effetto». Neppure andare a casa di Previti, la cui storia giudiziaria tutti conosciamo, è un buon viatico per sedersi sulla poltrona del magistrato più alto in grado d’Italia. Su questo, con preoccupazione, s’interrogano in queste ore al Csm.