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 2013  marzo 30 Sabato calendario

APOCALITTICI FRAMMENTI

Ci sono frammenti che denunciano progetti lasciati a metà. Altri che rievocano storie millenarie. Paolo Delle Monache, 44 anni, romano, e Benoit Felici, 29 anni, francese di origini italiane, hanno sovrapposto le due diverse tipologie di frammenti nella mostra «Non-finito, Infinito», alle Terme di Diocleziano fino al 30 giugno. I frammenti che parlano di infinito sono quelli degli spazi che contengono la mostra. Sono tessere del passato riemerse da tempi lontani. Sono i resti delle stesse Terme, il più grande impianto mai costruito a Roma e voluto dall’imperatore dalmata che in soli otto anni (tra il 298 e il 306 d.C.) riuscì a portare a termine l’enorme complesso che si estendeva per oltre tredici ettari. Comprendeva una piscina di tremilacinquecento metri quadrati, un frigidarium, un tepidarium, un calidarium, palestre, biblioteche. Poteva accogliere fino a tremila persone contemporaneamente. Passarono i secoli e pian piano gli imperatori pagani furono sostituiti dai papi. Milleduecento anni dopo, papa Pio IV affidò a Michelangelo l’incarico di sistemare le rovine delle Terme. Fu così che sopra i resti delle antiche vasche si innalzarono la basilica di Santa Maria degli Angeli e il convento dei Certosini. Chi entra a visitare la mostra di Felici e Delle Monache si troverà davanti questi monumenti nati per sfidare l’eternità. E seguirà il percorso espositivo all’interno dalle due grandi aule delle Terme, la X e la XI.L’aula X era uno degli ingressi principali al corpo centrale dell’antico complesso. Qui è stato trasferito quel che resta della tomba cosiddetta dei Platorini scoperta nel 1800 sulla riva destra del Tevere: dalla testa in marmo dell’avvenente Minatia Polla alle statue di Sulpicius e di sua figlia Platorina. Nelle nicchie sono state collocate le urne nella stessa posizione che avevano al momento del ritrovamento. Abbagliano ancora con le loro raffinate decorazioni: bucrani (crani di bue), festoni e ghirlande di frutta. Altre due tombe provengono dagli scavi di via Quirino Majorana, con tracce di affreschi e decorazioni con ghirlande di eroti e scene di sacrificio. L’aula XI, riaperta nel dicembre scorso dopo quattro anni di restauri, al tempo di Diocleziano era adibita a vasca di raccolta delle acque che alimentavano la piscina. Oggi ospita il mosaico bianco e nero di Ercole e Acheloo, risalente al II secolo d.C., rinvenuto nel 1931 nella villa di Nerone ad Anzio e considerato, con i suoi 80 metri quadrati di estensione, uno dei più grandi di Roma.Fino a giugno le due aule accoglieranno anche i bronzi di Delle Monache e il film «Unfinished Italy» di Felici. Le immagini realizzate dai due artisti si sovrappongono in uno scenario quasi apocalittico. Ma questi frammenti, che lo scultore ha creato e il regista ha ripreso frugando nelle devastazioni del paesaggio italiano, non sono i resti gloriosi di monumenti destinati a sopravvivere al tempo, bensì aborti di costruzioni progettate per un guadagno facile e non con l’intento di creare stupore e bellezza. Il non-finito di Delle Monache è fatto di scheletri di orrendi palazzi, quello di Felici di luoghi in cui è stato cancellato sia il passato che il futuro. Nel filmato di quest’ultimo la voce narrante è quella di un pastore profetico che evoca antiche leggende e al tempo stesso il desiderio di rompere l’incantesimo che ha trasformato in mostri paesaggi una volta splendenti. Ci sono inquadrature dalle quali non ci si riesce a staccare, come la casaponte, che un senza tetto ha ricavato costruendo una baracca sul troncone di un viadotto sospeso nel vuoto e trasformando la strada interrotta in un terrazzo recintato con filo spinato e bordato di piante in vaso. Sullo sfondo, una campagna di periferia con sacchetti di plastica che volano tra i cespugli stecchiti.Alla mostra, curata da Maurizio di Puolo e Anna Ranghi, promossa dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma in collaborazione con Electa e con il sostegno dello Studio Copernico di Milano, si accompagna il volume «Non-finito, Infinito» (ed. Electa). Introduzione di Marc Augé, l’antropologo francese che con le sue teorie sul senso del tempo, espresse in «Rovine e macerie», ha ispirato il lavoro dei due artisti.
Lauretta Colonnelli