Leonardo Maisano, la Repubblica 10/4/2013, 10 aprile 2013
LA DONNA CHE SOVVERTÌ L’ECONOMIA
Margaret Thatcher
1925-2013
LONDRA. Dal nostro corrispondente
«Per la prima volta negli undici anni trascorsi a Downing street, Margaret Thatcher, ha provocato nella nazione quel senso di compassione che si avverte per un essere umano perduto». Era il 22 novembre 1990 quando Hugo Young, commentatore politico del Guardian coglieva, nelle ore dell’addio di Margaret Thatcher dalla politica, il tratto stridente della personalità del più grande statista dell’Inghilterra post-bellica. La pervicace volontà di apparire antipatica era una scelta, figlia di una visione del mondo scolpita nella rigida cultura famigliare. In un mondo che vive sull’esasperata ricerca del consenso, resta questa la più straordinaria eredità politica della prima signora capo di un governo del Regno Unito.
La signora che si permise di scardinare il sistema di classe allineando dietro sé un popolo senza identità di casta, scompaginando per la prima volta la rigida compartimentazione sociale del regno di Elisabetta, è la stessa che si poteva permettere di teorizzare che «non esiste una cosa chiamata società».
Calci al politically correct, pedate alla storia e alle convenzioni. A non cedere al pensiero comune l’aveva abituata suo padre Alfred Roberts, droghiere di Grantham, figlio del ciabattino di Grantham. Era il primo comandamento di un decalogo di vita morale che, secondo i dettami della religione metodista, permeò l’esistenza della donna che si farà premier .
I valori vittoriani furono la via, la verità, la vita stessa di Alfred Roberts e diventeranno i pilastri di quella di sua figlia. Duro lavoro, autonomia nella scelte e nell’azione come il laborioso Alfred che non riteneva necessaria la vasca da bagno con il ricambio d’acqua in quanto gli appariva un’immorale stravaganza.
Ordine, precisione, attenzione al dettaglio in una tediosa perfezione che muove all’unisono il papà Alfred e la figlia Margaret. Muriel, sorella di Margaret, resterà sempre una figura marginale. La mamma Beatrice un mistero. Non c’è una parola alla sua memoria. La vita era troppo seria per essere vissuta con leggerezza. Anche se alle leggerezze dei figli ha sempre ceduto. Solido e impalpabile, il rapporto con il marito Denis ombra, in pubblico, ascoltato consigliere, nel privato.
Nessuno stupore quindi se Margaret Thatcher visse e morì - politicamente - in un perenne stato di guerra, anche con un popolo che la elesse per tre volte e fu pronto, per tre volte, a essere bacchettato da un premier con la borsetta.
Per vivere in guerra, oltre alle spie, ci vogliono i colonnelli. Margaret Thatcher lo sapeva e il suo interrogativo era sempre lo stesso quando un fedelissimo le sottoponeva il nome di un collaboratore da promuovere. «Is he one of us?» «È uno di noi?».
Epico resta il suo incoraggiamento a un’elettrice confusa. «Non farti spaventare dalle parolone. Pensa alla politica come se fosse la regola per organizzare una casa». L’empatia in questo caso era ricercata, ma si risolveva in una serie di utili consigli per agevolare la comprensione degli accadimenti del mondo.
Il primo fronte della guerra di Margaret Thatcher fu quello del rilancio economico. E ci andò abbracciando le regole liberiste d’intesa con Ronald Reagan. Se la Reaganomics diventò una disciplina, Margaret Thatcher si fece sostantivo, il thatcherismo, infatti, fu l’esemplificazione di un approccio alla politica economica. Con un ricciolo in più: il recupero della grandeur - in stile inglese - che gli inverni laburisti senza energia negli anni Settanta avevano fiaccato. Quando cominciò a tracciare le linee guida delle privatizzazioni, altre urgenze la chiamarono all’ordine. A cominciare dalla guerra nelle isole Falklands che l’aiutò, recita la vulgata comune, a vincere il secondo mandato. Può darsi. La lady era ormai divenuta di Ferro, nome uscito da uno sbotto di fantasia di un cronista sovietico divenuto, per questo, anonima celebrità.
«È morta, politicamente, come ha vissuto: al fronte», scrisse evocando una volta di più l’inevitabile epica marziale Hugo Young in quell’indimenticabile notte del 22 novembre 1990 quando un golpe capitanato da «uno che non era dei suoi», Michael Heseltine, pur fallendo, la costrinse ad andarsene.
Ma c’è fronte e fronte e, in trincea, Margaret Thatcher c’è stata poco. La sua vita s’è consumata all’attacco, nel sospetto di non essere, forse, la migliore ma con la certezza di non conoscere nessuno meglio di lei. Anche all’amato Ronald Reagan volle dare qualche lezione. Davanti al Piano di difesa strategica (Star Wars) messo a punto da Washington disse. «Credimi non funzionerà mai, te lo dico perchè sono una chimica». Aneddoti di una vita che può essere ricordata per molto, ma che in Gran Bretagna resterà scolpita in una trasformazione sociale drammatica senza uguali nella storia recente. Fece di un popolo ad alto tasso di sindacalizzazione, un mondo di azionisti, proprietari di case ed esponenti della shareholders democracy emersa dal più coraggioso piano di privatizzazioni mai avviato in Occidente. «Margaret Thatcher - ricorda David Willets giovane ideologo del partito in quegli anni - aveva un’idea dello Stato che si riassume così: individui indipendenti la cui libertà è protetta dalle istituzioni».
Il banco di prova di quell’approccio alla politica fu lo sciopero dei minatori. Schiantare il leader Arthur Scargill non significava solo spezzare il radicalismo sindacale, ma mutare le relazioni sociali. «Le riunioni a Downing street nel 1985 - ricorda ancora Willetts - sembravano uscite dalle pagine di Shakespeare con gli assistenti che arrivavano urlando «Lo Yorkshire resiste, Nottinghamshire è con noi, Kent si ribella».
La nuova Inghilterra nel bene e nel male è nata da lì, da qualcosa di simile a un testo di Shakespeare. Da uno strappo che ha innescato riforme a cascata divenendo un laboratorio sociale capace di cancellare la memoria di Londra, malato d’Europa. È nato uno stato moderno, con un forte spirito di autonomia, che ha creato enorme ricchezza nazionale, ma ha allargato il fossato fra ricchi e poveri. Era compito dei suoi successori colmare il vallo fra efficienza economica e giustizia sociale. Non ci sono riusciti. E questa resta la pagina dolorosamente incompiuta della lunga rivoluzione di Margaret Thatcher.
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Gli undici anni
della Lady di ferro
a Downing Street
Il «regno» più lungo
Eletta leader del Partito conservatore nel febbraio 1975, prima donna a guidare i Tories, nel 1979 Margaret Thatcher diventa anche la prima donna alla guida di un governo britannico, dopo aver sconfitto i laburisti al voto. Resterà al n.10 di Downing Street per 11 anni, il periodo più lungo dal 1827.
Guerra alle Falklands
Il 2 aprile 1982 la giunta militare argentina ordina l’invasione delle isole Falkland: «Dobbiamo riprendercele - dirà Margaret Thatcher - perché chi le abita viene dalla Gran Bretagna». Riconquisterà quelle che per lei non erano solo poche rocce ma un avamposto, dopo due mesi di combattimenti.
Liberismo di ferro
La politica economica della Lady di ferro è imperniata sulla difesa a ogni costo del libero mercato: tagli alla spesa sociale, riduzioni delle imposte sui redditi e alti tassi di interesse. È la linea da cui la Thatcher non deviò neppure di fronte al forte aumento della disoccupazione e dell’inflazione.
Inflessibile con l’Ira
Il 12 ottobre 1984 una bomba dell’Esercito repubblicano irlandese devasta il Grand Hotel di Brighton (foto a sinistra), dove era in corso il Congresso dei Tories. La Thatcher restò illesa, ma i morti furono cinque: il premier ordinò di riprendere i lavori il giorno stesso.