Filippo Fiorini, La Stampa 13/4/2013, 13 aprile 2013
QUELL’INIEZIONE MISTERIOSA CHE UCCISE NERUDA IN POCHE ORE"
Con la riapertura del processo sulla morte del poeta cileno Pablo Neruda, che secondo i libri di storia morì di cancro alla prostata nel’73, a inizio settimana è stata riesumata la sua salma, in cerca di tracce di quel veleno che si sospetta potrebbe essergli stato iniettato dagli uomini del dittatore Pinochet. A distanza di 40 anni, dalle carte ancora secretate emerge una trama inedita che potrebbe dare un nome al presunto autore del crimine: «Se il dottor Draper non è l’assassino di Neruda, sicuramente sa chi lo uccise», dice del medico che per ultimo vide il poeta vivo, l’avvocato Eduardo Contreras, che firma la querela.
Erano le 16:00 di domenica 23 settembre ’73 e Matilde Urrutia riattaccò il telefono, guardò Manuel Araya e disse: «Gli hanno fatto un’iniezione alla pancia, sta male. Dobbiamo andare subito». Il Cile aveva perso da due settimane la democrazia, a causa del golpe militare, e ora stava per perdere anche il suo intellettuale più illustre. Dopo la telefonata dall’ospedale, la moglie e l’autista corsero da Valparaiso alla clinica Santa Maria, a Santiago, dove il poeta era ricoverato da 4 giorni. Con la scusa degli esami per il cancro alla prostata, l’avevano portato nella capitale per farlo uscire dal Paese. «Non mi sono mai perdonato di averlo lasciato solo», disse molti anni dopo Araya, all’ufficiale giudiziario che scriveva la sua ricostruzione.
Neruda si era fatto convincere all’esilio dall’ambasciatore messicano, Gonzalo Martinez Corvalà. Lo afferma lui stesso nella dichiarazione al consolato cileno di Città del Messico nel 2011. «La sua vita era in pericolo», precisa l’ex diplomatico. Dopo la morte del presidente Allende era diventato la figura più influente della sinistra cilena. «Lo vidi per l’ultima volta sabato 22. Stava bene, lo informai delle atrocità che accadevano nel Paese e decise di partire lunedì 24». Sarebbe diventato il capo dell’opposizione anti-Pinochet. Ma quando il 23 donna Urrutia e Araya arrivarono all’ospedale, lo trovarono «rosso in volto, febbricitante», ricorda l’autista. «Si sollevò la maglia e mostrò il ventre. Aveva come una puntura d’insetto, irritata. Il medico mi disse che doveva prendere urgentemente l’Urobotan, un farmaco che si trovava solo in una farmacia molto lontana. Cercai di fare in fretta».
Manuel non riuscì mai a comprare quella medicina dal nome inventato. A pochi isolati fu fermato da due berline. Picchiato, sparato a una gamba, fu imprigionato dal regime nello Stadio Nazionale, dove rimase per un mese e dove seppe che «Pablito» era morto. Il quotidiano conservatore El Mercurio scrisse che era «deceduto per arresto cardiaco, dovuto a un’iniezione di calmante». Il certificato di morte firmato la sera prima diceva però: «cachessia cancrenosa cancro prostata metastasi cancrenosa», cioè dimagrimento da cancro, cancrena e metastasi.
Strano. I suoi amici, l’ambasciatore e due ex ministri democristiani che lo visitarono in ospedale, dicono che «pesava più di 100 kg»: era in sovrappeso anche il giorno che morì. «Il 23 settembre ero di turno al Santa Maria. Attorno alle 15:00 mi chiamò l’infermiera Maria Araneda, perché il paziente pativa forti dolori». Lo disse nel 2011 il dottor Sergio Draper, sotto interrogatorio. Aveva iniziato a lavorare nella clinica il 20, il giorno dopo l’arrivo di Neruda. Oggi lavora in un ospedale militare.
Il poeta che vide è diverso dal poeta «assolutamente normale» che l’ambasciatore stava facendo espatriare: «Era agonizzante, in anasarca - cioè gonfio a causa di un edema - con una frattura patologica al femore, dovuta alla metastasi. Gli somministrai un calmante: la dipirona». Poi, dice di aver finito il turno alle 19:45, sostituito dal dottor Price, che in serata lo informò del decesso. Secondo la polizia, però, nessun Price è mai stato iscritto alle facoltà di medicina, né all’Albo dei medici. Quindi, se non esiste, il dottor Draper sarebbe l’assassino? I legali dell’accusa ne sono quasi convinti. Ma perchè aspettare? «Perché l’autista ha parlato solo ora», rispondono. Perché? «Non sapevo a chi rivolgermi», dice. «In Cile non si poteva parlare», lo difendono gli avvocati, ricordando che l’iniezione letale era un metodo abituale con cui il regime eliminava gli avversari. «L’ex presidente Frei fu ucciso così». Era l’82, anche lui morì al Santa Maria, di turno c’era il Draper.