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 2013  aprile 10 Mercoledì calendario

GRAZIE MAGGIE CI HAI FATTO DIVENTARE SCRITTORI MIGLIORI

MAGGIE! Maggie! Maggie! Via! Via! Via!”. Questa richiesta, un tempo scandita a mo’ di slogan dalla sinistra, è stata completamente e definitivamente soddisfatta. In occasione di innumerevoli manifestazioni, negli anni Novanta, era stata l’espressione di una singolare ambivalenza – dove l’intimità di un nome proprio si abbinava al rabbioso rifiuto di tutto ciò che questo rappresentava.
“Maggie Thatcher” – due veementi trochei accostati al delicato ritmo giambico del welfare state della
Gran Bretagna del dopoguerra. Per coloro tra noi che rimanevano sgomenti di fronte al suo sbrigativo disprezzo per quel rassicurante mondo dominato dallo Stato, odiarla non bastava. Amavamo odiarla. Ci aveva costretto a decidere cosa fosse realmente importante.
Con il senno di poi, una tale testimonianza di dissenso appare spesso dovuta a un inconfessato sessismo. Le femministe l’avevano ripudiata, perché malgrado fosse una donna non era una “sorella”. Eppure, ciò che univa tra loro gli oppositori del programma di Margaret Thatcher era il sospetto che la figlia del droghiere fosse determinata a monetizzare il valore umano.
ECHE non avesse cuore né molta considerazione per gli impulsi che legano tra loro gli individui all’interno di una società. Tuttavia, se i lettori del Guardian oggi potessero viaggiare a ritroso nel tempo e riemergere verso fine degli anni Settanta, scoprirebbero con una certa irritazione che la programmazione televisiva dell’indomani era considerata un segreto di Stato, e che in quanto tale non poteva essere rivelata alla stampa. Ad eccezione del Radio Times, al quale era stata concessa una licenza esclusiva (non sorprende che vendesse sette milioni di copie a settimana). Aggiungere una prolunga al telefono di casa era considerato illegale, e per farlo occorreva aspettare sei settimane: il tempo necessario all’arrivo di un ingegnere. Sul mercato esisteva un unico modello di segreteria telefonica approvato dallo Stato. Gli uffici della compagnia elettrica potevano essere un luogo decisamente ostile. La Thatcher spazzò via quei monopoli di Stato in nome della nuova “privatizzazione”, e trasformò la vita di tutti i giorni in un modo che oggi ci appare scontato.
Abbiamo pagato quella trasformazione con l’avvento di un mondo meno disposto a compromessi, più competitivo e di certo più attentamente consapevole del fascino del denaro. Adesso, dopo la stretta creditizia, possiamo tirare le somme di ciò che abbiamo perso e ciò che abbiamo guadagnato dalla deregulation della City del 1986, ma è improbabile che si possa mai tornare indietro.
Sembra strano pensare che all’epoca della Thatcher il romanzo britannico godette di un periodo di rinascita relativamente vivace. È raro che un governo possa affermare di aver dato impulso alle arti, ma la Thatcher, sempre piuttosto impaziente nei confronti dell’esistenza rielaborata, spinse gli scrittori su un terreno nuovo. Forse il romanzo prospera nelle avversità, e il senso generale di sgomento suscitato dal nuovo mondo che lei ci mostrava portò molti scrittori a unirsi alle fila dell’opposizione. La loro posizione era posta spesso in termini molto generali, più morali che politici. La Thatcher ebbe l’effetto di imporre una più profonda presa di coscienza delle priorità, espressa talvolta sotto forma di una varietà di distopie.
Ci affascinava. A una conferenza internazionale che si tenne a Lisbona verso la fine degli anni Ottanta, i rappresentanti della fazione britannica — tra cui Salman Rushdie, Martin Amis, Malcolm Bradbury e io — fecero nelle loro presentazioni un costante riferimento alla
Thatcher. Nel rispondere a chi ci chiedeva di riferire dello “stato delle cose” nel nostro Paese, quasi non riuscivamo a prescindere da lei. Alla fine il contingente italiano, predominantemente esistenzialista o postmoderno, si rivoltò contro di noi. Con somma gioia degli organizzatori, la situazione sfociò in una lite incandescente e totale.
La letteratura non ha nulla a che vedere con la politica, dicevano gli scrittori italiani. Allargate la vostra prospettiva. Guardate oltre la Thatcher! Non avevano torto, ma non potevano immaginare quanto la Thatcher fosse ipnotica — così potente, affermata, popolare, onnisciente, irritante e, dal nostro punto di vista, quanto avesse torto. Sospettavamo forse che la realtà avesse partorito un personaggio al di fuori dalla nostra portata creativa.
Non tutti gli scrittori le erano contro. Philip Larkin si recò in visita a Downing Street, dove il primo ministro gli citò con tono di approvazione uno dei suoi versi, “La tua mente si offriva spalancata come un cassetto di coltelli”. Le versioni di quell’episodio differiscono. La Thatcher potrebbe aver citato il verso in maniera non del tutto corretta. Naturalmente, dal momento che le citazioni sono la più sentita forma di lode, Larkin ne fu commosso.
Si potrebbe ipotizzare che un consigliere avesse proposto alla Thatcher una selezione dei migliori versi di Larkin, o che lei avesse chiesto che gliene fossero mostrati alcuni. Tuttavia, la scelta fatta coglie appieno il personaggio. Per cominciare, la Thatcher possedeva una memoria prodigiosa e non avrebbe avuto alcun problema a memorizzare in poco tempo un passaggio di qualsiasi lunghezza. Quello di Larkin evocava la mente sleale (di un avversario, di un collega di gabinetto) vulnerabilmente esposta al suo sguardo di acciaio. Siamo grati ai diari di Alan Clark, che offrono un’accurata descrizione della sensazione che doveva provare chi veniva convocato al 10 di Downing Street per essere sottoposto a un simile scrutinio. Una volta, quando il compianto Christopher Hitchens — che scriveva di politica per il New Statesman — corresse il primo ministro su un fatto specifico, lei a sua volta corresse prontamente Hitchens. Lei aveva ragione, lui torto. A Hitchens fu detto, di fronte ai suoi colleghi giornalisti, di portarsi esattamente di fronte a lei, affinché potesse colpirlo leggermente con la sua copia dell’ordine del giorno. Con gli anni, dopo essere stata ripetuta innumerevoli volte, si affermò una versione dei fatti secondo la quale la Thatcher avrebbe chiesto a Hitchens di chinarsi, e lo avrebbe sculacciato con la sua copia dell’ordine del giorno.
La verità è meno significativa della modifica che con il tempo vi è stata apportata. L’ossessione nazionale nei confronti della Thatcher ha sempre contenuto un elemento di erotismo. Dall’invenzione del termine “sado-monetarismo” al modo in cui i suoi potenti ministri sembravano sdilinquirsi di fronte a lei, al costante insistere, da parte dei suoi detrattori, sulla sua femminilità, o mancanza di femminilità, la Thatcher esercitava una presa glaciale sull’immaginario (maschile) masochistico della nazione. Una presa ulteriormente accentuata dal sospetto che tale potere non fosse esercitato in maniera consapevole.
L’interpretazione con cui Meryl Streep ha portato sullo schermo una donna dal passo trascinato, provata e isolata dalla morte del marito Denis potrebbe aver edulcorato i ricordi, o averli definiti nella mente di una generazione più giovane. Il funerale, che sarà di fatto un funerale di Stato, ci farà rivivere le nostre stravaganti fissazioni. Gli oppositori e i sostenitori di Margaret Thatcher non concorderanno mai sul valore del suo retaggio, ma quanto all’importanza che da lei rivestito, alla presa ipnotica che esercitava su di noi, sono destinati in parte a convenire.

(Traduzione di Marzia Porta)