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 2013  aprile 06 Sabato calendario

I DISOCCUPATI ALLARMANO WALL STREET

Se c’è un indicatore macro­economico capace di far rizza­re le antenne della business community Usa, è quello sulla disoccupazione. Bene: in mar­zo il tasso dei senza lavoro è sce­so al 7,6%, ma i nuovi posti crea­ti sono stati appena 88mila con­tro i 200mila attesi. Wall Street non l’ha presa bene (-0,6% a un’ora dalla chiusura). E per due motivi. Il primo: il mercato del lavoro si conferma l’anello debole della ripresa a stelle e strisce. Una jobless recovery, peral­tro, dal passo claudicante co­me testimonia la brutale sforbi­ciata della Fed alle stime di cre­scita 2013, riviste al 2,3-2,8% dal 3-3,5% della precedente pre­visione.
Il secondo: la troppa gente a spasso è in stridente contrasto con il moto perpetuo (a salire) degli indici di Borsa. Lo scollamento con l’econo­mia r­eale è così netto da amplifi­care i timori che Wall Street stia correndo troppo. Insomma: c’è puzza di bolla, l’ennesima. Destinata, prima o poi, a scop­piare. Il Dow Jones è su picchi mai visti, oltre 300 punti sopra il record dell’ottobre 2007, perio­do pre-crisi subprime. Ciò che inquieta, è la profonda differen­za rispetto ad allora. In poco più di cinque anni il debito fede­rale è schizzato da 9mila a 16.500 miliardi di dollari, una ci­fra monstre da cui è scaturita la pantomima grottesca sul tetto del debito, che diventa stratosferica, pari a quattro volte il Pil, se si aggiungono i debiti del­le famiglie. E se tanti budget do­mestici sono sotto stress, spes­so la causa non è riconducibile allo shopping compulsivo, ma proprio a un’occupazione che non c’è.Oggi 13 milioni di ame­ric­ani sono senza un posto di lavoro contro i 6,7 del 2007, e su questa piaga sociale Obama ha rischiato di giocarsi il secondo mandato alla Casa Bianca. L’impoverimento generale fa infatti proliferare i cosiddetti fo­od stamps, i buoni pasto della sopravvivenza consumati da 47 milioni di persone (nel 2007 erano 27 milioni), il 15% della popolazione, spesso con pro­blemi di obesità legati proprio all’acquisto di cibi e bevande iperproteici a basso costo.
Il tutto avviene nonostante la Federal Reserve, ormai da an­ni, stia massaggiando il corpo dell’America nel tentativo di rianimarlo. I tassi d’interesse, che nel 2007 erano ancora al 5,25%, già dal dicembre 2008 erano stati schiacciati da Ben Bernanke tra lo 0 e lo 0,25%. De­naro a buon mercato che non sembra aver fatto da volano al­l’economia reale. L’impressio­ne, al contrario, è che tutte le manovre di stimolo varate fino­ra (dai 7.700 miliardi erogati per salvare le banche da fine 2008 a marzo 2009, alle più re­centi manovre di quantitative easing) siano solo servite a ri­mettere in moto la macchina della finanza. E,dunque,abbia­no contribuito a generare l’ulti­ma bolla (e l’inflazione).
Ma l’apporto isolato della fi­nanza rischia di far saltare il banco, soprattutto se altre aree non contribuiranno a ridare slancio all’economia Usa. Non solo. Con la sua strategia, la Fed sta spingendo la politica a non farsi troppo carico del nodo del debito. Come? Nei giorni scor­si, Bernanke ha versato al bud­get federale quasi 90 miliardi di profitti derivanti dall’acquisto di treasuries. Interessi pagati dal Tesoro Usa. Una partita di gi­ro potenzialmente mortale.