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 2013  marzo 28 Giovedì calendario

I LOVE LEGO

David Beckham ha ammesso che, se non avesse sfondato come calciatore, la sua professione sarebbe stata «giocare con i Lego», mentre Barack Obama non solo è diventato una minifigura di plastica, ma non si vergogna di farsi ritrarre con in mano i famosi mattoncini. Il calciatore e il presidente americano sono solo due dei milioni di fan dell’azienda danese fondata dal carpentiere Ole Kirk Christiansen, che dal 1932 idea le minicostruzioni più famose del mondo (pare che ogni abitante sulla Terra ne possieda in media almeno 80 pezzi) e che diventano Lego nel 1934, quando il suo ideatore assembla le prime due lettere delle parole danesi «leg» e «godt», cioè «giocare bene». Una sorta di premonizione, dato che l’obiettivo dei nuovi giochi, prima in legno e poi dalla fine degli anni Quaranta in plastica, è «ispirare e sviluppare i costruttori di domani». E anche oggi tutti i prodotti sono basati su quella stessa filosofia, cioè imparare e sviluppare attitudini attraverso il gioco, visto come un vero e proprio pilastro cognitivo per la successiva età adulta.
«Giocare con i mattoncini Lego è un’attività molto importante a partire dai 2 fino agli 8-10 anni» conferma Gabriel Levi, direttore del dipartimento di scienze neurologiche, psichiatriche e riabilitative dell’età evolutiva alla Sapienza di Roma. «In un periodo storico in cui i bimbi vengono molto stimolati sul gioco simbolico, un’attività così ingegneristica e artigianale è fondamentale per un’integrazione fra le due macchine del pensiero: pensare per comunicare, pensare per costruire, smontare e rimontare».
Un pensiero progettuale che da 80 anni si tramanda di generazione in generazione, al punto che il 27 per cento dei bimbi che ora gioca con i Lego li ha ereditati da mamma e papà, che a loro volta ne acquistano mediamente di più rispetto alle altre famiglie. Proprio questo circolo virtuoso ha portato il gruppo di Billund a diventare il numero uno in Europa e tra i big mondiali nei giocattoli, con una crescita che non conosce crisi: la Lego nel 2012 ha prodotto 19 miliardi di elementi e aumentato i propri ricavi del 25 per cento a 3,14 miliardi di euro, quasi il triplo delle vendite del 2007, segnando per il quinto anno consecutivo un’ascesa superiore al 15 per cento dei ricavi, mentre l’utile netto è salito a 754 milioni contro i 558 di un anno prima e l’occupazione ha sfondato il tetto delle 10 mila unità.
Anche in Italia, dove le famiglie hanno tagliato anche le spese alimentari, non si rinuncia alle costruzioni colorate e i ricavi lo scorso anno sono saliti di uno sbalorditivo 24 per cento. Tutto questo grazie alla capacità del gruppo di innovare pur restando fedele a se stesso: il 60 per cento delle vendite, infatti, sono nuovi lanci. «Per questo motivo anno dopo anno dobbiamo essere in grado di prevedere che cosa catturerà l’interesse dei bambini per poi trasformarlo in prodotti Lego, anche nel 2012 ci siamo riusciti» ha commentato Jorgen Vig Knudstorp, che nel 2004 a soli 35 anni è diventato il quarto amministratore delegato del gruppo, gestendo uno dei momenti più difficili per il colosso dei giochi. Dopo il passaggio dal mattoncino fisico ai videogiochi (l’esordio è negli anni Novanta con lo sbarco sul Game Boy della Nintendo) e l’ubriacatura della brand extension degli anni Novanta che ha assorbito ingenti capitali e aumentato a dismisura la complessità gestionale, nel 2003 la famiglia Christiansen, che tuttora controlla l’azienda attraverso la finanziaria Kirkbi, decide di eliminare la produzione interna di film e videogame, spostando l’80 per cento della produzione fisica in Messico e in Europa dell’Est, dimezzando a 7 mila le referenze e vendendo la maggioranza dei parchi tematici Legoland all’inglese Merlin. Interventi drastici che però consentono alla corazzata danese di ripartire e di tornare al successo grazie alla serie Lego City e alle saghe tematiche Avatar, Batman e Indiana Jones, che confermano il boom fatto registrare negli anni precedenti da Star Wars e Harry Potter.
Ma in quegli anni si lavora anche a una nuova rivoluzione, quella di genere. Tra le «10 caratteristiche per la Lego» fissate dal figlio del fondatore Godtfred Christiansen una recita: «per bambine e bambini». Ma è abbastanza evidente a Knudstorp che alle bimbe dai 5 ai 10 anni (comprese le sue due figlie) non piacciono molto le costruzioni e le minifigure gialle che nel corso degli anni hanno rappresentato un mondo declinato al maschile popolato di cavalieri, pompieri e astronauti. A cominciare dal 2007 la società si rende conto di essere affetta da un deficit estetico: i suoi prodotti mancano di bellezza agli occhi delle «piccole principesse», che nei loro giocattoli cercano armonia, colori particolari e un maggior numero di dettagli. E così nel 2012, dopo anni di ricerche sul campo con i piccoli di tutto il mondo, nasce la linea Lego Friends, cinque ragazze in carriera, vestite alla moda che girano in cabriolet in un mondo tutto rosa e si rilassano al salone di bellezza. Se i personaggi femminili finiscono al centro di una polemica per «eccesso di sessismo», Lego Friends in un solo anno diventa la quarta linea più venduta e, «anche se è stata più che raddoppiata la previsione di produzione, non è stato possibile consegnare tutti i prodotti richiesti», conferma con orgoglio l’amministratore delegato. Che qualche settimana fa ha annunciato l’apertura di un’altra fabbrica in Cina destinata ad alimentare il mercato asiatico anche del nuovo gioco Chima, dove tribù di animali rivali vanno alla conquista del «Chi», la preziosa fonte di energia che consente di ottenere poteri eccezionali. Ad affiancare il leone Laval e il coccodrillo Cragger, che corrono sui loro velocissimi veicoli Speedorz fatti naturalmente di mattoncini, c’è tutto un mondo magico (e superredditizio) che va dai giochi di ruolo fino ai 22 episodi di cartoni animati che andranno in onda nel corso del 2013.
«In questo sta il grande successo della Lego, nell’essersi trasformata da semplice produttore di plastica in una media company che gestisce una library infinita di personaggi propri e di terzi, fattore che le ha consentito di liberarsi dalle istanze della proprietà intellettuale e di sviluppare un linguaggio universale, intergenerazionale, che ha patrimonializzato il gioco, percepito come una vera e propria eredità da tramandare» dice a Panorama Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia e imprenditorialità alla Scuola di management dell’Università Bocconi di Milano. «La Lego è la Disney europea e la chiave del suo successo è stata riuscire a tenere tutto insieme: passato, futuro, precisione, qualità, software, produzione fisica, innovazione».
Poi c’è l’aspetto ludico: La Lego risveglia e alimenta il fanciullino che c’è in noi. Infatti il gruppo stima che il 5 per cento delle vendite siano dirette ad adulti che continuano a dilettarsi di costruzioni e modellismo. Una passione che l’azienda coltiva attraverso il programma Afol, acronimo di adult fans of Lego, cioè gruppi di persone (i Lug, Lego user group) che condividono il loro non più giovanissimo amore per i mattoncini. La Lego sviluppa e mantiene strette relazioni attraverso siti e social network con gli oltre 100 Afol in tutto il mondo che raggruppano oltre 100 mila iscritti, anche se stime attendibili parlano di quasi 5 milioni di addicted adulti a livello globale. «Di solito si va avanti fino all’adolescenza, quando spesso la passione si spegne, ma poi grazie ai figli la scintilla si riaccende, com’è accaduto a me» confessa Luca Rusconi, ingegnere 42enne lombardo, tra i fondatori dell’associazione ItLug e uno dei 90 ambassador Lego nel mondo, che hanno il ruolo di mantenere i contatti tra l’azienda e i fan. Lui con i mattoncini costruisce bolidi storici di Formula 1, ma garantisce che tra i 600 partecipanti a ItLug non c’è competizione, solo grande cooperazione per concepire delle opere uniche e speciali utilizzando esclusivamente pezzi Lego che si trovano in commercio. «A mio figlio di 11 anni piacciono le minifigure, mentre la bimba di 8 è interessata alle costruzioni vere e proprie. Poi ci sono io che costruisco i miei modelli al computer con il software Cad». Quando il gioco si fa serio...