Ettore Livini, la Repubblica 10/4/2013, 10 aprile 2013
110 E FRODE
Lo spread? Nossignori. Il peggior nemico dell’euro, numeri alla mano, è la “Lauree Patacca Spa”, la fiorente industria multinazionale di diplomi millantati, tesi copiate e titoli di studio venduti a due lire da improbabili atenei online che da qualche mese sta facendo ridere (e tremare) mezza Europa. I casi italianissimi dei trionfi accademici del “Trota” Renzo Bossi in Albania e di Oscar Giannino — l’ex-leader di “Fare per fermare il declino” stoppato a due giorni dalle elezioni da un master, due titoli universitari e una partecipazione allo Zecchino d’oro totalmente inventati — sono solo la punta dell’iceberg.
Il web ha reso impossibile la vita ai falsi dottori del Vecchio continente. E la caccia ai curriculum vitae abbelliti da lauree inesistenti e ai plagi accademici ha già fatto più vittime della crisi dei debiti sovrani: due ministri nell’austerissima Germania (silurati), il titolare del dicastero all’Educazione — quando si dice l’uomo giusto al posto giusto — in Romania (saltato) e il presidente della Repubblica ungherese Pal Schmitt, ex medaglia d’oro olimpica di scherma, costretto alle dimissioni per aver coronato la sua carriera universitaria — voto 110 e lode — con una tesi copiata parola per parola da
quella di un docente bulgaro.
Una Laureopoli continentale che rischia di chiudersi ora con il botto: nel tritacarne deisospettièfinitaieri Alenka Bratusek, neo-primo ministro della Slovenia incaricato di salvare il paese (e forse anche la moneta unica) dal crac. «Il paper che le ha garantito un master in Scienze sociali — dicono implacabili i suoi accusatori — è la fotocopia in carta carbone di altri studi accademici». L’università di Lubiana ha aperto un procedimento di verifica e Bratusek ha già annunciato — facendo correre i brividi a molte cancellerie della Ue — che se il plagio fosse provato «darebbe subito le dimissioni».
Chi è senza peccato, del resto, scagli la prima pietra: la tentazione della scorciatoia accademica è una storia vecchia come il narcisismo dell’uomoealimentadasempre un indotto economico a molti zeri. E così le vie (traverse) per arrivare al pezzo di carta più prezioso del mondo, il certificato di laurea, non solo sono infinite ma sono battute pure da un’umanità varia ed eterogenea. C’è Ron Hubbard, il fondatore di Scientology, che una cinquantina di anni fa ha scelto quella più diretta, fondando — almeno così sostiene la giustizia britannica — un ateneo ad personam a Los Angeles, la Sequoia University, e auto-conferendosi un diploma honoris causaper meriti nello studio della dianetica. C’è Scott Thompson, ex numero uno di Yahoo!, licenziato in tronco dal gigante del web per aver millanta-del
to una laurea in informatica. Oppure Gilles Bernheim, rabbino capo della Francia, accusato di aver copiato buona parte del suo libro “Quaranta riflessioni ebraiche” e di aver incassato la Legion d’Onore da Nicolas Sarkozy tacendo il particolare trascurabile di non aver mai ottenuto il titolo di professore in filosofia.
Peccatucci veniali. Come quelli di chi — non avendo il pelo sullo stomaco per inventarsi il titolo di dottore — se lo compra. Negli Stati Uniti, complici le rette dell’Ivy League arrivate ormai ai 40mila dollari l’anno, sono spuntati decine didiplomificichevendonodottorati “espresso” e a prezzi da saldo. La University of Berkley, una vocale di differenza con il mitico campus californiano, propone un catalogo stile Ikea con la laurea a 2.785 dollari e un master a 3.145. Troppo caro? Poco male: Instantdegrees. com, offre un ventaglio di specializzazioni degno di Harvard — dalla Moda alla Medicina ayurvedica, da Economia e commercio fino alla Gastronomia — a partire da 180 dollari l’uno, mentre chi non ha tempo da perdere o soldi da spendere può stamparsi un certificato di laurea fai-da-te a due lire da www.123certificates. com. I controlli sono pari a zero, se è vero che Colby Nolan, un simpatico gattone di sei anni di proprietà di un procuratore generale della Pennsylvania è riuscito a guadagnarsi un diploma in Business administration alla Trinity Southern UniversitydiDallas(poichiusadai giudici) senza dare un esame — per ovvi motivi — e pagando la miseria di 299 dollari.
Siamo, inutile dirlo, in pieno Circo Barnum del tarocco. Un mondo dove oltretutto non esiste senso della vergogna: «Sono molto imbarazzata all’idea che Karl Theodor Zu Guttenberg abbia copiato la tesi», ha detto Annete Schavan, ministro dell’Istruzione tedesco, commentando le dimissioni del suo collega della difesa. Salvo poi essere costretta a mollare la poltrona due mesi fa quando l’università di Dusseldorf le ha revocato per plagio la sua laurea in Filosofia.
E l’Italia? Noi — come tradizione nel campo dell’arte d’arrangiarsi — non dobbiamo farci insegnare niente da nessuno nemmeno sul fronte delle lauree patacca. Il genio nel campo, in fondo, resta il senatur Umberto Bossi (buon sangue non mente, dice chi ha seguito le peripezie accademiche del Trota) che come ha confessato il cognato «ha organizzato tre feste di laurea senza averne presa una». Nella rete del millantato credito accademico sono finiti l’ex sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto — «ho detto una piccola innocente bugia» — reo di aver vantato un diploma in Economia e commercio inesistente, Daniela Santanchè per un contestatissimo master alla Bocconi finito nel suo curriculum vitae e la new entry grillina Marta Grande, messa in croce sul valore del suo Bachelor of Art
conseguito in Alabama. Non solo: l’università di Ca’ Foscari, è stata costretta a mettere in piedi un software anti-plagio che ha già smascherato diverse tesi riciclate e di “seconda mano”.
Il sogno della pergamena ha fatto altre vittime illustri: Lino Banfi è stato vittima della stangata dell’Università Giovanni Paolo I, aperta nel pontino all’ex tenente dell’esercito Luciano Ridolfi e finita nel mirino dell’operazione “110 e frode” dei Carabinieri. Ridolfi, cavalcando il nome di Papa Luciani e la dabbenaggine dei suoi interlocutori, avrebbe truffato decine di studenti grazie allo specchietto delle allodole del suo ateneo virtuale. Sede in un appartamento fatiscente di Latina ma in grado di consegnare finte lauree honoris causa
al comico pugliese, a Rocco Buttiglione e a Joaquin Navarro Valls in pompose cerimonie nei palazzi romani, con tanto di servizio del Tg1.
Nessuna sorpresa: la voglia pazza di laurea, in un mondo dove l’apparenza conta spesso più della sostanza, non è mai calata nemmeno ora che il pezzo di carta conta meno di una volta. Il Bureau of Labour statistic di New York ha calcolato che solo sette delle trenta professioni emergenti (e solo due delle dieci più retribuite) richiedono un diploma universitario. Mentre una recentissima ricerca di AlmaLaurea sostiene che un anno dopo la tesi, la retribuzione media in Italia è di mille euro, con un tasso di disoccupazione salito dal 19 al 23 per cento per chi ha in tasca la laurea breve e dal 20 al 21 per cento per chi ha seguito i corsi di cinque anni. Tanto vale, verrebbe da dire, non star lì a perdere tempo. In fondo il povero Steve Jobs, ha mollato anzitempo il Reed College di Portland per fondare Apple malgrado il motto dell’ateneo — “Communism, Atheism, Free Love” — promettesse molto bene. E né Bill Gates, numero uno di Microsoft, né Mark Zuckerberg, il
deus ex machina di Facebook, hanno mai concluso gli studi. Volessero rimediare, no problem.
Niente di più facile che un prestigioso ed economicissimo master a Cambridge. Basta non si mettano in testa di sfidare Oxford. La Cambridge International University — sede alle Isole Vergini, cavallo di battaglia il corso di dermatologia estetica — non è stata mai ammessa (per motivi inspiegabili) alla regata sul Tamigi.