Roberto Perotti, Franco Debenedetti, il Sole 24 Ore 10/4/2013, 10 aprile 2013
L’ADDIO ALLA THATCHER / 1 NON FU LEI LA CAUSA DELLA CRISI
Per molti Margaret Thatcher è il simbolo e la fonte dei mali del capitalismo moderno. Il necrologio scritto da Romano Prodi sul Sole di ieri è un esempio di questa interpretazione. Ma è una interpretazione ingiusta, che si ferma ad alcuni stereotipi senza fondamento. Qualunque valutazione della Thatcher deve partire da un dato storico: la Gran Bretagna veniva dal tunnel degli anni 70, in cui era diventata lo zimbello d’Europa, in preda all’inflazione e alla recessione, e costretta addirittura a presentarsi con il cappello in mano al Fondo monetario internazionale. Per oltre dieci anni era stata governata dalla classe politica più inetta del ventesimo secolo, Wilson e Callaghan nel partito laburista e Heath in quello conservatore.
Scrive Romano Prodi: "Diciamolo come va detto: la Thatcher ha ridotto lo stato a niente". Un osservatore che scendesse da Marte troverebbe questa espressione incomprensibile. Nel 1990, quando la Thatcher si dimise, la spesa corrente al netto degli interessi come percentuale del Pil, era esattamente al livello che aveva trovato nel 1979, e ben più alta che all’inizio degli anni 70. E chi oggi combatte l’austerità fiscale avrebbe apprezzato la famosa manovra del cancelliere Lawson del 1983, che abbassò le tasse e alzò la spesa pubblica.
Per Prodi Margaret Thatcher "ha dato forma politica e dignità istituzionale alla ribellione anti-tasse trasformandola in una vera e propria dottrina economica diventata addirittura senso comune". Un’altra affermazione molto forte senza riscontri nella realtà. La Thatcher abbassò sì le aliquote marginali da livelli assurdi ed autolesionistici di oltre l’80%, ma questo, lungi dall’essere l’espressione di un’inesistente ribellione anti-tasse, fu un regalo della Thatcher a tutti i governi occidentali, inclusi quelli di centrosinistra, che ne seguirono l’esempio e continuano a seguirlo. E anche in questo caso, un marziano noterebbe che le entrate correnti come percentuale del Pil erano ben più alte alla fine del mandato della Thatcher che nel 1979.
Le politiche della Thatcher (e le applicazioni seguenti) avrebbero anche "creato le condizioni per l’esplosione della più drammatica crisi finanziaria (e ormai anche economica) del dopoguerra". Come esattamente? Certo, sotto Margaret Thatcher ha iniziato l’espansione della City, che oggi è il più grande datore di lavoro e il più grande contribuente della Gran Bretagna; questo di per sé non può essere un demerito. Forse Margaret Thatcher non ha regolato abbastanza i servizi finanziari, diventando così la matrigna della crisi subprime? Può essere, ma sarebbe utile sostanziare questa accusa con fatti e dati. Sarà un compito arduo: è francamente difficile immaginare un nesso fra Margaret Thatcher e le politiche di Greenspan negli anni 2000.
È vero che la disuguaglianza, come sostiene Prodi, aumentò sotto Margaret Thatcher, ma durante il suo mandato salì il reddito disponibile di tutte le fasce della popolazione, anche del quintile più basso, che era invece sceso durante la recessioni dei terribili anni 70. È un po’ quello che succede, su scala enormemente superiore, in Cina: è vero che le disparità aumentano, ma centinaia di milioni di persone sono uscite dalla povertà. Se voi foste un povero, preferireste "tutti poveri ma uguali" o "tutti più ricchi anche se un po’ più diseguali"?
Margaret Thatcher ha avuto altre colpe, alcune molto gravi. Su certe cose era ideologizzata fino all’infantilismo: insistette rabbiosamente, probabilmente senza comprenderlo fino in fondo, sull’esperimento monetarista all’inizio del suo primo mandato. Avrebbe potuto evitare l’altissima disoccupazione che ne conseguì? Forse - anche se oggi è facile dimenticare i disastri dell’inflazione degli anni 70. La sua devozione ai cambi flessibili come manifestazione del libero mercato fu altrettanto maniacale, e le costò caro: spaccò il governo e la costrinse a dimettersi. La sua testardaggine a imporre la poll tax rimane ancor oggi politicamente incomprensibile.
La colpa più grande che le viene attribuita, però, è lo storico scontro con i minatori, che divise la società inglese come pochi altri eventi. Non c’è dubbio che la Signora di ferro si intestardì anche in quell’occasione, guidata da un’etica economica protestante esasperata, quasi incapace di empatia per i meno fortunati. Ma è troppo facile dimenticare che la Gran Bretagna veniva da un decennio in cui ogni inverno ci si chiedeva se le scorte di carbone sarebbero state sufficienti in caso di sciopero, e in cui i sindacati bloccavano gli ospedali e perfino la sepoltura dei morti. Ci si dimentica anche che la maggioranza dei consigli locali aveva votato contro lo sciopero, che il capo del sindacato dei minatori Scargill si rifiutò si indire un referendum nazionale, e mandò ostinatamente i suoi uomini allo sbaraglio anche per motivi personali.
Per onestà storica, Prodi avrebbe anche potuto ricordare che se oggi chiunque può chiamare i propri famigliari a continenti di distanza a un decimo del costo di 30 anni fa, e se in Italia abbiamo un solo caso MontePaschi invece che dieci, lo si deve in gran parte alle privatizzazioni di Margaret Thatcher. Ciò che allora era definito estremismo oggi è la norma per tutte le economie più evolute, e nessun governo posteriore, e men che meno quelli laburisti, ha disfatto le riforme della Thatcher.
Ma più di tutti dovrebbero essere grati a Margaret Thatcher le centinaia di milioni di persone che si sono liberate dalla schiavitù comunista. In questo campo, più che in quello economico, la Signora di ferro fu la vera maestra di Reagan, e lo convinse a resistere alla decrepita élite sovietica nella convinzione che solo così si sarebbe disintegrata naturalmente, come poi avvenne.
Roberto Perotti
L’ADDIO ALLA THATCHER / 2 I MERITI DELLA LADY DI FERRO, LE PRIVATIZZAZIONI E LE RIFORME DI PRODI –
Giustificare ciò che si è fatto di male è naturale, accusare l’avversario politico per ciò che non ha fatto di bene, pure. Strano è il contrario, vergognarsi delle cose buone proprie e non incalzare l’avversario per le occasioni perse: è quello che traspare da alcuni commenti in morte di Margaret Thatcher.
Prendiamo privatizzazioni e liberalizzazioni: il primo governo Amato aveva posto le premesse per smantellare i monopoli di Stato e privatizzare il credito, ma chi ha venduto e incassato i soldi è stato il governo Prodi del 1996, che per questo ha avuto anche riconoscimenti internazionali. Prodi ha potuto avvalersi del consenso ottenuto dalla Thatcher sulle privatizzazioni, e ha usufruito delle esperienze fatte con gli strumenti regolatori messi in campo per creare un mercato dove prima era monopolio. Anche le leggi Treu, il maggiore contributo alla liberalizzazione del mercato del lavoro, nascono da quel clima. Stupisce che Romano Prodi, nel commento in morte della Thatcher, pur di disconoscere il debito verso di lei rinunci ai meriti che si è guadagnato verso il Paese.
Prendiamo il bilancio pubblico: sotto la Thatcher la spesa pubblica si ridusse dal 47% al 39%, l’aliquota marginale dell’imposta sui redditi più alti scese da oltre l’80% al 40%, quella sui redditi più bassi scese dal 33 al 25%, il debito dal 44% si ridusse al 27%. Quante volte Berlusconi parlò di ridurre le tasse, quante volte i suoi alleati della Lega di ridurre le spese dello Stato! Aumentarono, le une come le altre, in valore assoluto e percentuale. Quanto alla sinistra, preferì teorizzare che pagare le tasse fosse bellissimo, invece di incalzare Berlusconi (e conquistarsi i suoi elettori) per le promesse mancate. E lasciò che fossero i magistrati a perseguirlo su questioni che attengono alla sua persona.
Combattimenti per un’immagine. Si sono dipinti gli scenari terrificanti di un liberismo "selvaggio" che in Italia non abbiamo mai avuto; e quello "addomesticato" lo si è avvolto nelle lenzuolate del Bersani alla sua precedente reincarnazione. I banchieri internazionali ostentavano bonus stratosferici, a Siena si nascondevano i derivati. Quando la Thatcher vinse la prima delle sue tre elezioni, l’Inghilterra era il malato d’Europa, soffocata dai sindacati: in 10 anni persero 5 milioni di iscritti su 13. Berlusconi alla sua prima prova da premier, uscì da Palazzo Chigi per incontrare, e rassicurare, i minatori del Sulcis arrivati in Piazza Colonna. Oggi è l’Italia il malato d’Europa, ad avere un deficit di produttività: quello che erano le miniere di carbone per l’Inghilterra della Thatcher, è il pubblico impiego da noi, l’inefficienza della Pa, piombo nelle ali dello sparuto numero di aziende che lottano per restare a galla sui mercati.
Una battaglia in nome di un’idea. L’idea della Thatcher, quella con cui guarì l’Inghilterra, riguarda i limiti di quello che deve fare lo Stato e di quello che ha diritto di fare il cittadino. È ciò di cui tratta la prima parte della nostra Costituzione: basta nominarla e si ergono barricate ideologiche. A smantellare le difese delle rendite costruite dalle corporazioni, non bastano le accuse di chi le denuncia come caste: le une e le altre sono sullo stesso piano, il gioco è a somma zero, levare da una parte per dare a un’altra, va bene alla sinistra e alla destra. La lezione della Thatcher è che la battaglia la si vince solo spostandosi su un piano più alto, che consenta di abbracciare orizzonti più ampi e che questo richieda di fondarsi su terreni più solidi. Solo poggiando sulla fede nella libertà dell’uomo, si riesce a sviluppare un’idea diversa dei rapporti presenti e degli orizzonti futuri, a mostrare quanto sia miope la difesa della rendita e quanto riduttivo l’attacco al privilegio. L’efficienza è solo una conseguenza. Così anche le idee liberali uscirono dal loro recinto, e le riflessioni degli Hayek e dei Bruno Leoni (più noto in Inghilterra quest’ultimo che in Italia) divennero programma politico. La scommessa non era solo sulla tecnica del buon governare: ma sul carattere di una società fiera della sua libertà. Questo è quanto di Margaret Thatcher la politica italiana o non vuole perdonare o non ha il coraggio di riconoscere: la sua idea rigorosa dei rapporti tra le persone e lo Stato, la sua idea alta, non meschina, dei diritti del cittadino. Per la politica italiana prioritario sembra proteggere giardinetti e cortiletti delle proprie riserve elettorali: e quindi combattere l’idea che potrebbe svelarli per quello che sono. Lo si sa, non c’è cosa più pratica di una buona teoria.
Franco Debenedetti