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 2013  aprile 10 Mercoledì calendario

SE A MILANO IL COMUNE SI BLOCCA PER IL CAFFE’ PIU’ CARO DI 5 CENT

C’è l’Italia dei nuovi mar­tiri appesi alle travi de­gli scantinati, morale a pezzi e forze esaurite nel gran­de mattattoio della crisi. Ma proprio lì fuori dai macabri box, nella stessa nazione boccheggiante e attonita, c’è un’al­tra Italia ineffabile e indefessa, l’Italia che non capisce, o che finge di non capire, l’Italia ari­da e abbruttita dalla totale man­canza di coscienza civica, o di semplice coscienza. Non è un’Italia definita dentro un di­stretto, una città, una regione: è un’Italia ovunque, ne siamo cir­condati.
La si può trovare a Milano, nella capitale morale ed econo­mica, nella metropoli dei movi­menti indignati e della società civile. In questa Milano i dipen­denti comunali scatenano la contestazione stile porto di Danzica per una causa alta e sa­cra, la madre di tutte le cause: l’aumento della tazzina di caffè da 25 a 30 centesimi. Come documenta con foto il sito di Repubblica, i lavoratori dell’ufficio personale in via Bergognone improvvisano assem­blee, colazioni di protesta, cam­pagne di sensibilizzazione, nonchè volantini in cui si de­nuncia quanto «sia profonda­mente ingiusto, in periodo di crisi, blocco degli stipendi e aumenti del costo della vita, che il Comune aumenti il prezzo di bevande e snack dal 20 al 40 per cento».
La denuncia è spietata, con tanto di tariffario: biscotti da 30 a 70, frolla da 30 a 50, merendi­na al cioccolato da 0,70 a 1,10. Inaccettabile. La mobilitazio­ne è totale. E l’incendio potreb­be essere soltanto all’inizio. Gli aumenti difatti sono legati al cambio dell’appalto di gestio­ne, deciso a Palazzo Marino, e ri­guardano tutti i 313 distributori presenti nei vari uffici comuna­li, dunque anche nelle bibliote­che, nelle scuole, nel comando dei vigili. È possibile che la pro­testa si estenda a macchia d’olio,con alto sprezzo del peri­colo e purtroppo anche del ridi­colo.
A Reggio Calabra pure peg­gio, molto peggio. Qui l’Italia che non capisce, o che finge di non capire quanto duro sia il momento, quanto drammati­co sia il destino di troppi lavora­tori improvvisa­mente riciclati in nuovi cassinte­grati, nuovi di­soccupati, nuovi poveri, nuovi di­sperati, qui l’Ita­lia barbara­ e cini­ca addirittura irri­de il posto di lavo­ro e ferisce a mor­te il senso di collettività.
L’inchiesta della Guardia di fi­nanza ha un titolo molto fami­liare, che evoca da sempre le più fulgide tradizioni naziona­li: «Torno subito». Non uno, non due, non qualche caso in­guaribile: un intero sistema, novantacinque dipendenti del Co­mune. Utilizzando- come sem­pre - ingegno e organizzazione degni di migliore causa, questi rappresentanti dell’istituzione hanno messo in piedi un formi­dabile m­eccanismo per lavora­re senza fatica, senza impegno, senza vergogna. Favori recipro­ci, scambi di badge personali: quanta solidarietà, quando c’è da far male. Alla faccia della crisi, della disoccupazione, dei di­sperati appesi alle travi nei sot­toscala, alla faccia di tutti e di tutto, questi italiani continua­vano imperterriti a truffare il bi­lancio pubblico. Molti di loro si presentavano in ufficio due o tre ore dopo l’orario previsto, grazie al complice che aveva timbrato regolarmente i cartel­lini. Altri non si presentavano proprio. Con il sistema di turna­zione equo e solidale, la presta­zione veniva ricambiata il giorno dopo, così che mai nessuno potesse lamentarsi d’essere sfruttato.
Certo tra le proteste per il ca­ro tazzina di Milano e gli assen­teisti truffatori di Reggio ci sta una fondamentale differenza. Sarebbe ingiusto negarla. Un di­ritto, per quanto fuori tempo e fuori luogo, il primo. Uno squallido reato penale il secondo (17 ai domiciliari, 78 indagati). Ep­pure c’è un filo sottile che non può sfuggire, che li tiene ineso­rabilmente legati davanti all’in­credulità e alla rabbia dell’Ita­lia affannata: in quegli uffici pubblici, del Nord e del Sud, non hanno evidentemente ca­pito che la ricreazione è finita e che tutti dobbiamo metterci qualcosa, rimettendoci qualcosa. Guardandoli, questi italiani appaiono alieni ed estranei. Di­versi. Sono gli imboscati e i di­sertori della nuova guerra, la guerra più faticosa e cruenta che ci veda impegnati in questa brutta stagione: la guerra all’egoismo.