Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 15/03/2013, 15 marzo 2013
SEAN SCULLY, ALLE ORIGINI DELLE SUE «GEOMETRIE»
Le opere del biennio ’74/’75 e tre acquerelli realizzati a Villa Massimo nel 2005 Fasci di linee Prima disposte in forma di reticolato, poi in strisce orizzontali sempre più sfumateI riferimenti Piet Mondrian, prima di tutto, ma anche le astrazioni di Ellsworth Kelly, i colori di Giorgio Morandi
Chi ha visto i dipinti di Sean Scully nella grande retrospettiva che il Macro Future dedicò nel 2008 all’artista dublinese, potrà ora capire le origini di quei dipinti visitando la mostra che si è inaugurata ieri presso la Galleria nazionale d’arte moderna (via delle Belle Arti 131), dove resterà aperta fino al 9 giugno. La rassegna presenta infatti le prime opere di Scully su carta, raccolte insieme dopo più di trent’anni: quindici disegni, due dipinti eseguiti poco dopo il trasferimento negli Stati Uniti, una sessantina di schizzi tracciati su pagine di un taccuino e tre acquerelli inediti eseguiti a Roma nel 2005. A parte gli acquerelli, tutte le altre opere risalgono al biennio 1974-75. Sono quelle in cui l’artista comincia a tracciare le sue geometrie composte da fasci di linee, prima disposte in forma di reticolato, poi in strisce orizzontali sempre più sfumate, attraversate da una luce soffusa nei toni del grigio e ammorbidita dai rosa e dagli ocra. Realizzata per il Drawing Center di New York da Joanna Kleinberg e Brett Littman, la mostra approda a Roma grazie al curatore Peter Benson Miller, accompagnata da un catalogo edito da Drago. Si intitola «Change and Horizontales». I «Change» che si incontrano all’inizio del percorso risentono dell’esperienza di Scully a Londra e in Marocco. A Londra, dove si è trasferito giovanissimo, ha vissuto nei quartieri a sud della città, in un’area industriale con strade tortuose e ferrovie fatte di travi in acciaio sovrapposte. Saranno questi paesaggi, attraversati da linee orizzontali e verticali, ad ispirare quelli che lui chiamerà i suoi «idiomi artistici». In questi fogli l’artista definisce il reticolato con il nastro adesivo e stende il colore direttamente sulla superficie con un cucchiaio o con le dita, tecnica che gli permette di avere una sensibilità tattile più diretta con la carta e i pigmenti. Ma si sente, in queste prime opere, anche l’influenza derivata da un viaggio in Marocco compiuto nel 1969. Tra Fez e Marrakesh, Scully restò affascinato sia dalla sensualità e dalla trama dei tessuti a righe, sia dall’architettura islamica e dal modo in cui la luce del Mediterraneo si rifletteva sulle facciate dei palazzi. Raccontano Kleinberg e Littman che iniziò in quel periodo a esplorare le possibilità e i limiti delle strutture a griglia e della consistenza della superficie attraverso l’uso di nastro adesivo, pittura acrilica e inchiostro su carta: «Combinando il rigoroso controllo della griglia con l’espressività del colore, i dipinti su carta di Scully traggono ispirazione dai profili, dai paesaggi e dalle tonalità che gli si pongono di fronte».Ma si legge in questi disegni anche la relazione dell’artista con i modernisti; con Piet Mondrian e il suo tentativo di realizzare un lavoro che fosse «spirituale e profondo attraverso l’uso dell’orizzontale e del verticale»; con le astrazioni di Ellsworth Kelly che definisce il proprio universo visivo riducendo drasticamente le strutture del paesaggio reale; con la tavolozza di Giorgio Morandi fatta di tonalità terrose applicate sulla tela con pennellate che non cercano di nascondere le imperfezioni, le esitazioni, i contorni irregolari. Al tempo stesso si percepisce il nascere di un minimalismo che approda a una dimensione meno astratta e impersonale. Come fa notare Maria Vittoria Marini Clarelli, soprintendente della Galleria che ospita la mostra, nelle griglie di Scully si depositano ascendenze, ricordi, echi di una formazione personale complessa: «Qualcosa della realtà circostante filtra sotto forma di atmosfera; per questo la sua pittura presuppone il paesaggio e la veduta».Così in «Change 24», uno dei primi dipinti dell’artista, si riconoscono le rotaie dei treni dell’Inghilterra industriale nella fitta reticolazione spalmata di un denso pigmento. Mentre nei tre acquarelli inediti, intitolati Roma e dipinti nel 2005 durante un periodo di residenza all’Accademia tedesca, si ravvisano le forme rettangolari dei mattoni romani, soprattutto quelli del Pantheon, ai quali pare che l’artista avesse dedicato particolare attenzione durante le sue passeggiate attraverso Città Eterna.
Lauretta Colonnelli