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 2013  marzo 28 Giovedì calendario

ZAGREBELSKY, IL CAPESTRO DELLO STATO

Il paradosso è che il 23 marzo il professor Gustavo Zagrebelsky a Roma non c’era. Al diavolo piazza Santi Apostoli, MicroMega e il fedelissimo Paolo Flores d’Arcais, che aveva chiamato all’ennesima adunata di piazza, o forse è meglio dire di piazzetta, contro Silvio Berlusconi. L’emerito costituzionalista se n’era rimasto in via Santa Marta, a Torino, nella blindatissima saletta di Palazzo Capris presa a nolo da Libertà e giustizia, per scomporre e penetrare con l’immancabile Sandra Bonsanti e qualche decina di discepoli un ordine del giorno ridondante quanto vago: «La difficile situazione politico-istituzionale e come proseguire il nostro lavoro». Vasta questione. Che la situazione fosse difficile, non si poteva effettivamente negare. Come «proseguire il lavoro», ecco, quello era invece un problemaccio, la domanda classica delle cento pistole. Sembra infatti che da Palazzo Capris non ne siano usciti al meglio. Cinque ore di dibattito fitto fitto, interrotto solo alle 13.30 dal breve «light-lunch organizzato dalla Cooperativa sociale Pausa caffè, cibi biologici e presidio slow-food, piccolo contributo per coprire le spese», hanno prodotto soltanto un sorriso tirato sul viso della signora Bonsanti: «Emetteremo un comunicato domani. Forse dopodomani». Chiedere su che era pretendere troppo. Strano.
Se provate a domandare a un uomo di sinistra intelligente e attento come Emanuele Macaluso quante chance abbia oggi il professor Zagrebelsky di salire i fino a ieri non poco pronosticati gradini del Quirinale, vi sentirete rispondere: «Zero». Se insisteste nel rivolgere l’identica domanda al professor Massimo Cacciari, molto di sinistra a sua volta, ascoltereste da lui le seguenti parole: «Zagrebelsky avrebbe tutte le caratteristiche per essere un buon presidente. E sarebbe molto saggio eleggere un presidente della Repubblica estraneo agli apparati come lui». Cosa che senz’altro conforta. Ma quante possibilità ha? «Zero».
Se poi ancora non vi bastasse, e la curiosità vi spingesse a sondare il terreno dalle parti di Giuseppe Caldarola, il quale sempre a sinistra si colloca, e diresse perfino L’Unità: «Zero» suonerebbe la sua replica. Bisogna ammettere che è un bel paradosso anche questo. Ma come? Nel momento del cambiamento di tutto e per tutti, si può forse rinunciare con tanta facilità al ruolo massimamente istituzionale di un pensatore che ha incarnato il bisogno più urgente del cambiamento stesso? Dell’erede (che più ufficiale non si può) del nobile azionismo torinese? Dell’ex presidente della Corte costituzionale, una garanzia, capace d’indicare in un insuperato dialogo col direttore della Repubblica, Ezio Mauro, le nuove strade politiche e morali della nazione?
È il 22 marzo 2013, quando il capogruppo al Senato del Movimento 5 stelle, il supercittadino Vito Crimi, conferma la preferenza dei vincitori grillini per l’ascesa di Zagrebelsky al colle più importante: «Il suo è un nome assolutamente stimato e impeccabile». Eppure, il concetto sembra scivolare via come acqua sul marmo. È il 26 marzo, quando un editoriale del Fatto quotidiano spinge nella stessa direzione: «Anche un cieco vede la differenza che separa Zagrebelsky da Franco Marini (ex presidente del Senato ed ex segretario della Cisl, ndr). Il mandato di milioni di cittadini è imperativo: un presidente contro l’inciucio». Però Macaluso spiega: «Può darsi perfino che il professore trovi qualche raro sostenitore dentro il Partito democratico. Certo non troverà il sostegno del Partito democratico». Caldarola si spinge oltre: «La candidatura di Gustavo Zagrebelsky sta dentro le macerie del partito della Repubblica. Hanno scelto di favorire il grillismo, adesso quel disastro li travolge».
Chi non ricorda la molto tardiva presa di distanze di Eugenio Scalfari? Era l’agosto scorso. Il giureconsulto torinese aveva attaccato Giorgio Napolitano come il perno di un’azione intimidatrice nei confronti della magistratura combattente di Antonio Ingroia, come un soccorrevole alleato dei mafiosi affossatori di verità. La verità del professore che difendeva Ingroia era la stessa del figliolo pataccaro di Vito Ciancimino. Il Fondatore della Repubblica reagì di brutto. L’aspirante al Quirinale gli rispose in questo modo fiero: «Scusatemi, l’impasto della legge e del diritto è come un impasto di farina, e io sono panettiere ingenuo. Sia anatema, ma anatema dolce e amichevole nel caso del Fondatore, per chi afferma che nutro ambizioni politiche». In effetti, nascondere la mano a sasso lanciato rivelava capacità politiche insospettabili. Il Palasharp, con l’adunata delle stelle «de sinistra» chiamate da Zagrebelsky a un programma di odio civile e all’esibizione del pioniere tredicenne imbevuto di morale, che concionava dal palco dei grandi, era evento troppo vicino perché il Fondatore potesse dimenticare di averlo applaudito.
Tornando al Quirinale, però, in fondo in fondo anche Zagrebelsky ci spera. Ai giornalisti, che a Torino il 26 marzo gli chiedevano di commentare l’ipotesi di una sua nomina, ha risposto: «Le decisioni concrete sul presidente vengono prese all’ultimo momento; tutti i nomi fatti prima sono ballon d’essai che poi cascano penosamente a terra e adesso siamo esattamente in questa fase». I cronisti, però, insistevano: nel caso accetterebbe? A quel punto Zagrebelsky ha esclamato: «Il problema non si pone; non mi angosciate, non mi fate stare male, sono già angosciato per conto mio». Perché la speranza, si sa, è l’ultima a morire.