Barbara Ciolli, Linkiesta 24/3/2013, 24 marzo 2013
L’INTELLIGENCE CHE VIGILA SUL PAPA
Formalmente non esistono dai tempi di Benedetto XV, il papa che, nel 1922, sciolse il Sodalitium pianum, l’ultima sigla del potentissimo controspionaggio vaticano.
In realtà, nei decenni successivi, gli 007 della Santa alleanza - l’innominabile ’Entità’ creata nel 1566 dal grande inquisitore Pio V per proteggere la cristianità dagli scismi e detronizzare gli oppositori - non hanno mai smesso di raccogliere informazioni e costruire dossier, all’ombra della Cupola di San Pietro e ben protetti nelle nunziature distaccate della Santa sede.
Attivissimi, in America Latina e sul fronte russo con Giovanni Paolo II, i servizi segreti della Chiesa travalicano di molto, per struttura e ramificazione, il volto ufficiale e laico della Gendarmeria vaticana, vantando un’esperienza di trame e depistaggi che è la più antica al mondo. A detta del cacciatore di nazisti ebreo Simon Wiesenthal, addirittura «migliore del Mossad».
Ai 200 uomini bene addestrati dal comandante Domenico Giani, ex ufficiale del Sisde (la vecchia agenzia d’informazione interna italiana), va infatti aggiunta una rete nascosta di occhiuti cardinali, monsignori, uomini di Chiesa e fidati collaboratori laici. Per tradizione coordinati segretamente dalla Compagnia di Gesù - ordine militare oltreché religioso - fondata nel Cinquecento da Ignazio di Loyola.
Capo del controspionaggio, ai tempi di Karol Wojtyla era il porporato piacentino Luigi Poggi, decano morto ultra 90enne nel 2010. Non a caso nominato, in veneranda età, custode dell’archivio segreto vaticano.
Le ultime indiscrezioni vogliono che, oggi, il nuovo capo dell’Entità in odore di nomina sia José Luis Uboldi di Buenos Aires, oscura eminenza grigia dell’intelligence argentina e intimo di papa Francesco, nonché protetto da Rubén di Monte, arcivescovo emerito di Mercedes Lujan. Molto generoso, tra l’altro, nel distribuire rosari in aiuto ai soldati argentini, ai tempi della prima guerra del 1982, per le isole Falkland-Malvinas.
Oltre al papa Francesco argentino, dunque, un capo dello spionaggio argentino.
Forse è un’altra coincidenza. Ma il cardinal Jorge Mario Bergoglio, prima di ascendere al soglio pontificio con la missione di risanare la Santa sede, a Buenos Aires era un potente gesuita. Primo religioso della compagnia di Loyola della storia a diventare pontefice di Roma.
Magari, sulla rete, qualcosa sarà anche arrivato alle orecchie della ’presidenta’ argentina Cristina Kirchner, venuta in Vaticano a salutare il suo vecchio oppositore, per chiedergli privatamente anche di intercedere con gli inglesi sulla restituzione delle Malvinas.
Illazioni azzardate. Dietrologie che, immancabilmente, si susseguono dopo l’investitura del Conclave, nei giorni in cui si attendono impazientemente da Francesco nuove nomine ai vertici della Curia, sicurezza inclusa.
È un dato di fatto, tuttavia, che in Vaticano, l’Entità mai soppressa del controspionaggio sia stata una presenza costante anche durante le investigazioni che - dallo scandalo dei documenti rubati dal ’corvo’ Paolo Gabriele alla rinuncia di Benedetto XVI - hanno passato al setaccio i porporati della Santa sede.
Ben prima dell’esplosione di Vatileaks, nel suo libro inchiesta Le spie del papa (edito in Italia da Ponte alle Grazie nel 2008), il giornalista spagnolo-peruviano Eric Frattini aveva ricostruito, scandagliando una trentina di archivi tra America Latina e Usa, il fil-rouge delle operazioni d’intelligence vaticane che, dal Rinascimento al 2013, hanno quasi sempre cambiato in modo cruciale il corso della storia.
Non ultimo, ai tempi della cortina di ferro, attraverso l’impegno del cardinale cecoslovacco Jozef Tomko, braccio destro di Poggi nel controspionaggio della Santa sede e interlocutore dell’Agenzia di sicurezza nazionale americana, durante l’amministrazione di Jimmy Carter.
Lo stesso porporato Tomko è stato chiamato di nuovo in servizio nel 2012, a 88 anni, a redigere da Benedetto XVI, insieme con lo spagnolo Julian Herranz e l’italiano Salvatore De Giorgi, la Relationem sugli scandali della Chiesa: la madre di tutti i dossier di 300 pagine, consegnata a Joseph Ratzinger al termine del suo pontificato.
«L’indagine dettagliata e approfondita ha richiesto un’accurata opera d’intelligence», ha confermato a Lettera43.it Frattini, autore poi del secondo libro-inchiesta I corvi del Vaticano (Sperling & Kupfer, 2013), «due tomi blindati che finora hanno potuto leggere solo sei persone: Benedetto XVI, il segretario particolare Georg Gänswein, i tre cardinali relatori e infine Francesco».
Sigillata dal segreto vaticano, l’inchiesta conclusa a febbraio da Herranz, Tomko e De Giorgi è di livello superiore a quella precedentemente avviata dalla Gendarmeria per identificare l’autore, i mandanti e i complici dei furti (82 scatoloni) di documenti nell’appartamento di Benedetto XVI.
Tuttora aperti, ma vincolati al ’solo’ segreto processuale, pure i fascicoli del comandante Giani sono zeppi di informazioni riservate raccolte con intercettazioni, controlli a tappeto delle mail e interrogatori sulle abitudini di vita dei prelati. Ed è verosimile che, dei dettagli sui ’corvi’ abbiano preso conoscenza anche i cardinali della Relationem.
Tuttavia, i tre saggi hanno potuto indagare a raggio ancora più ampio, anche sulla rete di fedelissimi del segretario di Stato Tarcisio Bertone, dal quale dipendono lo stesso Giani con i suoi agenti e il direttore dello Ior Paolo Cipriani, preso di mira dal maggiordomo Paolo Gabriele e dalla nutrita schiera di ’corvi’.
Si capisce, come in Vaticano l’aria sia stata pesante, negli ultimi tempi. Con i porporati sovente autori di depistaggi sotto inchieste incrociate e, a loro volta, spesso vittime di ricatti e polpette avvelenate.
Ma non deve essere stato difficile, per un’intellighenzia sottile e in grado di smuovere, negli Anni 80, pedine e finanziamenti per far cadere il Muro di Berlino e di attraversare l’oceano per smantellare la Teologia della liberazione, risalire al reticolo intricato dei misfatti nella piccola Curia romana.
Il network delle spie vaticane è globale. E i bene informati dicono che, fuori dalle Colonne di San Pietro, nelle nunziature apostoliche, alle unità speciali volute dall’ex finanziere Giani (con tanto di hacker), per equiparare la Gendarmeria agli standard dell’Interpol, faccia sponda un apparato impenetrabile di collaboratori zelanti. Degno della vecchia Stasi e forte di una rete secolare di contatti e relazioni.
Sua Entità non solo non perdona, ma con l’era informatica poi si evolve e si aggiorna. Nati nel 1500 nati con il motto «per la croce e con la spada» e ramificati nei secoli in vari sottocircoli e fazioni, gli odierni cavalieri del controspionaggio sono anche abilissimi nel monitorare, ripulire e manipolare i dati di Wikipedia. Oscurando, in tempo reale, le informazioni scomode o errate sulla Santa sede.
«Tutto si può, in uno Stato assoluto, ma del resto anche nelle migliori democrazie è così. I servizi segreti sono, da sempre, le cloache dei governi addette al lavoro sporco», ironizza Frattini, «lo Stato di Dio non fa eccezione. Per di più con un’intelligence ultra collaudata, quasi millenaria».
Quella che, in silenzio, negli Anni 70 sventò complotti sfuggiti alla Cia e al Mossad, come l’attentato al premier israeliano Golda Meir. E, dopo l’11 settembre, preservò la città eterna da al Qaeda, circondandosi di strane leggende.
In via dei Cherubini 32 a Roma, un esercito di dotti e religiosi 007 al lavoro nel fantomatico Istituto gesuitico di studi vaghi - di nuovo, i gesuiti di Pio V e Bergoglio - sarebbe, per esempio, da decenni capitanato da un improbabile e non meglio identificato monsignor Novacek. Strana centrale del controspionaggio extraterritoriale, mai appurata. Eppure, al centro di recenti e curiose interrogazioni parlamentari a Montecitorio.