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 2013  aprile 06 Sabato calendario

MA QUALE AMORE SIAMO PROFESSIONISTI

Avete fidanzate o mogli? Provate a dire loro: «Sono il tuo primo innamorato. Ma un domani potrei esserlo di tua sorella o di una tua amica». Facile che vi ritroviate sul muso una sindone di cinque dita. L’amore è per costituzione una promessa di eternità. Infatti il tifoso, che per costituzione è un innamorato, pretende l’eternità.
L’ideale erotico della curva è Francesco Totti. Ha avuto un paio di crisi (Real Madrid, soprattutto), ma le ha superate con la responsabilità del bravo padre di famiglia e ormai è in marcia verso l’eternità con le pantofole dell’A.S. Roma. Agli antipodi di Totti, nell’immaginario da stadio, sta Ibra che bacia maglie per trenta denari. Nella settimana della festa per i 20 anni di A di Totti, Antonio Conte ha segnato la vigilia di Inter-Juve con parole non banali: «Sono il primo tifoso della Juve, ma un giorno potrei esserlo dell’Inter o del Milan. Sono un professionista». Dall’amore alla professione. Ma il mister è un altro mondo. Salvo splendide eccezioni, la carriera di vertice di un calciatore non supera i dieci anni, quella di allenatore dura molto di più. Tecnici giovani come Conte e Montella possono pianificare serenamente una ventina di stagioni in panca. E visto che un mister, in genere, dopo pochi anni nello stesso posto, diventa come il pesce (specie se spreme sul piano nervoso, come Conte e Mou), è necessario garantirsi opportunità di circolazione.
Questo il senso dell’uscita di Conte. Esasperare l’appartenenza e le rivalità con la concorrenza significa chiudersi delle porte. Un fondamentalista juventino potrebbe poi allenare Inter, Milan, Roma o Fiorentina? La Juve per Conte non è la moglie definitiva, è il suo biglietto da visita migliore. Leonardo provò la stessa sensazione di asfissia. Lasciato il Milan, spiegò: «Vedevo il mondo solo con gli occhi rossoneri. Ora studio per un anno: tattica, gestione, tutto. Mi preparo una valigia professionale. Quando un presidente mi chiamerà, gliela mostrerò: ecco il mio calcio». Un professionista a disposizione di chi ha bisogno. “Sono Wolf, risolvo i problemi”.
Anche per questo pochi allenatori vanno in panchina in tuta, troppo vicina alla maglia e alla logica della fedeltà matrimoniale. Il mister preferisce vedersi come un professionista che, in giacca e cravatta, può lavorare ovunque. Come un dirigente, dal quale i tifosi pretendono ancora minor fedeltà, perché ancora più lontano dalla maglia. Marco Passone, ex dipendente della Juve moggiana, è approdato all’Inter di Moratti senza problemi: il direttore generale “bravo a fare gli stadi nuovi”, dicono. Il guaio è che alla vigilia di Juve-Inter è circolata una sua foto dei tempi juventini in cui sfotteva gli interisti. E ha perso di colpo l’immunità di dirigente. Ora in curva ne parlano come di Balotelli quando gettò a terra la maglia. È retrocesso al ruolo di giocatore. E un giocatore non può tradire mai.