VARIE 1/4/2013, 1 aprile 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA LA POLITICA
REPUBBLICA.IT
ROMA - Con lo stallo nella formazione del nuovo governo e l’avvicinarsi dell’elezione del presidente della Repubblica, le tensioni interne al Pd si fanno sempre più forti, ma il segretario Pierluigi Bersani esclude la possibilità di una scissione del partito. "Non abbiamo rischi di questo genere", dice il leader democratico incontrando i giornalisti alla Camera dove ha visto per un’ora Roberto Maroni e una delegazione della Lega in vista proprio della scelta del candidato per il Quirinale.
Stando alle indiscrezioni anche il Carroccio, dopo Silvio Berlusconi, avrebbe aperto all’ipotesi che Bersani possa salire al Quirinale come successore di Giorgio Napolitano. Non si sarebbe trattato di una proposta esplicita, ma nel delineare l’identikit del candidato non si è escluso che la figura del leader Pd possa essere adeguata. Il segretario democratico ha però colto in modo assai tiepido l’idea, con in mente ancora il suo progetto di governo del cambiamento. "Gli unici colli cui penso sono quelli Piacentini...", ha detto con distacco ai suoi.
Posizione poi ribadita con tutti i crismi dell’ufficialità da Enrico Letta. "Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, non è candidato al Quirinale, come si sostiene in alcune indiscrezioni di stampa in queste ore", chiude il vicesegretario. "Bersani - aggiunge - sta lavorando perché il confronto con le diverse forze parlamentari produca una candidatura largamente condivisa per la presidenza della Repubblica, così come recita la Costituzione".
E a tirarsi fuori è oggi anche Massimo D’Alema, altro nome "papabile" circolato con insistenza in quest ore. "Io non sono candidato a nulla, non ci sono candidati", ha detto l’ex premier dopo un incontro con Matteo Renzi.
"Noi siamo pronti a trattare insieme al Pdl sulla formazione del futuro governo mentre sul capo dello Stato la Lega agisce in autonomia", ha detto il capogruppo del Carroccio al Senato Massimo Bitonci al termine del faccia faccia. "Il segretario Maroni ha chiesto a Bersani di fare subito un governo forte perché la situazione economica è così grave che non si può più aspettare, noi siamo pronti a fare anche adesso un governo", ha aggiunto.
Subito dopo la Lega Bersani ha incontrato anche Luciano Violante, responsabile istituzioni del Pd e tra i saggi incaricati da Napolitano di mettere a punto un’agenda sulle riforme istituzionali per il governo.
L’ipotesi di Bersani al Colle, per quanto declinata dal diretto interessato, pare non spiacere però ad alcune aree del Pd, che ricordano come il ruolo del Presidente sia cruciale per i prossimi sette anni. La scelta avrebbe poi ripercussioni sugli assetti interni, già molto precari. Tanto che, come detto, a sollevare la paura di una scissione era stato in particolare Dario Franceschini, denunciando ieri il ritorno all’interno del Pd di "rigurgiti identitari". L’ex capogruppo a Montecitrio si è detto infatti molto colpito dagli attacchi partiti all’indomani dell’intervista nella quale sosteneva la necessità di dialogo con Silvio Berlusconi.
Un allarme, quello di Franceschini, al quale Matteo Orfini, responsabile Cultura del partito, dà una chiave di lettura "tattica". "La questione della scissione - sostiene Orfini parlando ad Agorà, su Raitre, - sta emergendo nel dibattito anche perché ci sono leader logorati che, evocandola, cercano di mantenere rendite di posizione figlie del passato".
Ad agitare le acque nel Pd sono ancora le polemiche per l’esclusione di Matteo Renzi dai grandi elettori della Toscana per il nuovo capo dello Stato e l’affondo di Rosi Bindi contro Bersani. "Quando leggo che dovremmo fare un governo che vive grazie al fatto che un po’ di senatori del Pdl escono dall’aula e che magari poi arriva qualche voto ’grillino’, mi viene da dire che stiamo dando a Berlusconi le chiavi del nostro cosiddetto ’governo del cambiamento’", ha spiegato la presidente del partito in un’intervista alla Stampa. Dunque, aggiunge, "nessun baratto" sull’elezione del presidente della Repubblica ma "questo deve valere anche per noi: nessuno scambio improprio, nemmeno per ottenere il ’si parta’ per il cosiddetto governo di minoranza".
© Riproduzione riservata (11 aprile 2013)
INCONTRO RENZI-D’ALEMA
E’ durato oltre cinquanta minuti l’incontro tra Massimo D’Alema e Matteo Renzi a Palazzo Vecchio . "E’ stata una lunga, cordiale e amichevole conversazione". I due esponenti del Pd sono rimasti da soli nello studio di Clemente VII per parlare della situazione politica. All’uscita D’Alema ha definito l’incontro molto cordiale: "E’ stata una lunga, cordiale e amichevole conversazione". Il fatto che D’Alema prima dell’incontro che avrà domani mattina con Bersani abbia parlato a lungo con Renzi significa che l’ex premier attribuisce al sindaco di Firenze un ruolo di primo piano nel partito e sulla scena politica nazionale.
Massimo D’Alema è arrivato poco prima delle 15 in Palazzo Vecchio a Firenze. D’Alema si è diretto verso l’ufficio del sindaco passando per il salone dei ’500 senza rispondere alle domande dei cronisti. Meno di un’ora e l’incontro si chiude: "E’ stato un errore escludere il sindaco di Firenze dai Grandi elettori del Quirinale" dichiara l’ex presidente del Consiglio.
E ancora: secondo D’Alema la scelta sul nuovo presidente del Consiglio sarà possibile solo dopo che si sia trovata una "larga convergenza" sul voto per il Quirinale. E "io non mi sono autocandidato a nulla", ha quindi aggiunto parlando del Quirinale.
Nel pomeriggio l’ex presidente del Consiglio terrà una lezione sulla crisi dei partiti in Europa all’Istituto di Scienze umane, che ha sede a Palazzo Strozzi. Non un’occasione qualunque: l’iniziativa a Palazzo Strozzi è organizzata da Dario Nardella, deputato di area renziana, ex vicesindaco di Firenze e, come D’Alema, proveniente dai Ds. Segno che l’incontro di oggi non nasce a caso e non è niente affatto una coincidenza, anzi assume un significato simbolico.
E’ il primo incontro tra i due esponenti politici del Pd dopo le elezioni politiche. Ma è da settimane che l’ex presidente del Consiglio, a quanto pare, cerca un incontro col sindaco Renzi. Un faccia a faccia che lo stesso Renzi avrebbe più volte rinviato e che avrebbe voluto fare non in sede neutrale ma a casa sua, nel suo ufficio in Palazzo Vecchio per non suscitare polemiche.
Durante le primarie più volte Renzi attaccò D’Alema e il presidente uscente del Copasir rispose anche con toni duri. Eppure, giurano persone vicine ad entrambi, non è casuale che si vedano proprio in queste ore e in questa fase: entrambi, del resto, sembrano condividere una perplessità sulla linea di Bersani, soprattutto sul continuo inseguimento di Grillo. Per Renzi, quasi una rotta di collisione. Per D’Alema i toni sono diversi. Ma c’è chi giura che tra i due potrebbero nascere inediti schemi d’intesa.
"Sarà Bersani a dire chi è il candidato per il Quirinale" ha spiegato infine D’Alema. Per la scelta del candidato al Quirinale "è stato scelto un metodo di ampia consultazione, condotta da Bersani, per scegliere un candidato o una candidata di alto profilo, e che abbia il più alto consenso possibile".
(11 aprile 2013)
In pieno stallo per l’elezione del nuovo inquilino del Colle, spunta un’autocandidatura del segretario del Pd, poi smentita. Uno scenario improbabile, che imporrebbe a Bersani stesso un governo di larghe intese con Berlusconi. Il commento del vicedirettore di Repubblica, Massimo Giannini
IL PEZZO DI REPUBBLICA DI STAMATTINA
ROMA
— E adesso il Pdl accarezza l’idea di lasciar eleggere Pierluigi Bersani al Colle. Una «folle idea», soluzione a sorpresa che tuttavia in questo scenario imprevedibile Silvio Berlusconi ha prospettato ai suoi nei conciliaboli delle ultime 36 ore. Mossa disperata e ultima, per aprire poi al governo di «larghe convergenze». Sta di fatto che parlamentari e dirigenti a lui vicini sono stati impegnati per tutto il pomeriggio a rilanciarla e metterla in circolo, tra il Transatlantico della Camera e la buvette del Senato. Quasi per sondare fin d’ora l’effetto che fa.
«Dal colloquio avuto con Pierluigi ho avuto la sensazione che non escluda affatto di finire lui stesso al Colle e a quel punto, vi dirò, potrebbe pure servire a sbloccare la situazione» racconta il Cavaliere nella cena avuta martedì sera fino a tarda ora con Alfano,
Verdini, Brunetta, Schifani, Gasparri, Cicchitto, a Palazzo Grazioli. Il faccia a faccia si è concluso da qualche ora. Il ragionamento dell’ex premier, riproposto ad altri dirigenti andati a trovarlo ieri nella sua residenza romana, va detto che è improntato di nuovo al pessimismo. «Non mi attendo nulla di buono, Bersani mi è apparso assai fragile, non so fino a che punto sia in grado di garantire la compattezza dei suoi». La polemica di Renzi in ultimo fornisce a suo dire un quadro assai frastagliato e incerto dentro il Pd. Il clima si è «imbruttito », conferma chi è di casa a Grazioli. Con i “falchi” del partito, da Brunetta a Gasparri, a rincarare la dose: «A breve le elezioni ammini-strative, come si fa a dar credito e fare accordi con questi del Pd?».
Ma quella bersaniana potrebbe essere la carta che spariglia, secondo Berlusconi. «Chiaro che se loro puntano su Bersani - ragiona -, noi dovremo decidere se votare un nostro candidato di bandiera ma lasciando che venga eletto o addirittura ufficializzare il nostro sostegno ». «Ma tutta la partita a quel punto si riapre, il clima potrebbe diventerebbe favorevole a un governo di larghe convergenze» come ama definirlo ora il Cavaliere. Esecutivo con ministri politici Pdl o di area, governo di scopo: quello che negli anni Settanta veniva definito «governo orrendo», da naso turato, insomma.
Ma le due partite, l’“azzardo” Bersani e il governissimo, per Berlusconi devono tenersi insieme. «Anche l’Europa ci chiede di dar vita in fretta a un governo, come fanno a non rendersene conto?», ha insistito coi suoi Berlusconi, alludendo al richiamo Ue di ieri mattina sul rischio-contagio Italia. Il leader Pdl intende tornare alla carica con Bersani, nella telefonata che potrebbe intercorrere prima di sabato e nell’incontro della prossima
settimana. «Di positivo c’è che i due hanno instaurato un filo diretto, vedremo a che porta» spiega il neo vicecapogruppo al Senato, Paolo Romani. Ad ora, prevale il pessimismo e il voto (il 7 luglio) resta l’ipotesi su cui scommettono in via dell’Umiltà. È un coro, «il Paese
paga l’irresponsabilità del Pd e la chiusura testarda di Bersani», sintetizza Anna Maria Bernini, da ieri portavoce del gruppo al Senato. Anche perché «lo scenario non è mutato e la nostra strada è dritta» puntata sulle elezioni, intende Maurizio Lupi. Non a caso il capo
ha già preparato un discorso tutto in attacco, in vista della manifestazione di sabato a Bari. E poi, ragiona Augusto Minzolini nel Salone Garibaldi del Senato durante i lavori d’aula, «a fronte del pantano in cui ci troviamo, il voto anticipato consentirebbe di approfittare del
forte calo dei consenti di Grillo». Quel che tutti tacciono è che senza un presidente garante e un governo con ministri Pdl, Berlusconi vede il solo ritorno a Palazzo Chigi quale baluardo per difendersi dai processi che lo assediano.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
LEADER
Pierluigi Bersani guida il Pd dal 2009 A dicembre ha vinto le primarie e si è candidato a capo della coalizione del centrosinistra alle ultime elezioni politiche
PEZZO DI BEI STAMATTINA SU REPUBBLICA
RANCESCO BEI
PRIMA che un possibile accordo, faticosamente conquistato in questi giorni di consultazioni e incontri riservati, evapori nella palude del voto segreto, affossato dai tanti franchi tiratori interessati a creare difficoltà alla lunga marcia del segretario Pd.
Dunque al lavoro. I canali di comunicazioni con via dell’Umiltà sono apertissimi, Denis Verdini e Gianni Letta sono stati incaricati di tenere i contatti. L’obiettivo è arrivare all’elezione al primo scrutinio, il «metodo Ciampi» è quello richiamato in queste ore al Nazareno, quando i Ds suggerirono a Berlusconi il nome e il centrodestra accettò, mandando al Colle l’ex governatore della Banca d’Italia con 700 voti su 1000 grandi elettori. Oggi stesso Bersani dovrebbe avere un altro colloquio — questa volta
soltanto telefonico — con il Cavaliere. Mentre martedì i due si dovrebbero rivedere faccia a faccia. E stavolta, questo almeno è l’auspicio del leader del Pd, per mettere nero su bianco l’intesa. Nel frattempo il segretario del Pd proseguirà nei suoi incontri con la Lega e il Movimento 5 Stelle. Di fatto delle nuove consultazioni, che hanno anche lo scopo di trasformare la “rosa” per il Quirinale in una margherita da sfogliare, con i vari petali che cadono uno ad uno. Una strategia alla Agatha Christie, con dieci piccoli indiani che vengono fatti fuori via via.
Il primo petalo, Romano Prodi, sembra essere caduto proprio martedì, quando Bersani e Berlusconi hanno convenuto su un
nome «condiviso» tra i due schieramenti. Quali altri nomi restano da sfogliare? Il più accreditato è quello di Giuliano Amato. Proprio l’ex premier socialista gode
della stima dell’attuale capo dello Stato, che lo ritiene la persona con l’esperienza forse più adatta per traghettare l’Italia fuori dalla crisi. Ma in queste ore sono due i pretendenti che rimbalzano
sempre più forti da un partito all’altro: Pietro Grasso e Paola Severino. Il Guardasigilli è molto ben vista da Berlusconi, interessato soprattutto a mandare al Colle un capo dello Stato che non lo lasci da solo a fronteggiare i giudici. Non a caso, nell’incontro con Bersani al quinto piano di Montecitorio, il leader del Pdl ha chiesto soltanto una cosa: «Nel caso si facesse un governo insieme, a noi andrebbe bene che a via Arenula restasse Severino». E se l’avvocato penalista per Berlusconi andrebbe bene come ministro della Giustizia, tanto meglio andrebbe come successore di Napolitano. Nella strategia di rallentamento tramite legittimi impedimenti dei suoi processi, per
farli essiccare al sole delle prescrizioni, è fondamentale infatti che al Quirinale ci vada qualcuno che non faccia sponda con i pm. E la Severino, visto il lavoro fatto
sulla riforma del reato di concussione, molto apprezzato dagli avvocati del Cavaliere, darebbe sufficienti garanzie. Ignazio La Russa, scherzando in Transatlantico, lo spiega a bassa voce a un col-
lega di Fdi: «Mi hanno raccontato che Berlusconi ha in mente una donna come capo dello Stato ». E l’altro: «Una donna? Chi?». La Russa: «Di nome fa Salva, di cognome Condotto...!». Risate generali.
L’altro candidato, l’attuale presidente del Senato, avrebbe invece il vantaggio ulteriore di liberare lo scranno di palazzo Madama per un esponente del Pdl. In ogni caso per Berlusconi al Quirinale ci deve andare «un politico », una personalità che abbia esperienza e non un outsider. Nel Pdl non convince ad esempio il nome di Giuseppe De Rita, presidente del Censis. Andrebbero invece bene al Cavaliere sia D’Alema che Violante, «ma Bersani — ne è convinto Berlusconi — non
riuscirà a tenere unito tutto il Pd su quei due nomi».
Così, alla fine, se si arrivasse a uno stallo nelle trattative, a spuntarla potrebbe essere a sorpresa il personaggio che ha tessuto la tela delle consultazioni per quaranta giorni. Proprio lui, Pierluigi Bersani. Quella che sembrava all’inizio una boutade, nelle ultime 48 ore ha preso infatti quota sopra le altre. Una candidatura che è stata soppesata attentamente dal Pdl. Con il segretario del Pd al Quirinale, a palazzo Chigi potrebbe andare un premier “di scopo”, Pietro Grasso, un uomo che favorisca un accordo sulle riforme. A chiudere il cerchio uno dei “saggi”, Gaetano Quagliariello, sarebbe eletto sulla poltrona più alta di palazzo Madama. Bersani al Colle renderebbe di colpo piatto il mare tempestoso del Pd, placando gli scontri interni. E lasciando un’autostrada a Matteo Renzi, a quel punto unico leader in campo per il centrosinistra.
GRILLO SCEGLIE IL SUO PRESIDENTE
ROMA - "Oggi, gli iscritti al MoVimento 5 Stelle al 31 dicembre 2012, che abbiano inviato i documenti digitalizzati, potranno proporre il loro candidato per la presidenza della Repubblica fino alle ore 21. I primi dieci candidati saranno in seguito, il giorno lunedì 15 aprile, votati per scegliere il nome che sarà indicato dal gruppo parlamentare del M5S. Coloro che hanno il diritto di proporre il prossimo presidente della Repubblica riceveranno una email con le istruzioni dopo le ore 10 di questa mattina". Così Beppe Grillo in un post pubblicato sul suo blog. Poi, aggiunge: "La coppia Bed & Breakfast, Bersani e Berlusconi, decide nelle segrete stanze il presidente dell’inciucio escludendo di fatto ogni partecipazione popolare mentre il M5S avvia una consultazione pubblica e democratica attraverso i suoi iscritti. Chi tra i due ha ’un deficit di democrazia interna’?".
I criteri del voto. Gli attivisti del Movimento hanno dunque la possibilità di proporre liberamente un candidato. Ma si tratta di una votazione "al buio", forse poco trasparente per gli iscritti, perché non viene visualizzata alcuna lista di nomi dopo aver espresso il voto (come si vede nella foto a fianco). Il 15 aprile, conteggiando i più votati, verrà stilata la rosa dei dieci candidati per il Colle. Sarà la società di Casaleggio a gestire sia il software che la gestione dello scrutinio. Il deputato M5S Roberto Fico ha spiegato che toccherà "a una società internazionale terza certificare le operazioni". Ma il nome - ha spiegato - sarà annunciato solo lunedì.
Timide aperture. Da qualche deputato arrivano aperture sulla scelta del candidato. Il deputato M5S Adriano Zaccagnini, ad esempio, afferma di aver votato "per Stefano Rodotà". "Mi auguro - continua - si arrivi a eleggere una figura alta, che non nasca dall’inciucio Pd-Pdl, ma che possa essere condivisa da noi col Pd. Se si andasse al quarto scrutinio, col Pd valuteremmo tutte le soluzioni". A chi gli fa il nome di Romano Prodi, risponde: "Ha luci e ombre". Ma Roberto Fico subito chiude: "Voteremo il nostro candidato fino alla fine". E aggiunge: "Per la scelta del nostro candidato premier secondo me dovremmo usare la stessa procedura".
Lombardi, dubbi su Prodi e Bonino. Di sicuro, come sottolinea anche la capogruppo M5S alla Camera, l’identikit del prossimo presidente della Repubblica deve corrispondere a quello di una personalità di "altissimo profilo": "Uno che porti il nome degli italiani nel mondo con vanto e senza farci vergognare". Con l’avvio della consultazione sul web, circola anche il nome di Romano Prodi. Ma Lombardi si dice "sorpresa". "Prodi è una figura che per certi versi è legata alla vecchia politica. Ma - ricorda - il web è sovrano". Anche sul nome della Bonino ha delle perplessità: "La sua posizione sulle liberalizzazioni è antitetica a quelle del M5S".
Quanto all’ipotesi di riconferma di Napolitano, la Lombardi commenta: "Da quello che ho visto del presidente penso che abbia diritto di godersi la sua vecchiaia e di fare il nonno". "Lasciamolo andare, ha 87 anni, si goda la vecchiaia".
Le spese dello Tsunami tour. Intanto Grillo mostra il rendiconto delle spese per lo Tsunami tour, la sua campagna elettorale: "Il MoVimento 5 Stelle ha finanziato la sua campagna elettorale con le micro donazioni volontarie di 27.943 cittadini - scrive sul blog - Grazie a loro il M5S ha raccolto 774.208,05 euro, ne sono stati spesi 348.506,49. La differenza sarà devoluta ai terremotati dell’Emilia Romagna". "Le voci di spesa rendicontate sono pubblicate qui, insieme alla lista dei donatori con relativo contributo - aggiunge - Si ringraziano i fornitori che hanno deciso di non richiedere alcun compenso". A differenza di quanto ha fatto Renzi, però, nessun nome compare nella lista. I donatori restano anonimi.
Sala del Mappamondo occupata. Anche oggi sono continuate le proteste per il mancato avvio delle commissioni. A Montecitorio questa mattina, dopo l’invito alla "autoconvocazione" esteso ieri a tutti i gruppi, i grillini sono passati al contrattacco poiché si sono visti negare dai Questori di Montecitorio, la Lombardi, l’accesso alle aule di commissione. Contromisura: una "occupazione" dell’unica aula operativa da parte di tutti e 109 i deputati grillini, la sala del Mappamondo, ora destinata all’attività della Commissione speciale.
Ma il vicepresidente della commissione speciale della Camera Pier Paolo Baretta (Pd) ha smentito che ci sia stata una vera "occupazione": "La sala del Mappamondo non è occupata. Esiste l’articolo 38 del regolamento che prevede che tutti i deputati possano partecipare ai lavori della commissione".