Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 08/03/2013, 8 marzo 2013
ALLA (RI)SCOPERTA DEL CUBISMO
«Se glielo dicessi gli piacerebbe. Gli piacerebbe se glielo dicessi. Gli piacerebbe, a Napoleone, a Napoleone piacerebbe piacerebbe. Se Napoleone se glielo dicessi se glielo dicessi se Napoleone?». La voce metallica e smagliante di Gertrude Stein recita in inglese i versi di una poesia lunghissima e senza senso, scritta nell’agosto del 1923 tra Nizza e Antibes, pubblicata l’anno dopo su Vanity Fair e registrata a New York tra il 1934 e il 1935. Titolo: «Se glielo dicessi. Un ritratto esauriente di Picasso». La scrittrice statunitense aveva conosciuto l’artista a Parigi, nel 1906. Lui le dedicò un ritratto famosissimo, lei adottò nella letteratura il linguaggio sperimentato da Picasso e Braque in pittura. Scrisse così i versi in cui il suono era più importante del significato. La voce di Stein accoglie i visitatori all’ingresso della mostra «Cubisti Cubismo», inaugurata ieri al Complesso del Vittoriano (ingresso da via San Pietro in Carcere) dove resterà aperta fino al 23 giugno. Si tratta una rassegna interessante perché non si limita a prendere in esame pittori e scultori che aderirono al movimento, ma indaga a tutto campo l’influenza che il cubismo esercitò in altri ambiti, dall’architettura al cinema, dal teatro alla moda, dalla letteratura al design. Tutti conoscono «Les demoiselles d’Avignon», il quadro di Picasso che nel 1907 diede avvio all’avventura cubista, ma pochi sanno che a Praga esistono palazzi cubisti costruiti tra il 1912 e il 1913 e che in Inghilterra, negli stessi anni, si disegnavano in stile cubista poltrone e tavolini da toeletta. A pochissimi, se non ai cinefili più accaniti, sarà capitato di vedere film come «L’Inhumaine» di Marcel L’Herbier del 1924, con scenografie di Léger, fotografia di Man Ray, musica di Darius Milhaud. O come «Entr’Acte» girato da René Clair in collaborazione con Francis Picabia, Erik Satie, Man Ray, Marcel Duchamp. Entrambi sono proiettati in mostra. Accanto ai costumi disegnati da Picasso per il balletto «Parade» (debutto nel 1917 al teatro dell’Opera di Roma), a quelli di Fernand Léger per la rutilante «Création du monde», scritta dal poeta Blaise Cendrars e messa in scena a Parigi nel 1923. E accanto alle fotografie e ai bozzetti di moda di Sonia Delaunay, che ci fanno vedere come il cubismo avesse sconfinato perfino nelle fantasie dei tessuti, nel taglio dei soprabiti e dei costumi da bagno. Non mancano, certo, i dipinti dei grandi protagonisti, come Picasso, Braque, Metzinger, Picabia, Derain, Gleizes, Severini, Max Weber e tanti altri. C’è un’insolita natura morta cubista di Diego Rivera, Una sontuosa e poetica ballerina spagnola di Natalja Goncarova. Un curioso collage con cocomero e liquori di Ardengo Soffici. Oltre cento opere. Senza contare i disegni, i bozzetti, i costumi, i modellini di architettura. Alessandro Nicosia, che ha avuto la felice idea della rassegna e l’ha affidata alla cura di Charlotte Eyerman e alla direzione scientifica di Francesca Villanti, è riuscito così a raccontare il cubismo come espressione di un nuovo progetto di vita, che all’inizio del secolo scorso rivoluzionò non solo le arti ma l’intero pensiero occidentale.
Lauretta Colonnelli