Giorgio Pogliotti, Il Sole 24 Ore 14/4/2013, 14 aprile 2013
Il patto dei produttori per salvare il Paese proposto dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha illustri precedenti
Il patto dei produttori per salvare il Paese proposto dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha illustri precedenti. In altre fasi storiche, particolarmente difficili, imprese e sindacati hanno puntato sul raggiungimento di intese per creare le condizioni di una ripresa economica. Guardava alla ricostruzione dell’Italia uscita dalle macerie della seconda guerra mondiale il piano del lavoro proposto nel 1949 dal leader della Cgil, Giuseppe Di Vittorio, nella convinzione che una collaborazione tra le parti sociali rappresentasse la strada per l’uscita dalla crisi attraverso la piena occupazione. Dopo oltre mezzo secolo, il 23 luglio del 1993, l’accordo tra le parti sociali con il governo Ciampi per far fronte al’emergenza inflazione, stabilì con la cosiddetta politica dei redditi, aumenti salariali legati a incrementi produttivi, inaugurando la stagione della concertazione, determinante per l’ingresso dell’Italia nell’euro. «Nel 1993 si individuò il tasso di inflazione programmato come riferimento per le dinamiche salariali – afferma Marcello Messori, professore di economia alla Luiss – oggi la chiave di volta è la dinamica della produttività. C’è un’evidenza empirica, il tasso di crescita vicino allo zero registrato in Italia da metà degli anni 90 è accompagnato dalla stagnazione della produttività del lavoro». La produttività del lavoro è strettamente legata alla struttura contrattuale ed al potenziamento della contrattazione decentrata, oggetto degli ultimi accordi interconfederali: il 22 gennaio 2009 con il governo Berlusconi sulla riforma della contrattazione (la Cgil non firmò), il 28 giugno 2011 su rappresentanza e validità erga omnes dei contratti aziendali (firmato da tutti i sindacati e Confindustria), nel novembre 2012 con il governo Monti sulla crescita della produttività (firmato da tutte le parti sociali tranne la Cgil). L’aggravarsi della crisi ha spinto i sindacati a cercare un’unità d’azione, evidenziando una convergenza con le richieste delle imprese su alcune priorità, a partire dall’alleggerimento del carico fiscale sui produttori. Sul patto dei produttori la leader della Cgil, Susanna Camusso, rivendica il copyright riferendosi all’ex segretario Bruno Trentin. Nel libro "da sfruttati a produttori" del 1977, Trentin indica come nel lavoratore si sia formata la coscienza di essere un produttore. Alla base c’è l’idea che il rapporto con le imprese non può esaurirsi nel conflitto. Del resto nel contratto dei metalmeccanici del 1973, il primo dopo l’autunno caldo, Trentin, Carniti e Benvenuto avevano introdotto la cosiddetta "parte prima del contratto", ovvero quel sistema di informazioni che devono essere condivise tra le parti, e rappresentano una premessa per un sistema di relazioni non più esclusivamente conflittuale. Il patto dei produttori ha anche altri precedenti. Li ricorda Giuseppe Berta, professore di storia contemporanea alla Bocconi: «Dante Ferraris, presidente di Confindustria nel 1919, poi ministro dell’Industria, voleva un’intesa tra le rappresentanze di imprenditori, sindacato e Stato, una sorta di patto corporativo, che saltò a causa della radicalizzazione del conflitto». Il pensiero di Berta va anche a «Gianni Agnelli che, fortemente convinto che le forze del lavoro avessero tutto da guadagnare dalla ricerca di una convergenza di interessi a scapito dei ceti improduttivi, nel 1975 da presidente di Confindustria firmò con il sindacato l’accordo sul punto unico di contingenza, sottostimando però le conseguenze inflazionistiche». Berta cita un altro protagonista che sedeva dall’altra parte del tavolo, il leader Cgil Luciano Lama, che nel 1978 con la svolta dell’Eur affermò che «il salario non è una variabile indipendente, introducendo il concetto delle compatibilità economiche nelle rivendicazioni sindacali che ancora oggi incontra forti resistenze nella sinistra radicale».