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 2013  aprile 13 Sabato calendario

Rischia di passare alla Storia come la Parmalat del mare, o meglio lo è già. Il crac della compagnia di navigazione Deiulemar dichiarata fallita lo scorso anno per un buco patrimoniale di oltre 800 milioni di euro, vede infatti coinvolti 13mila risparmiatori, in gran parte abitanti di Torre del Greco che per decenni hanno finanziato la compagnia tramite certificati obbligazionari per una somma pari a 670 milioni di euro

Rischia di passare alla Storia come la Parmalat del mare, o meglio lo è già. Il crac della compagnia di navigazione Deiulemar dichiarata fallita lo scorso anno per un buco patrimoniale di oltre 800 milioni di euro, vede infatti coinvolti 13mila risparmiatori, in gran parte abitanti di Torre del Greco che per decenni hanno finanziato la compagnia tramite certificati obbligazionari per una somma pari a 670 milioni di euro. Soldi finiti in un buco nero di società parallele riconducibili ai figli e parenti dei tre armatori, le famiglie Iuliano, Della Gatta, e Lembo che dal 2005 in poi avevano architettato una complessa girandola di scissioni societarie all’estero per spogliare di fatto dei beni la compagnia. La vicenda ha visto scendere in campo due Procure, quella di Torre Annunziata e di Roma, ed è culminata in nove arresti tra figli e parenti del trio di ex armatori. Pesanti le accuse: dalla bancarotta fraudolenta; all’esercizio abusivo del credito, all’elusione fiscale. Una prima ordinanza di sequestro per 1,25 miliardi dei beni delle tre famiglie è stata rigettata per un vizio di forma dal Tribunale di Torre Annunziata. Ma nei giorni scorsi è intevenuta la Procura di Roma con una nuova richiesta di sequestro conservativo per un miliardo. Tutto ora è affidato all’udienza penale del prossimo 8 maggio in cui i comitati dei creditori puntano al fallimento delle società di fatto messe in piedi negli anni dai figli degli ex armatori. Una vicenda inquietante, una truffa a tutti gli effetti e un fallimento di fatto pilotato. Da un lato la Deiulamar raccoglieva denaro (accadeva da oltre 30 anni) presso i cittadini di Torre del Greco e Monte Procida. Un flusso inarrestabile, un’antica pratica marittima (i carati) con cui di fatto i Torresi facevano da banca per la società navale. Erano certificati obbligazionari fuori da qualsiasi mercato regolamentato. Un versamento presso gli sportelli in piazza del paese e una ricevuta. Con il crac si è scoperto che le cifre erano ingentissime, oltre 670 milioni di euro. Soldi affidati alla Deiulemar che aveva sì obbligazioni regolari sul mercato, ma per soli 40 milioni. Quasi venti volte di più era il denaro raccattato in modo artigianale tra i cittadini (spesso dipendenti) della Deiulemar. Tanta fiducia è stata davvero mal ripagata. Quei soldi non finivano infatti nei bilanci ufficiali della società, ma in conti paralleli. Ma mentre Deiulemar saccheggiava il territorio, i figli dei tre armatori provvedevano a spogliare di beni la compagnia. Un gioco che come ha ricostruito la magistratura e come ha riportato Plus24-Sole 24 Ore nei mesi scorsi, durava almeno dal 2005. La prima mossa è stata quella del conferimento delle navi alla Deiulemar shipping, controllata al 100% dalla lussemburghese Poseidon International Sa, cui nello stesso anno la Deiulemar Cn cede la propria partecipazione. A sua volta la Poseidon international è controllata da altre tre lussemburghesi: la Sbf Sa, la Azzurro Sa e la Hamburg International Sa. Non è finita: la Sbf è controllata al 100% da una società di Madeira, la Prothinny financieira Lda, a sua volta controllata da un trust che si chiama Bigei. Stessa cosa vale per Azzurro e per Hamburg: a controllarle anche qui due trust. Il primo si chiama Arcobaleno e il secondo Marco Polo. Gli inquirenti si mettono al lavoro e non faticano molto per scoprire che alle spalle di questi schermi societari plurimi figurano nell’ordine, dietro Bigei: Pasquale e Micaela Della Gatta; dietro Azzurro: Filippo e Leonardo Lembo; dietro Marco Polo: Giovanna Iuliano. Cioè la seconda generazione al completo dei fondatori della storica compagnia di navigazione. Ma l’operatività non si ferma. Nei tre anni successivi le navi vengono utilizzate per ottenere credito dal sistema bancario e investire in futures sui noli e per commesse di altre navi. In più viene montata un’opzione call che porta un’altra azienda, la Poseidon finance Sa a rilevare per 150 milioni il 100% di un’altra finanziaria di Madeira, la Taggia LXVII controllata a sua volta da tre trust: Giano, Capital trust e Gilda, rispettivamente riconducibili ad altri membri delle tre famiglie: Giuseppe Lembo, Lucia Boccia e Michele Iuliano. Scopo ultimo di quest’ultima operazione: ottenere il controllo di un’altra lussemburghese: la Lemain Sa che ha a propria volta il controllo della Deiulemar holding, cui risalgono le altre attività del gruppo: immobiliari, alberghiere ed energetiche. Un’architettura mostruosa che è servita a spogliare del tutto la Deiulemar, portando via le 17 navi di proprietà della società e trasferendole nelle società di fatto riconducibili agli stessi soggetti. Una sorta di saccheggio sistematico che ha portato a prosciugare l’attivo e quindi a rivelare un buco di 800 milioni. Ora buona parte delle società sono state dichiarate fallite. Resta per i 13mila creditori l’arma dell’insinuazione al passivo e soprattutto quella penale. E cioè il fallimento delle società di comodo di chi ha architettato la grande rapina. Una strada tutta in salita per ora.