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 2013  aprile 14 Domenica calendario

Stamattina è apparsa sui giornali la notizia del suicidio di un ristoratore romano di origine sarda

Stamattina è apparsa sui giornali la notizia del suicidio di un ristoratore romano di origine sarda. L’articolo si concludeva in modo curioso: "Dai primi accertamenti degli investigatori sembra che l’uomo non soffrisse di depressione nè avesse debiti o problemi economici. Ma le indagini sono solo all’inizio". La chiosa suggerisce al lettore due cose: la prima è che le cause più ovvie di qualunque suicidio siano da ricercare nella depressione e/o nei problemi economici; la seconda è che questi motivi, che al momento non sembrano esserci, non sono comunque esclusi e potrebbero emergere da un’indagine più approfondita. Chi ha firmato quell’articoletto dal tono un po’ deluso (mannaggia, non c’erano i motivi economici!) con ogni probabilità è afflitto dalla sindrome giornalistica della crisi assassina. La crisi assassina è la categoria dell’informazione che pretende di riunire all’interno della stessa lettura socio-politica tutti i suicidi per apparente difficoltà economica. I titoli con cui la si può riconoscere sono sempre simili: Trovato morto nella sua casa uomo di 52 anni."Depresso perché aveva perso il lavoro" - Si uccide per problemi economici. 53 anni, un colpo di pistola - Tasse e bollette da pagare. Si impicca nel suo garage e decine di altri, tutti identici per logica. Come si può essere certi che queste morti siano effettivamente collegate alla situazione economica? Talvolta è il morto medesimo ad autorizzare questa lettura, lasciando un biglietto in cui attribuisce a quella ragione il suo gesto estremo: ma è tutt’altro che frequente. Nella maggioranza dei casi accade invece che siano i giornalisti stessi, con l’aiuto degli onnipresenti vicini di casa del defunto, a mettere in relazione la morte della persona con l’esistenza di debiti, fallimenti imprenditoriali o perdita del lavoro. Il risultato di questa enorme narrazione collettiva è che oggi in tutta Italia le persone comuni sono convinte che siamo travolti da un’ondata anomala di suicidi per crisi, che il governo che permette la crisi sia un assassino e che le morti volontarie siano in realtà omicidi di stato. Con tutto il rispetto per la disperazione di chi si toglie la vita, questa lettura allarmistica non ha fondamento. Già un anno fa Daniela Cipolloni, dalla cui accuratezza molti suoi colleghi potrebbero prendere esempio, era andata a spulciarsi i dati Istat e aveva rilevato come non esista alcun trend di crescita nelle statistiche dei suicidi, tantomeno di quelli per ragioni economiche. I numeri dell’Istat non solo dicono che l’Italia nei paesi OCSE ha i tassi mortalità per suicidio tra i più bassi, ma indica che dal 1993 al 2009 il numero di persone che si uccidono è calato da 8,3 a 6,7 per 100.000 abitanti. Secondo gli ultimi dati di cui disponiamo, i motivi economici sono in assoluto la ragione meno incidente sulle morti volontarie, ampiamente sovrastata dai suicidi per malattia e da quelli per questioni affettive. Tolte le altre cause, i suicidi ascrivibili a motivi economici sono circa 180 all’anno su un totale di circa 3000, tutt’altro che un’anomalia. Eppure anche per questi 180 bisognerebbe andare molto cauti nel sostenere che la causa sia la crisi. Nell’articolo che Daniela Cipolloni aveva scritto per Wired era riportato un confronto con gli altri paesi europei e quello che ne veniva fuori era che in Germania, la cui economia tiene ben più della nostra, il numero dei suicidi è quasi doppio rispetto all’Italia e in Finlandia, dove la qualità della vita è infinitamente più alta, i suicidi sono quattro volte superiori ai nostri. Nella Grecia collassata, grande spauracchio dell’Europa economica, ci sono poco più della metà dei suicidi rispetto all’Italia. Cioè, evidenziava la giornalista, il paese nel quale la situazione economica è più drammatica è anche quello dove si verificano meno suicidi in tutta Europa. C’è il tanto per affermare che la narrazione della crisi assassina è un evidente esempio di informazione imprecisa e allarmistica. Perchè ci piace tanto credere che la gente si stia ammazzando per la crisi? Una ragione possibile è che, al di là dell’elemento macabro, quello della crisi assassina è un alibi di ferro: offre la rappresentazione di un mondo dove il senso di fallimento che spesso proviamo nei periodi di difficoltà economica può essere scaricato interamente sul “sistema”, un personaggio narrativo privo di personalità, un golem cieco contro cui nessun eroe-cittadino può combattere da solo. Quella dei suicidi per crisi, nonostante le apparenze, è però anche una storia rassicurante: la crisi è un nemico circoscrivibile; se ora uccide, significa anche che quando finirà le persone smetteranno di morire, basta solo che i politici si mettano a fare le scelte giuste. E’ su questa notazione che subentrano le ragioni per cui tutti i giornali insistono sulla narrazione della crisi assassina: i morti suicidi sono una potentissima arma di pressione sulla classe politica, addittata all’opione pubblica come complice di morte perchè non compie le scelte che impediscono alla gente di uccidersi. Così accade che i giornali, con una leggerezza deontologica impressionante, continuino a reiterare sia le notizie dei suicidi che il falso collegamento con la crisi, senza curarsi di scatenare l’effetto Werther dell’emulazione: Repubblica ha persino una categoria d’archivio apposita, per tenere il conto. Le formazioni politiche e le parti sociali dal canto loro utilizzano ben volentieri quella lettura per accusare gli avversari di seminare disperazione nel paese e così i lettori/elettori vivono un senso crescente di panico scatenato dalla falsificazione delle notizie e dal loro uso strumentale. Questo è il potere delle narrazioni, vere o false che siano. Se si riesce a convincere abbastanza persone a crederci, genereranno effetti reali. Collateralmente è impossibile per me non notare che bastano meno di una ventina di presunte morti "per crisi" dall’inizio dell’anno 2013 per innescare rapidamente un’emergenza nazionale e scatenare decine di conferme di lettura a supporto, mentre centocinquanta donne morte per mano maschile ogni anno non sono ancora sufficienti per convincere i direttori dei giornali a riconoscere univocamente il fenomeno sociale del femminicidio. Immagino sia perché la narrazione del femminicidio, a differenza di quella della crisi assassina, non rassicura e non assolve alcuno. Se l’evidenza del femminicidio viene rifiutata è perchè è difficile accettare l’esistenza di una trama dove il golem, senza sconti, siamo noi. Condividi Da 25 anni per motivi professionali mi occupo, fra le altre cose, proprio di suicidi: faccio parte di quegli investigatori che, secondo una certa convinzione ormai radicata, dopo un decesso per suicidio, vanno a rivoltare come un calzino i fatti privati dei defunti per poi rendiconare le relative disgrazie. Le cose vanno diversamente. Il compito primario è , prima di ogni cosa, appurare se il suicidio sia veramente un suicidio e non, per esempio un incidente o un omicidio. Ciò fatto, ovviamente si verifica se il suicida abbia lasciato messaggi, lettere e se ne studia la "genuinità" (essenzialmente la grafia e il contenuto del messaggio). Detto questo, posso confermare che nella mia personale esperienza, tra tutti i suicidi analizzati sono una percentuale minoritaria lascia dei testi scritti che spiegano il perché del gesto (la maggior parte chiede scusa e non aggiunge altro). In merito alle motivazioni di coloro che non hanno scritto nulla, mi sono abituata a rispettare quel silenzio senza cercare, ad ogni costo, un significato accomodante. Chi supera la soglia dell’autoconservazione, che è una tutela fortissima che la natura ci ha dato,si addentra in una zona dell’esistenza che è un punto di non ritorno che a noi che siamo vivi non è dato comprendere fino in fondo. Ciò non toglie che la disperazione ora sia tanta, ed è anche vero che solitamente chi si suicida è disperato, ma attribuirsi a posteriori l’arroganza di fare una classificazione delle morti è un atto di dabbenaggine se a farlo è magari il vicino di casa chiacchierone, ma se a farlo è un giornalista, si trasforma in un’operazione di sciacallaggio mediatico pericolosa, perché, questo sì, pare che molti siano i suicidi per emulazione... *** Rispondi · 19 · Mi piace · Segui post · Venerdì alle 20.19 Kelledda Murgia Marongiu · Segui · 462 persone ricevono gli aggiornamenti Grazie Mariella. Rispondi · Mi piace · Venerdì alle 20.21 Sara Sesia · Liceo classico ’XXVI Febbraio’ chiamasi RAZIONALIZZAZIONE, meccanismo di difesa... Rispondi · 2 · Mi piace · Segui post · Venerdì alle 19.33 Mariella Rossini · Segui Michela , grazie, grazie e ancora grazie per questo articolo. D Rispondi · 1 · Mi piace · Segui post · Venerdì alle 19.35 Roberto Sanna · Quartu Sant’Elena grazie per la saggia riflessione Rispondi · Mi piace · Venerdì alle 19.38 Ragioni Svelate Ma che bella contronotizia! Che deduzione magica è quasi confortante che la gente non si ammazza per la crisi, vero? Dorma tranquilla lei sicuramente non si ammazzerà mai perché ha una scorza di insensibilità che la protegge da qualsiasi delusione. Perché chi si uccide spesso ha una ipersensibilità che è difficile da elaborare in salotto tra un pasticcino e l’altro, come state facendo qui. Anzi forse le dovrebbero dare un premio per aver scoperto che la gente che si uccide lo fa o per noia o forse per hobby!! Perché non si dedica a discorsi più superficiali, che le donano di più? Si vergogni di generalizzare tra dati statistici e deduzioni ipocrite. C’è chi pur che amando la vita non ha visto altra meta che la morte, perché il suicidio è un atto disperato, chi lo vive non è in grado di determinare chi lascia a soffrire, e non crede che ci siano altre soluzioni e mentre sembra solo un atto egoistico,la disperazione induce a credere di proteggere le persone che ama, evitandogli la stessa sofferenza che prova. Questo oblio se è povero di persone, che facciano gesti concreti, che non si limitano solo a dare la classica pacca sulla spalla, o a dire frasi d’effetto per giustificarsi o per limitare le distanze, credendo cosi di aver fatto il possibile,può provocare un maggior desiderio di morte, al disperato. Questa incapacità di immedesimarsi, questa mancanza di amore, che possiedono solo pochi oggi, lascia tanta gente desolata e motiva ulteriormente a compiere gesti inconsulti. Quando si sta bene e si è pure maliziosi è facile fantasticare sulle emozioni degli altri, non si deve essere presuntuosi, questa esperienza, se non è stata mai sperimentata, lascia spazio solo ad una superbia intellettuale, che crede di saper interpretare pure l’impossibile. Rispondi · Mi piace · Segui post · Modificato · 23 ore fa Manuel Persico · Segui il suo avatar e il suo nickname sono sbagliati, dovrebbe chiamarsi "impulso emozionale" Rispondi · 2 · Mi piace · 23 ore fa Ragioni Svelate Grazie Mi hai appena dato ragione... gongolati pure nella convinzione di essere stato splendido... (vedete con quanta banalità affronta un discorso così serio?) Chi ti ha cliccato mi piace ha il tuo stesso quoziente, perfetto!! Rispondi · 1 · Mi piace · Modificato · 21 ore fa Loredana De Vita · Istituto Universitario Orientale A me preoccupa non solo che si riesca ad innescare l’ennesimo sistema che rende "fenomeno sociale" questo tipo di suicidio a dispetto delle tante morti taciute o, piuttosto, reinterpretate come "banali" e quindi suscettibili ad essere dimenticate (e già questo basterebbe a indicare quanto grave sia la situazione), ma anche che si comincia a ritenere "ovvio" che se si verifica un suicidio è per cause di depressione in seguito a problemi economici... le cause possono essere molte di più e tutte portano all’insoddisfazione per il nostro tempo e il nostro mondo. La "banalizzazione" degli eventi induce a trascurarli come fenomeno sociale, è quello che accade per i femminicidi... sembra che il problema non esista e lascia il suo tempo alla "notizia", ma poi basta... come se le donne non facessero parte di un’umanità ferita e soggetta al dolore. Rispondi · Mi piace · Segui post · 19 ore fa Pierangelo Maria Ranieri · Segui · Freelancer presso OL3 productions Pienamente d’accordo e aggiungo un post che scrissi a proposito a Novembre dello scorso anno http://www.pierangeloranieri.com/?p=136#comment-4 Rispondi · Mi piace · Segui post · Venerdì alle 21.41 Kelledda Murgia Marongiu · Segui · 462 persone ricevono gli aggiornamenti Sacrosanta anche la chiosa finale. Rispondi · Mi piace · Modificato · Venerdì alle 21.55 Tex Willer D’accordo con te ma vedo tante persone ormai disperate e non è un bel modo di vivere. Monica Pini Segnala Link permanete Vivo all’estero. Sono tornata ia Firenze a Pasqua dopo un anno di assenza (eh sì, purtroppo). Ormai da anni i miei genitori anziani sono lo specchio dei cambiamenti (o ’traumi’) sociali. Li abbiamo passati tutti: dagli zingari agli albanesi, dalla mancanza degli asili ai mercatini degli extracomunitari, dai rumeni agli studenti americani ubriachi. I miei sono stati per anni il bollettino dell’ansia redatto da chi non si muove molto ma legge i quotidiani e guarda tutti i possibili telegiornali (anche due volte) per passare il tempo. Anche in questa visita, già dal primo pranzo, mi è arrivato l’aggiornamento annuale: questa volta i suicidi per crisi erano il top, seguiti però dai femminicidi. "Ci ammazzano una donna al giorno!", ha detto mio padre, con tono biblico. Proprio in quei giorni sono morte tre persone in Puglia e così mi sono vista tutti i telegiornali, ho letto tutti i giornali (di carta e non più dal computer). Ho potuto vedere l’effetto di questa strategia dell’ansia su persone colte, ancora intellettualmente vivaci, ma impotenti, perché la vecchiaia non ti dà a volte più la forza di lottare, di mettere in questione o semplicemente di inquadrare le cose nel giusto contesto. Si parla tanto dell’effetto dei media (altri media ovviamente) sui bambini, ma non si parla del loro effetto sugli anziani, per i quali i media sono a volte l’unico periscopio per vedere il mondo. Gli anziani sono già di per sé ansiosi, con il loro sesto senso della morte, e cercano sicurezze. È per questo che apprezzo moltissimo il paragrafo in cui Michela si chiede ’perché’, perché ci piace credere che la gente si stia ammazzando per la crisi. Un dolore o preoccupazione scaccia l’altro, come fa capire Primo Levi in "Se questo è un uomo": «Poiché tale è la natura umana, che le pene e i dolori simultaneamente sofferti non si sommano per intero nella nostra sensibilità, ma si nascondono, i minori dietro i maggiori, secondo una legge prospettica definita. Questo è provvidenziale e ci permette di vivere in campo». Sono sinceramente scioccata da questo tipo di giornalismo, televisivo e scritto. Anche nel mio paese ’di adozione’ abbiamo suicidi, molti, troppi. Siamo il paese al secondo posto della classifica internazionale, e i suicidi dei giovani sono i più numerosi. Eppure il Belgio è una società affluente, relativamente sicura, socialmente solidale (anche qui, quante volte ho letto sulla stampa italiana conclusioni tratte da un evento tragico, che hanno fatto diventare il Belgio il paese dei pedofili...). Per parlare di suicidio pubblicamente bisogna rompere un tabù. L’argomento non va banalizzato, bisogna tener presenti le possibili conseguenze, come il comportamento mimetico. Per questo dopo ogni evento riportato sui media, in Belgio viene comunicato il nome e numero di telefono dell’associazione per la prevenzione dei suicidi. Questa è una comunicazione che vuole bene ai suoi utenti, che non li vede solo come ’merce’. Potrei andare oltre e vorrei, un giorno in cui ho più tempo, fare un’analisi del lessico usato dai media italiani per designare la realtà: non è mai descrittivo, è sempre portatore di giudizio, di ansia, di biasimo. Uno che commette un crimine può essere, a scelta, un orco o un mostro. Si fa appello alla fantasia, alle fiabe più terrorrizzanti, in un’intertestualità che non ha fine ma, soprattutto, non ha giustificazione quando si fa informazione. Il lavoro che sta facendo Michela con i suoi commenti è illuminante e fondamentale. Grazie di condividerlo. Apriamo il dibattito. E liberiamo l’informazione dal sensazionalismo e le sue conseguenze nefaste. Valberici Segnala Link permanete "i morti suicidi sono una potentissima arma di pressione sulla classe politica, additata all’opinone pubblica come complice di morte perchè non compie le scelte che impediscono alla gente di uccidersi" Vero, ma io credo che questa narrazione possa essere funzionale anche all’ avvento di una nuova politica. Perchè quando c’è un’emergenza allora è tempo di misure straordinarie, di decisioni drastiche. In un paese dove moltissimi ormai si suicidano per la crisi, così dice la narrazione, non è forse giunto il momento di decisioni forti? Per fermare questo massacro forse è lecito non farsi troppi scrupoli etici, forse ci sono sistemi di governo migliori di quelllo attuale. E con tutti ’sti morti anche i lavoratori non dovrebbero lamentarsi troppo se si decide di abbassare i salari per fermare la crisi, e i suicidi. http://www.pierangeloranieri.com/2012/11/la-falsa-verita/#comment-4 “La Stampa”, l’11 novembre, crea su Twitter l’hashtag #UnAnnodiMonti. Uno degli account che seguo con maggior attenzione scrive questo tweet: ”Una media di un disoccupato al giorno si suicida”. Riceve 9 retweet, tra cui anche quello della Social Media Editor della Stampa stessa Anna Masera ed un tweet di risposta che mi stimola a capire se ciò sia vero. Chiedo a chi lo ha scritto ma non ricevo risposta, quindi cerco per conto mio. Trovo due fonti ufficiali: I dati ISTAT, pubblicati l’8 agosto di quest’anno e che prendono in esame il periodo 1993-2009 e soprattutto Il rapporto EURES “Il suicidio in Italia al tempo della crisi: caratteristiche, evoluzione e tendenze” (dati fino al 2010), la fonte principale da cui si generano decine di articoli e pezzi con titoli come questi: Suicidi in salita, uno al giorno tra i disoccupati (La Repubblica), Due suicidi al giorno per la crisi: a uccidere è la disoccupazione (Il Manifesto), Crisi: due vittime al giorno. 362 i disoccupati che si sono suicidati (Corriere della sera.it), Un suicidio al giorno tra i disoccupati (La Stampa.it), Crisi, allarme suicidi tra i disoccupati. Una persona al giorno si toglie la vita (Tgcom), Una persona al giorno si uccide per la crisi (Il Giornale.it), La crisi fa strage: due suicidi al giorno (L’Unità.it) Non si tratta soltanto di una logica da titolista, anche i contenuti sembrano fanno intendere che si stia parlando dell’anno in corso e non, invece, di due anni prima. Ci sono poi testate che non si preoccupano nemmeno di citare le fonti ma che riescono a sentenziare che nemmeno a Norimberga: http://goo.gl/z38vw Ricapitolando: Esce un rapporto con dati aggiornati a due anni fa Il giornalismo (tutto), inizia a scrivere riportando il tema ad oggi. Si inizia a stabilire una connessione diretta tra il governo Monti ed i suicidi La principale critica mossa dal giornalismo, “tradizionale”, all’informazione via web è che questa non ha un collegamento diretto alle fonti ed ognuno può scrivere quel che vuole senza responsabilità. Come la mettiamo?