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 2013  aprile 14 Domenica calendario

Il panda gigante - quell’orsacchione bianco e nero amato in tutto il mondo - appartiene a una specie in via di estinzione

Il panda gigante - quell’orsacchione bianco e nero amato in tutto il mondo - appartiene a una specie in via di estinzione. Bisogna proteggerlo e salvarlo? Certo! diranno tutti. Al che l’economista, che è una specie di noioso Grillo Parlante (e ricorderete che cosa voleva fare Pinocchio al Grillo Parlante...) chiederà: volete salvarlo costi quel che costi? Il panda non ha prezzo, diranno alcuni. No, ha un prezzo, risponderà l’economista. E il prezzo è rappresentato da quanto sei disposto a tirare fuori dalle tasche (tu e gli altri amanti del panda) per salvarlo dall’estinzione. A questo punto l’economista comincerà a diventarvi antipatico. Butta tutto sui soldi... direte. Ma non è vero: l’economia vuole solo abituarvi a pensare con la ragione e non solo col cuore o con gli istinti. Nel caso del panda, per fortuna dell’orsacchione, salvarlo non è un problema. Vi sono delle riserve in Cina dove i panda non sono disturbati e un’attiva rete internazionale, capeggiata dal Wwf, che si adopera per la sua protezione. Ma ci sono molti altri casi dove la protezione delle specie pericolanti non ha il volto simbolico e simpatico del panda. Cominciamo dalla "biodiversità". Che cos’è la biodiversità? Come dice la parola, si tratta della varietà - diversità - delle specie vegetali e animali (la biologia è la "scienza della vita"). Perché la biodiversità deve essere protetta? Quali sono i costi di questa protezione? E quali ne sono i benefici? Vediamo dapprima i costi. Cominciamo dal "costo di opportunità". Di che si tratta? Questo costo non è qualcosa che si paga, ma qualcosa cui si rinuncia. Facciamo un esempio. In Kenya c’è una grande biodiversità, sugli altipiani di questo Paese africano, dove vagano elefanti e zebre, c’è una immensa varietà vegetale e animale. E ci sono, fortunatamente, molti parchi e molte aree protette. Organizzare i parchi, mantenerli, pagare i guardiani e i ranger, costa soldi, e questo è un costo diretto. Ma c’è anche un altro costo. Supponiamo che, in barba alla biodiversità, i parchi siano aboliti, e la terra resa disponibile per l’agricoltura e l’allevamento. Uno studio di un po’ di anni fa affermava che i guadagni netti da agricoltura e allevamento sarebbero stati pari al 3% del Pil e avrebbero supportato 4 milioni di kenyoti. Questo è il "costo d opportunità", ciò cui si rinuncia quando si sceglie di creare i parchi. Invece, i benefici, i guadagni netti dei parchi (da eco-turismo e sfruttamento controllato delle foreste), erano pari a solo lo 0,6% del Pil. Bastano queste due cifre per concludere che sarebbe meglio abolire i parchi e dare la terra a chi la vuole coltivare, e lasciar perdere gli elefanti? No, e qui entra l’economia verde. A parte l’eco-turismo, ci sono altri benefici: per esempio, il riciclo delle sostanze nutrienti presenti nel suolo dei parchi, riciclo che sarebbe ridotto dall’agricoltura più o meno intensiva, la protezione dall’erosione che altera l’equilibrio idrogeologico, il contributo che le foreste danno al problema del riscaldamento globale (gli alberi assorbono l’anidride carbonica)... Valutare questi benefici è difficile ma non impossibile. Ci sono poi altri benefici, invisibili ma reali. La foresta primigenia, le savanne a perdita d’occhio, i branchi di elefanti, fanno parte di un patrimonio di cultura e di bellezza che inconsciamente tutti noi apprezziamo, anche se non gli sapremmo dare un valore. L’economia verde, insomma, è complicata, ma i problemi che affronta sono problemi veri, che incidono sul nostro benessere, non solo economico. Le complicazioni sorgono anche dal fatto che nel nostro mondo le decisioni di come usare le risorse sono in mano ai singoli Paesi. Per tornare al Kenya, sta al governo kenyota decidere se tenere i parchi e le aree protette dopo aver soppesato i costi diretti, i costi di opportunità, i benefici diretti, quelli indiretti e quelli intangibili. Ma, c’è un ma. Pensiamo per esempio all’assorbimento di anidride carbonica nelle foreste. Si tratta di un beneficio considerevole, perché assorbe i gas responsabili dell’effetto-serra. Ma proprio per questo beneficia non solo il Kenya ma tutto il mondo, perché l’effetto-serra agisce a livello del pianeta intero. Allora, il governo del Kenya potrebbe dirsi: perchè devo spendere per tenere i parchi quando una parte dei benefici andranno a favore del resto del mondo? Che il resto del mondo, allora, contribuisca una parte della spesa! E avrebbe ragione. L’economia verde solleva problemi che hanno bisogno di una risposta globale e non solo locale. La biodiversità continua a riservarci sorprese, nel senso di benefici che non conoscevamo. Avete mai sentito parlare del prochlorococcus? Si tratta di un batterio che è probabilmente l’organismo più numeroso al mondo: si stima una popolazione di molti ottilioni (10 alla 27esima) di individui. Vive negli oceani, ed è stato scoperto solo di recente, nel 1986, da Sally Chisholm, una microbiologa del Massachusetts Institute of Technology, durante una spedizione nel Mar dei Sargassi. Ebbene, questa specie di batteri produce un quinto dell’ossigeno che respiriamo. Insomma, il nostro benessere può dipendere da specie di cui non avevamo mai sentito parlare. I benefici della biodiversità sono ancora tutti da scoprire.