Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 09/04/2013, 9 aprile 2013
ENIGMI DELLA CRISI COREANA STRATEGIA DELLO STATO D’ASSEDIO
La Corea del Nord ha dichiarato lo stato di guerra con il Sud. Ogni giorno il governo di Pyongyang alza l’asticella con nuove provocazioni. È verosimile pensare che l’obbiettivo del Nord sia effettivamente una guerra (nucleare!) che lo vedrebbe inesorabilmente soccombere?
Isabella Coccolini
isacoccolini@hotmail.it
Kim Jong-un dichiara che stanno rafforzando «quantitativamente e qualitativamente» il loro arsenale nucleare. A parte la follia di chi continua a buttare soldi in armamenti lasciando che il popolo muoia letteralmente di fame e a parte il fatto che a Corea del Sud, Usa e Giappone non passa nemmeno per la testa di invadere la Corea del Nord, la mia domanda è: perché lo fanno?
Luigi Santafede
luigisantafede@yahoo.com
Cari lettori, in questa ennesima crisi coreana gli enigmi sono almeno due. Il primo concerne i piani militari del regime di Pyongyang. I soldati alle armi, immediatamente disponibili per il campo di battaglia, sono più di un milione, ma i loro armamenti sono complessivamente invecchiati ed è difficile immaginare che possano prevalere sulle forze congiunte, modernamente attrezzate, degli Stati Uniti e della Corea del Sud. Sulla consistenza della forza nucleare abbiamo notizie difficilmente verificabili, ma i migliori analisti escludono che i nordcoreani siano in grado di montare una testata atomica su missili di lunga e media gittata. Potrebbero colpire la Corea del Sud o una base degli Stati Uniti in Giappone, ma con il rischio di una devastante rappresaglia americana. Quale può essere il senso di una guerra provocata in queste circostanze?
Foreign Affairs, la migliore rivista americana di politica internazionale, ritiene che i nordcoreani abbiano una strategia simile, anche se su scala molto più modesta, a quella della Nato negli anni della Guerra fredda. I Paesi dell’Alleanza atlantica sapevano che l’Urss e i suoi satelliti disponevano di una schiacciante superiorità numerica, ma si servirono dell’arsenale nucleare americano e britannico come di un deterrente. Il messaggio lanciato a Mosca era chiaro: se ci attaccherete vi colpiremo con i nostri missili e con i nostri bombardieri. Allo stesso modo la Corea del Nord potrebbe essere pronta a usare contro i suoi nemici l’arma del ricatto nucleare: se cercherete di sopraffarci con le vostre armi convenzionali, saremo pronti a utilizzare contro di voi i nostri missili nucleari. Ma quali sarebbero le finalità politiche di una tale strategia? Perché provocare un conflitto di cui l’esito, nella migliore delle ipotesi, sarebbe un altro armistizio?
Per decifrare questo secondo enigma abbiamo soltanto ipotesi. Kim Jong-un ha conquistato il potere per una sorta di diritto dinastico, ma non lo ha ancora consolidato creando intorno alla sua persona una fitta rete di alleati e clienti. È un dittatore, ma il regime è una oligarchia militare che potrebbe da un giorno all’altro scegliere un altro leader. Forse il miglior modo per controllare gli oligarchi è quello di creare periodicamente il sentimento dello stato d’assedio, della patria minacciata, del nemico alle porte. In altri tempi il padre e il nonno hanno adottato con successo la stessa strategia e il terzo Kim avrebbe deciso di imitarli.
Questa volta, tuttavia, la partita è più complicata. Mentre i due predecessori hanno potuto contare sul sostegno della Russia e della Cina, le provocazioni dell’ultimo Kim sembrano avere suscitato le critiche di Mosca e Pechino. Non sono certo tuttavia che questo giustifichi un certo ottimismo. I peggiori errori sono quelli che vengono commessi da chi si è bruciato i ponti alle spalle.
Sergio Romano