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 2013  aprile 14 Domenica calendario

«VITTIMA» DI DE MAGISTRIS, EX GIUDICE SI TOGLIE LA VITA

L’ultimo viaggio sola an­data l’ex procuratore generale aggiunto di Catanzaro Pietro D’Amico l’ha fatto da solo. È andato a toglier­si la vita a Basilea, in una clinica che somministra la «dolce mor­te», il suicidio assistito. D’Ami­co era un magistrato per bene, una «toga buona» e fuori dai gio­chi di potere. Ma era diventato un altro dopo esser stato inda­gato eppoi prosciolto per una storia partorita da quel mostro giudiziario che va sotto il nome di «Poseidone». Una delle fallimentari inchieste-spettacolo condotte da Luigi de Magistris ai tempi in cui, vestendo la toga di pm d’assalto in Calabria, da­va la caccia ai fantasmi dei poteri forti e della masso­neria deviata. D’Amico ri­mase imbri­gliato nella rete a strascico lan­ciat­a dall’attuale sindaco di Na­poli e dal suo consulente Gioac­chino Genchi per catturare le immaginarie talpe che si muovevano nei sotterranei della Procura calabrese. C’è una stra­na «forza» che interviene nelle mie inchieste, andava ripeten­do in quei mesi de Magistris, convinto di essere inviso a forze occulte. Oltre a D’Amico, finirono sott’inchiesta a Salerno l’ex pg Domenico Pudia, il capo dei gip Antonio Baudi, il carabinie­re Mario Russo e l’ex procurato­re Mariano Lombardi, scom­parso un paio di anni fa. Furono tutti prosciolti. «Insussistenza della notizia di reato», insoste­nibile «fattispecie associativa» e «lacunoso impianto accusato­rio» furono i termini usati dal giudice per demolire il teorema della fuga di notizie orchestrata dai massimi vertici del distretto giudiziario di Catanzaro. Eppu­re, nonostante la riabilitazione da quell’infamia subita dopo ol­tre trent’anni di onorata carrie­ra, Pietro D’Amico non si è più ripreso. È entrato in depressio­ne. Tra il disgusto e la rabbia agli amici aveva confidato: «Questa magistratura non mi merita», e si era dimesso. Era stato massacrato, ai tempi del­le Grandi Inchieste di Giggino. Messo in croce sui giornali per un sospetto suffragato da indizi labili. Era finito nel tritacarne investigativo di de Magistris e Genchi (entrambi oggi sotto processo a Roma per l’acquisi­zione illegale dei tabulati telefo­nici di otto parlamentari) per aver fatto due telefonate. Una al presidente della Regione Calabria Giuseppe Chiaravalloti (suo collega magistrato) della durata di venti secondi. Cronometrati. E l’altra all’allora depu­tato-avvocato Giancarlo Pittel­li. Ecco, i sospetti su D’Amico nacquero così: per aver chiama­to due futuri indagati di de Magistris. Il nome del procuratore generale aggiunto fece capoli­no anche nella vicenda che vi­de coinvolto l’allora capitano dei carabinieri Attilio Auricchio, braccio destro di de Magistris ai tempi di Catanzaro e og­gi suo fedele capo di Gabinetto al Comune di Napoli. Fu D’Ami­co, infatti, a ottenere che l’uffi­ciale dell’Arma fosse punito per aver sbagliato a trascrivere una intercettazio­ne telefonica in cui, al posto della parola «provveditore», era sta­to annotato «procuratore», con l’aggiunta (che nella conversazione originale non esiste­va) del nome Chiaravalloti. D’Amico impugnò l’assoluzio­ne nel procedimento discipli­nare di primo grado e trascinò Auricchio davanti al gran giurì del ministero della Giustizia che ribaltò l’assoluzione e gli in­flisse la censura. Ai pm che lo sentirono qualche tempo do­po, Auricchio rivelò che il ricor­so di D’Amico era animato da «uno zelo “sospetto”».«Per l’al­lucinante inchiesta di Salerno, era entrato in una depressione nerissima», dice al Giornale l’ex governatore Chiaravalloti. «Era un buono, un uomo dolcis­simo. Uno studioso, lontano dai giochi di potere.Visse quel­l’ind­agine come un torto perso­nale che non è riuscito a supera­re ». L’ex pg Domenico Pudia ri­corda che D’Amico «da tempo, in seguito a quelle accuse, ave­va perso il sorriso». Quell’inda­gine «finì come doveva finire, ma nonostante tutto lui non si è più ripreso. Ebbe una sorta di ri­getto della magistratura e forse dei magistrati». «Finì nei guai perché parlava con me», sottoli­nea Giancarlo Pittelli. Che aggiu­ge: «De Magi­stris ha fatto del male a centinaia di persone che ho difeso. A me ha di­strutto l’esistenza». Di­ceva di essere affetto da un male incurabile, D’Amico, così da poter ottenere il via libera al suicidio assistito. Ma più d’uno ne dubita. Il fratello ha saputo tutto solo a cose fatte, con una chiamata dalla clinica.
«Se n’è andato un magistrato onesto, una persona perbene», commenta il coordinatore citta­dino del Pdl partenopeo, Ame­deo Laboccetta. «Tante sono le vittime del de Magistris pubbli­co ministero, tante sono quelle del de Magistris sindaco di Na­poli. Il suo fallimento politico è sotto gli occhi di tutti. Altrimen­ti, non avremmo raccolto 20mi­la firme per le dimissioni in po­che ore. La città vuole liberarse­ne. Ormai, deve andare via».