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 2013  aprile 14 Domenica calendario

Quando sono in aula di formazione con investitori privati una delle domande che mi piace fare è: “Quanti di voi conoscono il valore della propria ricchezza complessiva?”: Tendenzialmente, quasi nessuno alza la mano, nonostante io sottolinei che non sono interessato a conoscere le loro ricchezze, quanto a sapere qual è il loro grado di consapevolezza delle rispettive finanze personali

Quando sono in aula di formazione con investitori privati una delle domande che mi piace fare è: “Quanti di voi conoscono il valore della propria ricchezza complessiva?”: Tendenzialmente, quasi nessuno alza la mano, nonostante io sottolinei che non sono interessato a conoscere le loro ricchezze, quanto a sapere qual è il loro grado di consapevolezza delle rispettive finanze personali. In realtà, credo che qualunque risparmiatore abbia una percezione, per quanto vaga e distorta, del livello della propria ricchezza. Questa percezione è molto importante, perché condiziona varie decisioni finanziarie, sia sul lato dei consumi (“Questo acquisto posso permettermelo?”) che su quello degli investimenti (“Quali rischi di perdita posso affrontare?”). A livello aggregato, la percezione che gli individui hanno sulla propria ricchezza e sulla sua dinamica (“Sta aumentando o sta scendendo?”) è quindi fondamentale nella comprensione dell’andamento dell’economia. Questa settimana la Bce ha pubblicato una prima versione di un monumentale studio sulla ricchezza privata e sui redditi nei vari Paesi dell’eurozona. La ricerca conferma che gli italiani hanno un patrimonio privato superiore rispetto a quello dei tedeschi, che però vantano entrate annue superiori. Il rapporto è fortemente condizionato dal fatto che si riferisce a dati del 2010, e alla circostanza che il valore degli immobili (che rappresentano ben l’85% della ricchezza complessiva lorda degli europei) è stimato dai rispettivi proprietari, visto che lo studio è stato realizzato tramite sondaggi (con 62mila cittadini intervistati in 15 Paesi). Gli italiani in particolare stimano il valore mediano delle loro case a 200mila euro l’una, al di sopra della mediana dei cittadini di tutta l’eurozona (180.300 euro). Si capisce che questi dati vanno presi con estrema cautela, se non diffidenza. Dal 2010 i prezzi delle case in Italia sono oggettivamente scesi. L’Istat il 4 aprile ha diffuso l’aggiornamento preliminare dell’Ipab, dal quale risulta che da inizio 2010 a fine 2012 i prezzi delle abitazioni esistenti (la gran parte dello stock) sono scesi del 7,8%, che tenuto conto dell’inflazione equivale a -14,2%. L’Ipab è un indice attendibile, in quanto basato sugli atti notarili di compravendita immobiliare di cui è titolare l’Agenzia delle Entrate, che ha incorporato l’Agenzia del Territorio. Non solo nel 2010 le stime degli italiani sul valore delle proprie case non potevano tenere conto della successiva svalutazione che si è effettivamente verificata,.ma è ignoto se le loro stime fossero realistiche in relazione ai valori effettivi dell’epoca. Perciò la distorsione dei dati contenuti nel paper Bce è doppia. Anche se la Bce ha ragione quando sostiene che i cittadini basano le proprie decisioni sulle stime (quindi sulle proprie percezioni) e non sulla realtà. Sta di fatto che l’attuale situazione italiana rende sempre meno sostenibile la superiorità della ricchezza (sia reale che percepita) dei propri cittadini rispetto ai tedeschi. I quali, avendo meno immobili degli italiani, sono meno soggetti a errori di stima della propria ricchezza (visto che le attività finanziarie hanno invece dei valori oggettivi di riferimento facilmente accessibili). Non solo i dati su cui sono stati basati questi confronti sono vecchi e distorti, ma è difficile credere che la ricchezza privata possa restare così alta mentre i redditi disponibili continuano a scendere, fenomeno che spinge un crescente numero di famiglie ad attingere ai propri risparmi per finanziare i consumi. Quanto agli immobili, non mi stupirei se da qui a pochi anni gli italiani stimassero il valore delle proprie case a 140mila euro l’una, con una riduzione del 30% sulla percezione del 2010. Non necessariamente si tratterebbe di una brutta notizia, perché forse più proprietari di seconde e terze case si convincerebbero a venderle a prezzi finalmente equi rispetto ai redditi disponibili delle famiglie. (*) Pubblicato sul Sole-24 Ore del 14 aprile 2013