Gabriele Romagnoli, Vanity Fair 10/4/2013, 10 aprile 2013
PUZZLE - IL PEZZO MANCANTE DELLA FINLANDIA
[da sistemare]
Questa è una piccola storia esemplare, una specie di favola del Nord Europa con (almeno credo) una morale universale.
Sera a New ’Vòrk. Invito a cena una coppia italiana, loro portano il cibo e un finlandese. È un giovane uomo dall’aspetto maturo. Ha ventiquattro anni, ma ne dimostra di più, vive da solo a Manhattan, lavora come manager in una grossa azienda del suo Paese che fabbrica giochi da tavolo. Sta curando il lancio dei prodotti negli Stati Uniti. «Ne proviamo uno?», propone.
Ora, io detesto i giochi da tavolo. La Corea ci punta i missili contro e tu invadi il Portogallo a Risiko. Il mercato immobiliare crolla e costruisci a via dei Giardini nel Monopoli. Sto mentendo. Io detesto i giochi da tavolo perché mi scatenano lo spirito di competizione. Posso perdere (e ho perso) in guerra e in amore, in Borsa e al casinò, ma se mi metto seduto con altri tre davanti a un mazzo di carte o un reticolato di caselle, non ammetto sconfitta.
E un problema, ma c’è chi sta peggio. E comunque il finlandese riappare con una versione aggiornata del Trivial Pursuit. Di fatto, si adegua ai quiz televisivi, riduce il coefficiente di bravura necessario per vincere, aumentando il ruolo del caso: prendi punti sapendo le risposte o scommettendo sugli awersari.
Fatto sta che a un certo punto bisogna indovinare il nome di un musicista e gli indizi sono «ha suonato a Woodstock ma non gli piacque il posto» e «ha contagiato con influssi indiani George Harrison». Poiché conosco un solo musicista indiano, punto su Ravi Shankar. Nessuno mi segue. Il mazziere scopre la risposta e annuncia perplesso: «Elisabeth Rehn». E chi è? Il finlandese arrossisce. Lui sa chi è Elisabeth Rehn e lo dice: «La prima donna ministro della Difesa nel governo di Helsinki. È quella che ha fatto entrare le donne nell’esercito».
Verifichiamo su Google, quello di Woodstock e di Harrison è, in effètti, Ravi Shankar. C’è un errore nelle risposte del gioco. Se esce in America e qualcuno si accorge che Elisabeth Rehn non suona il sitar (e qualcuno se ne accorgerà) son dolori. Prevedo una class action, una richiesta di risarcimenti milionaria da parte di gente che sosterrà di essere entrata in analisi dopo aver perso l’autostima per una risposta sbagliata che era giusta.
Il finlandese appare amareggiato, poi racconta la piccola storia universale. Dice: «Errori nei giochi da tavolo possono capitare. I più comuni succedono con i puzzle, quelli grandi, con oltre mille tasselli. Può succedere che nel confezionare le scatole qualcosa vada storto. Quando ho cominciato a lavorare in questa società stavo all’ufficio reclami. Un’estate mi scrisse un tizio. Aveva completato un puzzle da duemila pezzi e gliene era rimasto uno. Tutto era a posto, l’immagine era perfetta, ma nel-
la scatola c’era questo pezzo in più, un avanzo che si era rigirato tra le dita. Gli ho risposto: complimenti per essere riuscito nell’impresa, mi dispiace per il nostro errore, ma alla fine non ha pesato. Cari saluti. Lui ha scritto di nuovo. Non avevo capito il suo punto di vista:
sosteneva che magari qualcun altro non riusciva a completare il puzzle perché gli mancava proprio quel pezzo, voleva mandarcelo in caso ci giungesse una segnalazione opposta alla sua, perché il suo superfluo era per altri necessario e voleva ripartire equamente le risorse».
Comincio ad annusare una valenza sociale, anzi socialdemocratica dell’aneddoto, quando il finlandese mi sorprende con una seconda parte che devia verso il realismo magico, l’apologo karmico, il taccuino rosso di Paul Auster, dove cerca di mettere in righe il caos.
«Un anno dopo ho conosciuto un avvocato. A un certo punto mi fa: ah, l’altro giorno ho iniziato una causa di divorzio in cui c’entra un tuo gioco. Viene fuori che questa coppia ha deciso di separarsi per conclamata incompatibilità.
Quando il marito ha cercato di definire il momento in cui l’edificio del loro matrimonio ha cominciato a cedere, ha individuato una sera in cui lui e la moglie stavano giocando a comporre un puzzle, avevano praticamente finito, ma mancava un pezzo e hanno cominciato ad accusarsi a vicenda di averlo smarrito, fatto cadere, tu perdi sempre tutto, sei distratta, non tieni mai abbastanza a niente, neanche a me, quelle cose lì. Che si pensano, ma non si dicono finché c’è abbastanza passione, affetto, considerazione per tacere. Poi ci sono stati, probabilmente c’erano già, problemi più grandi, ma da quella sera a quei due è stato evidente che, per continuare a stare insieme, mancava loro qualcosa. E dopo due anni han-
no chiesto la separazione». Il finlandese tace. La coppia si guarda perplessa e un po’ inquieta. Io penso se, come farebbe Auster, posso ritenere che il tassello mancante alla coppia fosse lo stesso eccedente per l’uomo che voleva assolutamente restituirlo. E, se l’avesse fatto, sarebbe cambiato qualcosa in questo gran minestrone che, con indebita soavità, chiamiamo destino?
Certo che no, non ti preoccupare amico mio. La morale di questo gran gioco di ruolo che tutti, volenti e nolenti, vincitori e vinti, giochiamo è che ci sarà sempre qualcuno che sta solo, ha più di quel che gli serve, ma non può o non sa farne nulla e ci sono altri che stanno insieme, ma manca loro qualcosa, i tasselli non s’incastrano e presto o tardi dovranno staccarsi e neppure il creatore del puzzle potrebbe aiutarli.