Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 09 Martedì calendario

LA LADY CHE AVREBBE SCONFITTO LA CRISI

Quando nel 1979 gli inglesi sceglie­vano Margaret Thatcher l’Urss ini­ziava la sua occupazione dell’Afghanistan. La Fiat licenziava 61 operai per violenze in fabbrica e i sindacati confederali, cioè tutti, proclamarono uno sciopero di protesta. Khomeini cacciava, nel consenso generale, lo Scià di Persia. In Italia scoppiavano gli scandali dell’Eni Pe­tromin e Mario Tanassi si faceva quattro mesi in gattabuia. La chimica privata dei Rovelli e dei Mon­ti saltava e a Milano veniva ucci­so Giorgio Ambrosoli. Sembra di parlare di un secolo fa. Pensate un po’, in quei mesi veniva inau­gurata la sede del Giornale, dove è oggi e, al terzo piano, uno ac­canto all’altro, celebravano l’evento Silvio Berlusconi e In­dro Montanelli.
Quando muore una grande personalità si cerca sempre di di­mostrare l’attualità del suo pen­siero, delle sue gesta. Ma davve­ro si può credere che oggi il thatcherismo sia ancora attuale? In effetti lo è più che mai.
Se c’è una lezione che ancora non abbiamo imparato e da cui discende gran parte della politi­ca della Lady di ferro è il cosiddet­to individualismo metodologi­co. Non vi spaventate, è una cosa seria, ma non così pallosa. «Non esiste una cosa come la società. La vita è un arazzo di uomini e donne, la gente e la bellezza di questo arazzo e la qualità della nostra vita dipendono da quanta responsabilità ognuno di noi è disposto ad assumersi su noi stessi e quanto ognuno di noi è pronto a voltarsi e aiutare con i nostri sforzi coloro che sono sfor­tunati». Non esistono i sindacati, non esiste la politica, non esiste la società. Ci sono gli individui, che alimentano questi universa­li. È la forza del pensiero politico liberale. Lo Stato è necessario, ma attenzione a divinizzarlo. Di­ceva la signora: «Chi scala l’Eve­rest lo fa per suo sommo ed egoi­stico piacere ed orgoglio, anche se arrivato in cima è la bandiera inglese che issa». Rispetto degli individui e senso dello Stato. Le sue epiche e coraggiose batta­glie co­ntro i sindacati dei minato­ri sono solo la più eclatante testimonianza di questo modo di pensare e agire. Il bene supremo del suo popolo in contrapposi­zione alle organizzazioni sclero­tizzate che presumevano di rappresentarlo. Pensate forse che sia passata l’idea? Basta vedere le consultazioni del quasi pre­mier Bersani e l’incredibile peso che continua ad avere in Italia il cosiddetto metodo concertati­vo, per intendere la portata della rivoluzione liberale che è del tut­to mancata da queste parti. È per il sano interesse del macellaio che la vostra fetta di carne è di buona qualità, ci diceva Smith, e più o meno pensava la Thatcher. Qua invece siamo ancora alla rin­corsa di concetti alti e ben porta­ti, che poi alla fine nascondono il nulla. Hayek ebbe il coraggio di raccontare il «miraggio della giustizia sociale», la Lady di ferro ebbe la forza di farne una pratica po­litica.
Quando nel 1990 gli inglesi de­cisero di cacciare la Thatcher una parte del mondo era cambia­ta grazie a lei e Ronald Reagan. Certo l’Europa aveva guardato da un’altra parte. Basti pensare che pochi mesi dopo l’elezione della coppia liberale, i francesi pensarono bene di scegliere il pri­mo presidente della Repubblica socialista, Mitterrand. La Russia, l’impero del male era stato scon­fitto. Gli americani avevano lan­ciato l’operazione «Tempesta nel deserto»in risposta all’occupazione irachena del Kuwait. La liretta era rientrata, per poco, nel­lo Sme e il presidente della Bundesbank (allora era Karl Otto Poe­hl) propose, pensando a noi, l’Eu­ropa monetaria a due velocità. Ci offendemmo e definimmo il governatore «l’ultima espressio­ne del militarismo prussiano». Ci sono i Mondiali di calcio, e la chimica, la solita chimica, passa dai Gardini-Ferruzzi all’Eni (poi si intuirà a quale prezzo). Occhet­to molla il Pci per il Pds, nelle università arriva la Pantera e dal Qui­rinale Cossiga inizia a picconare.
Mentre l’Italietta teneva il bron­cio a Karl Otto, la Lady di ferro si presentava ai Comuni con un tailleur blu, capelli in ordine, filo di perle discrete, sostenendo: «Il presidente della Commissione, Mr. Delors, ha detto in una confe­renza stampa l’altro giorno che vorrebbe che il Parlamento euro­peo fosse il corpo democratico della Comunità, ha voluto che la Commissione sia l’esecutivo e vorrebbe che il Consiglio dei mi­nistri fosse il Senato. No! No! No!». Il triplo no all’Europa dei burocrati, della moneta unica. Un no a subordinare le scelte na­zionali a quelle di funzionari eu­ropei non eletti. Un no a Maastri­cht e alla costruzione dell’euro. Difficile non trovare qualche spunto di attualità negli argo­menti della Signora Thatcher di quindici anni fa.
Prendete un buon argomento da salotto di Via Cappuccio (Mi­lano) o downtown (New York) e vedrete come la figlia del dro­ghiere diventata Baronessa l’ab­bia smontato con lucidità. Dal femminismo all’ambientalismo; dal comunismo al fasci­smo. È stata straordinaria non tanto per quello che ha fatto, ma per il coraggio di dire ciò che non andava detto.