Antonio Castro, Libero 14/4/2013, 14 aprile 2013
L’INPS FALLIRÀ NEL 2015 SERVE UN’ALTRA RIFORMA DELLE PENSIONI
Decima riforma delle pensioni alle porte? Sembra proprio di sì, e dobbiamo ringraziare il professor Monti e l’ultra sensibile (e suscettibile) ministra per gli affari correnti Elsa Fornero. Lo scorso 22 marzo il presidente del superInps Antonio Mastrapasqua ha preso carta e penna e scritto un’allarmata missiva a via XX Settembre e a via Flavia: il senso, riassunto, è più o meno questo: «La fusione di Inps, Inpdap e Enpals ha scaricato sull’ente pensionistico costi insostenibili e se non si interverrà rapidamente dal 2015...». Di più: il patrimonio netto basta appena a sostenere «una perdita per non oltre tre esercizi». Ma non basta: visto che lo Stato è un pessimo pagatore se le amministrazioni dello Stato continueranno a pagare a rilento i contributi», scrive Mastrapasqua si avranno «ulteriori problemi di liquidità con incidenza sulla stessa correttezza delle prestazioni». Il che - tradotto per i comuni mortali - vuol dire che se lo Stato non versa i contributi dei dipendenti pubblici a scadenza (per i lavoratori privati e le imprese è il 10 del mese successivo), e quindi che continuando a spendere per le pensioni degli statali il tesoretto accumulato dai privati si arriverà entro il 2015 al paradosso che non si avranno più i quattrini necessari a pagare le pensioni. Di tutti: pubblici e privati.
Allarme e beffa, considerando che per 15 mesi la professoressa Fornero ha ripetuto che la fusione - varata con il Salva Italia - non pregiudicava i conti del neonato superInps.
La prova che i conti siano più che traballanti, oltre che nella lettera di Mastrapasqua a Fornero e Grilli (svelata ieri da “Il Fatto”), è certificata, con tanto di sigillo della Corte dei Conti, anche dai magistrati contabili che analizzando a posteriori il bilancio di previsione 2012 ammoniscono sui rischi di aver inglobato nell’Inps gestioni in dissesto cronico come Inpdap e Enpals.
Ma c’è dell’altro. Nel bilancio di previsione 2013, approvato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps non più tardi del febbraio scorso salta fuori un quadro impietoso: Quest’anno l’Istituto avrà un disavanzo di competenza di 10,7 miliardi; portando così in eredità i 23,7 miliardi il disavanzo patrimoniale complessivo (ex Inpdap). Sempre quest’anno - proprio per l’assorbimento delle passività l’Inps avrà eroso il patrimonio netto dai 41 miliardi del 2011 ai 15,4 di quest’anno. Basta munirsi di un pallottoliere per capire che la baracca non sta in piedi; l’Inps deve sborsare quest’anno 265,8 miliardi in prestazioni previdenziali, l’incasso di nuovi contributi ipotizza un gettito di 213,7 miliardi, nella speranza che a Via XX Settembre riescano a compensare l’ammanco.
E qui scatta l’idea maliziosa che chiunque dovesse accomodarsi a Palazzo Chigi possa mettere mano ad una bella riforma delle pensioni per posticipare il più possibile i pagamenti delle spettanze (pensioni), aumentare l’aliquota di prelievo su aziende e lavoratori, tagliare l’inta - gliabile nel capitolo già striminzito delle prestazioni sociali (che l’Inps gestisce facendo solidarietà sociale con i soldi dei lavoratori invece che con i proventi della fiscalità generale).
All’Istituto - che potrebbe essere coinvolto a maggio in una nuova tornata di nomine - si stanno facendo simulazioni e tagli. Anche l’invio per posta dei Cud ai pensionati è stato sospeso per evitare tra carta, buste e francobolli la ridicola spesa di 40 milioni. Ridicola se paragonata al fatturato miliardario dell’azienda pensionistica. Però si tratta di microinterventi che non compensano i trasferimenti in ritardo cronico delle amministrazioni statali dei contributi, che non rimpingua l’ammanco per i licenziamenti (con taglio dei versamenti), che non mette al riparo lavoratori e pensionati da una nuova stangata: un riforma delle pensioni inderogabile.