Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 06/04/2013, 6 aprile 2013
MONDAZZI, ANTICHITA’ RICREATE
Anfore, pertiche, cesti, ciotole: sembrano oggetti corrosi dai secoli e riemersi dalla profondità delle necropoli. A crearli è invece uno scultore contemporaneo, Marcello Mondazzi, che a partire dagli anni Novanta del secolo scorso ha cominciato a lavorare su grandi fogli di metacrilato, policarbonato, perpspex. Li ha torturati con l’acqua e col fuoco fino a scaldarne la freddezza di prodotto industriale, a intaccarne l’asetticità, a trasformarli in grumi di materia che conserva memoria di una vita passata. Mondazzi, originario di Pratola Peligna, in provincia de L’Aquila, plasma i fogli in un capannone rurale sperduto nella campagna romana. «Avevo bisogno di un grande spazio per creare forme monumentali», racconta. Forme che ora sono esposte nella mostra «Frammenti del tempo», aperta fino al 9 giugno ai Mercati di Traiano (via Quattro Novembre, 94), dove dialogano con la maestosità delle antiche mura in laterizio e delle sculture in marmo, ma anche con le lastre di metacrilato trasparente che qualche anno fa sono state usate per chiudere e proteggere la Grande Aula dei Mercati.L’idea, come ricorda Lucrezia Ungaro, responsabile del sito archeologico, è nata un paio di anni fa: «Mondazzi si era affacciato ai Mercati, perché aveva saputo che nell’area era conservato un deposito di anfore romane, circa 350 pezzi provenienti in gran parte da uno scavo effettuato alla fine dell’Ottocento nella zona di Castro Pretorio». Le anfore erano quasi tutte incredibilmente intatte e i loro bolli vennero studiati dall’epigrafista tedesco Heinrich Dressel che compilò per la prima volta un catalogo di questi container del passato. Le iscrizioni indicavano infatti la tipologia delle merci trasportate, la ditta a cui era affidato il trasporto, l’officina che aveva fabbricato i vasi. Ora le anfore sono in restauro ed esposte per la prima volta in un ambiente suggestivo, anch’esso ignoto fino ad oggi al pubblico: la cisterna post-antica, ricavata vicino alla Grande Aula per il convento di Santa Caterina, che nel Seicento occupava la parte alta dei Mercati.Il percorso espositivo delle opere di Mondazzi si snoda invece nelle «tabernae» aperte lungo la via Biberatica. Nel primo ambiente si incontrano le Pertiche, i cui involucri vuoti ricordano la forma originaria delle canne utilizzate per misura, sostegno, delimitazione. Poggiate ai muri, interferiscono con lo spazio, dialogando con le fenditure, i buchi, le lacerazioni del pavimento. I frammenti di plastica che le compongono sono stati giuntati con il filo di ferro. «Una tecnica manuale arcaica che ho appreso da bambino dai vecchi piattai del mio paese, i quali ricomponevano in questo modo le stoviglie di casa andate in pezzi», racconta l’artista. Seguono altre sculture, tra le quali «Le anfore di Dressel», rielaborazione dei vasi archeologici conservati nella cisterna, e «Il Carro della memoria», una sorta di espositore dove sono allineati relitti di oggetti dalle forme irriconoscibili che rimandano ad arnesi e a strumenti di uso domestico provenienti dal lontano mondo contadino.
Lauretta Colonnelli