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 2013  aprile 14 Domenica calendario

SVIZZERA, L’ODISSEA DEI FRONTALIERI

Michele ha 26 anni, giardiniere, una laurea lasciata a metà. Ogni mattina alle 5 («5 e un quarto massimo») si infila in macchina per evitare la coda. La lunga, eterna coda di 4 mila frontalieri che ogni giorno, a passo d’uomo, percorrono i 21 km che separano il confine svizzero dal bar sotto casa sua. «Da qui si va a Locarno e Bellinzona, il via vai è minore che nella tratta Como-Chiasso, ma la strada è accidentata, tutta curve, ogni due giorni c’è un incidente», dice.
Michele è uno dei 55 mila «ratti italiani», denigrati in un famoso manifesto-choc del 2010 firmato dalla Lega Ticinese. I lavoratori pendolari a cui una petizione lanciata qualche giorno fa da LiberaTv, emittente elvetica vicina al defunto leader Giuliano Bignasca, ha dato l’ultimatum: o dentro, o fuori.
Non l’hanno presa bene al Bar dei Pontini di Verbania, uno dei tantissimi punti d’incontro per frontalieri disseminati lungo il confine Italia-Canton Ticino. «Qui organizziamo le macchinate, per risparmiare sulla benzina», spiega Michele. «E ogni giorno ci scambiamo qualche brutta notizia. Prima la storia dei “ratti”, adesso la petizione».
Lunedì 8 aprile, poi, un annuncio apparso sul web, con cui una ditta di Chiasso cercava uno specialista informatico «necessariamente residente in comuni frontalieri» ha scatenato un putiferio nel parlamento di Lugano.
«Quella di assumere lavoratori frontalieri per risparmiare sugli stipendi è una pratica diffusa in Ticino», spiega Riccardo, 22 anni, elettricista. «Noi italiani prendiamo meno degli svizzeri, e non ci lamentiamo: rispetto all’Italia, gli stipendi sono comunque il doppio, se non di più».
Il clima sul lavoro, però, non è dei migliori. «Capita spesso di essere presi di mira dai colleghi, l’italiano è visto come ladro di lavoro, magari fannullone», aggiunge Michele. «Uno ci passa sopra, ma quando poi sente certe notizie, inizia a inquietarsi».
La consolazione? Che non manca la compagnia. Dei circa 75 mila connazionali che per lavoro fanno avanti e indietro (almeno una volta la settimana) tra Italia e San Marino, Francia, Svizzera, Principato di Monaco e Città del Vaticano, ben 61 mila lavorano nella Confederazione elvetica. Di questi, 55.554, per la precisione, solo nel Cantone Ticino.
Non c’è da stupirsi: tra Lugano e il San Gottardo la disoccupazione è quasi inesistente (attorno al 3% nel 2012), e a febbraio 2013 è scesa di un ulteriore 10% rispetto al mese precedente. Un paradiso, insomma. Non solo fiscale.
E con la crisi che impazza di qua dal confine, i numeri salgono. Nel 2012 gli italiani partiti per la Svizzera in cerca di lavoro sono cresciuti del 50% (8.906 contro i 5.318 del 2011), soprattutto giovani e donne (+64% nel 2012). Gli occupati sono aumentati di 14 mila unità (circa il 30%) rispetto a cinque anni fa. Solo nella provincia di Verbania i ristorni, ossia le tasse girate da Berna ai comuni a 20 km dal confine svizzero, sono passate da 4,8 a 5,8 milioni nel 2010 (+20%, ultimi dati disponibili). Tanto che in città è stato nominato un assessore al Frontalierato. E dall’anno scorso esiste uno sportello apposito per consulenze.
«La tensione è dovuta soprattutto alle elezioni del parlamento di Lugano di domenica 14 aprile», spiega Dino Caretti, responsabile dello sportello. «Ci si rifà sui frontalieri, ma la colpa del dumping salariale tra svizzeri e italiani è del sistema delle agenzie interinali: il frontaliere cerca spesso posizioni di manovalanza, soprattutto nell’edilizia e nell’industria, anche perché i titoli di studio italiani spesso non sono riconosciuti in Ticino. Di fatto, alla fine, i nostri lavoratori vengono sotto-pagati».
A questo si aggiunge il fatto che la crisi inizia a mordere anche oltre confine. «Ora la situazione è critica», conferma Caretti. «Alcuni comuni del Canton Ticino hanno i conti in rosso, e vogliono rifarsi sui lavoratori. Sono i partiti di centrodestra a fare da sempre pressione per trattenere i soldi stornati ai comuni di residenza dei frontalieri».
Come se non bastasse, il gap tra i salari in Ticino non accenna a diminuire. Un’addetta italiana in un call center guadagna oltre il 50% in meno di una collega svizzera (stando ai dati di una recente commissione parlamentare elvetica). Mentre un elettricista come Riccardo prende, a parità di competenze, il 47% in meno rispetto a un collega locale. «Senza contare le due ore al giorno passate in auto, e il costo della benzina», sottolinea arrabbiato.
Per fortuna, aggiunge Riccardo, «il carburante in Svizzera costa meno che di qua dal confine. Ci sono sei o sette distributori subito dopo la dogana, uno in fila all’altro: si vede che dopotutto i frontalieri convengono».