Carlo Grande, La Stampa 12/4/2012, 12 aprile 2012
QUALI SONO LE ZONE PIU’ INQUINATE?
Il disastro ambientale nelle ex aree Italsider ed Eternit di Bagnoli, periferia di Napoli, rilancia l’allarme sui siti industriali più inquinati, un’eredità molto diffusa in Italia e nel mondo. Quali sono le altre Bagnoli d’Italia?
In molte altre zone ci si ammala per l’inquinamento delle industrie Un rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente sull’inquinamento prodotto dagli stabilimenti industriali in Europa segnalava più di 60 fabbriche italiane, nella lista dei 622 siti più tossici del continente. La maglia nera spetta alla centrale Enel termoelettrica a carbone Federico II di Cerano, in provincia di Brindisi, la seconda più grande del Paese dopo Civitavecchia.
E poi?
L’Ilva di Taranto, naturalmente, con l’emissione di oltre cinque milioni di tonnellate di anidride carbonica l’anno e le raffinerie Sarde Saras di Sarroch, in provincia di Cagliari, di proprietà della famiglia Moratti, la raffineria più grande d’Italia, con una capacità di produzione di 15 milioni di tonnellate annue di petrolio, ossia il 15% della capacità italiana di raffinazione. È una vera e propria città del petrolio addossata al paese di Sarroch, e molte case sono state costruite quasi a ridosso dei serbatoi.
La Sardegna ha altri luoghi inquinati?
L’aria dell’isola è altamente inquinata anche per la presenza della centrale termoelettrica E.on di Fiume Santo (Sassari), nell’area industriale di Porto Torres, e della centrale Grazie Deledda di Portoscuso, nel Sulcis. Il Sulcis, nell’area di Portovesme, è un bacino che accoglie aziende diverse, dalla produzione di alluminio (Alcoa, Eurallumina), bitume e polistirolo, al trattamento dei gas e alla gestione di rifiuti speciali. C’è anche una miniera di carbone (Carbosulcis spa). Porto Torres e il Sulcis sono nelle stesse condizioni dell’Ilva di Taranto.
E l’altra isola, la Sicilia?
Non si salva neanche lei, con il polo petrolchimico di Gela, quello siracusano (Augusta-Priolo) e le raffinerie di Milazzo (Messina). Queste aree sono state dichiarate «a elevato rischio ambientale» da uno studio dell’Istituto superiore di sanità, che ha osservato un’alta incidenza di patologie tumorali. I siciliani che lavorano o abitano attorno a questi stabilimenti industriali, secondo l’Iss, si ammalano soprattutto di «tumore maligno del colon retto, della laringe, della trachea, bronchi e polmoni».
Quali altre regioni italiane compaiono in questa classifica?
Nel Centro Italia il sindaco di Civitavecchia aveva minacciato di far chiudere la centrale Enel a carbone di Torrevaldaliga Nord per via dell’inquinamento prodotto dai fumi. Altra regione in cui sono state individuate numerose aree ad alto rischio ambientale è il Veneto: l’impianto termoelettrico Enel di Fusina è tra le fabbriche pericolose segnalate dalla Eea, come la raffineria di Venezia-Porto Marghera dell’Eni.
I grandi impianti industriali diffondono anche l’inquinamento atmosferico?
Sì, anche questo va calcolato tra gli oneri in termini di vite perse, salute precaria delle popolazioni, danni alle colture. In questo senso la Pianura Padana, per esempio, è una delle aree più inquinate d’Europa, a causa dei gas di scarico degli automezzi: secondo un rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente è la zona che soffre di più per l’inquinamento atmosferico, visto che le nuove indicazioni dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro hanno etichettato come cancerogeni i gas di scarico derivanti dai motori a gasolio.
Nel mondo, quali sono le aree più inquinate?
L’Europa dell’Est è ancora troppo poco attenta all’inquinamento, mentre Cina, Russia e India sono tra le nazioni più a rischio. L’associazione ambientalista Blacksmith Institute, in cooperazione con Green Cross Svizzera, ha pubblicato la classifica dei primi 10 luoghi più inquinati al mondo, con in comune un unico fattore: la preminenza degli interessi economici e del denaro rispetto alla tutela dell’ambiente e alla salute delle persone. Al primo posto Sumgayit, Azerbaijan, per anni uno dei poli petrolchimici più importanti dell’ex Unione Sovietica. Al secondo Linfen, nella regione dello Shanxi in Cina Nordorientale. Da qui si estraggono i 2/3 del fabbisogno totale di carbone della Cina. C’è poi Sukinda, India, battezzata «la valle della cromite», dal cromo che si estrae. Miniere e industrie del cromo scaricano senza alcun controllo i loro rifiuti direttamente nel fiume Brahmani che bagna la città.
C’è speranza di ripulire un giorno queste aree?
Sì, le tecnologie e la sensibilità ecologica si stanno evolvendo ma si potrebbe fare molto soprattutto in termini di prevenzione: secondo molti esperti a proposito dell’inquinamento atmosferico si dovrebbe aumentare la quota di merci trasportata su rotaia e via acqua, introdurre più veicoli di tipo Euro 4 e 5 che determinerebbero il 40-60% di costi in meno, coinvolgere nei rimborsi le compagnie di trasporto per quanto riguarda i danni ambientali e sanitari e infine incentivare l’uso di tecnologie nuove e più pulite.