Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 03/04/2013, 3 aprile 2013
IL PADRE DEI FOTOREPORTER. SCATTI E IMPRESE DI PORRY-PASTOREL
Tutti si ricordano di Tazio Secchiaroli, il paparazzo immortalato da Fellini nel film «La dolce vita». Pochi conservano memoria di Porry-Pastorel, considerato il padre dei fotoreporter italiani. Secchiaroli raccontava: «Nella mia più che quarantennale carriera ho conosciuto, lavorato a fianco e visto lavorare, grandi e famosi fotografi come Richard Avedon, Gjon Mili, Yousuf Karsh. Ma nessuno mi ha dato quello che ha saputo darmi Porry. Egli ha lasciato in me un segno, quello che gli psicanalisti chiamano l’imprinting. Da Fellini ho appreso l’inquadratura, dalla Loren la luce e da altri molte cose rubando con gli occhi. Ma con Porry ho imparato a fare il fotoreporter». Aveva cominciato a lavorare con lui nel 1951 alla Vedo (Visioni Editoriali Diffuse Ovunque), l’agenzia che a quel tempo aveva la sede in via di Pietra 87, ma era apparsa nel 1908 in via del Pozzetto 122, fondata da un Porry non ancora ventenne. L’avventura del Maestro è ora rievocata in un libro scritto da Vania Colasanti, «Scatto matto. La stravagante vita di Adolfo Porry-Pastorel, il padre dei fotoreporter italiani», edizioni Marsilio.Nato nel 1888 a Vittorio Veneto, trapiantato a Roma quando frequentava ancora l’asilo, fin da adolescente Porry aveva iniziato a passare i pomeriggi nella tipografia del Messaggero. Poi era partito per la Germania, per imparare la tecnica della zincografia. Quando rientrò a Roma conosceva tutti i segreti della fotoincisione. Ma a renderlo il primo dei fotoreporter dell’epoca, il più veloce a consegnare i suoi scatti ai giornali, fu un segreto che pochi altri conoscevano: l’uso dei piccioni viaggiatori. Fu così che il 5 maggio del 1938 stupì Mussolini e Hitler che rientravano nel porto di Napoli dopo la dimostrazione di potenza delle forze armate italiane effettuata al largo della costa con corazzate, sommergibili, incrociatori, torpediniere. Nel tardo pomeriggio, quando sbarcarono sul molo, i due dittatori trovarono sul Giornale d’Italia le foto scattate poche ore prima. Porry aveva sviluppato la pellicola dentro un recipiente di bachelite nera, l’aveva asciugata con l’alcool e infilata in piccoli astucci di alluminio. Poi aveva tirato fiori da una cesta di vimini due piccioni e assicurato gli astucci alle loro zampette, lanciandoli nel cielo verso Roma. La moglie Franca li attendeva alla colombaia di origine, a piazza Zama, pronta a distribuire le immagini ai giornali. Vania Colasanti, che è lontana parente di Porry e ha potuto scavare nell’archivio di famiglia, ha ritrovato anche il biglietto che accompagnava gli scatti: «Anima Mia, volo presto da te. I miei baci attraversano i mari!».Le foto di Porry sono oggi conservate in gran parte presso l’archivio Farabola, a Vaiano Cremasco, in provincia di Cremona. L’autrice ne ha pubblicate alcune a corredo della storia, scelte fra oltre trentamila lastre e stampe originali. Raccontano le imprese del Duce, che Porry era costretto a seguire, anche se tra i due pare che non corresse gran simpatia. Porry rivelava le truffe della propaganda fascista: il servizio fotografico organizzato in piazza San Pietro con falsi sposi in bicicletta per esaltare l’autarchia; la battaglia del grano con modelle portate da Roma vispe e ben curate ma fatte passare per contadine; le ragazze sfreccianti per le strade di Roma in «velocino», quando la benzina cominciava a scarseggiare perché dirottata verso il fronte di guerra. Il «velocino» era una specie di bicicletta con la ruota posteriore normale e la ruota anteriore piccola come quella di un triciclo. In una foto compare lo stesso Porry che aiuta il poeta Trilussa a salire sullo strano trabiccolo.Altre immagini documentano gli sventramenti a Borgo per la costruzione di via della Conciliazione e quelli sotto il Campidoglio per l’apertura di via dell’Impero. Durante l’occupazione della città da parte dei nazisti, angosciato anche dalla scomparsa in Russia dell’unico figlio, Porry passò all’attacco e diventò uno dei maggiori attivisti del Centro X, il fronte militare clandestino, sfornando passaporti falsi per i partigiani e nuove identità per gli ebrei. Alla fine della guerra si ritirò a Castel San Pietro Romano dove diventò Sor Sì, il signor sindaco. Il paesello, poverissimo, divenne internazionale quando Porry convinse De Sica, Comencini e Lollobrigida a girarvi «Pane, amore e fantasia». E finì sulla copertina di «Life», quando il Sor Sì inventò Porcopoli, la zona riservata ai maiali fuori le mura, per evitare che gli animali continuassero a scorazzare per i vicoli.
Lauretta Colonnelli