Anna Meldolesi, Corriere della Sera 09/04/2013, 9 aprile 2013
«HO SCOPERTO IL DNA». IL FIGLIO VENDE ALL’ASTA LA LETTERA DEL NORD
Come si annuncia una scoperta rivoluzionaria come quella della doppia elica? Con sobrietà, in un articolo accademico. Con spacconeria, al pub con gli amici. Con familiarità alla moglie, che non sta neanche a sentire. Francis Crick lo ha fatto in tutti questi modi e in un altro ancora. Ha scritto una bellissima lettera al figlio dodicenne, poche settimane prima che la notizia facesse il giro del mondo. Il 10 aprile quelle sette pagine andranno all’asta a New York, per volontà dello stesso figlio ormai ultrasettantenne. Probabilmente a Francis, che è morto nel 2004, non importerebbe granché; per molti altri, però, è un colpo al cuore. Perché, se non si farà avanti un benefattore, questo e altri cimeli potrebbero finire in una collezione privata. E perché l’asta da Christie’s sancisce una verità sgradita: anche la memoria di un gesto tenero compiuto da un padre eccezionale ha un prezzo, l’amore filiale è sempre imperfetto. «Mio caro Michael, probabilmente Jim ed io abbiamo fatto una scoperta molto importante», esordisce il papà-scienziato nella missiva datata 19 marzo 1953. Seguono schizzi e spiegazioni, sul Dna inteso come codice, sul meccanismo con cui «la Natura fa le copie dei geni», originando «la vita dalla vita». Crick scherza con il figlio («il modello è molto più carino di così») e confida: «Siamo molto eccitati». «Leggi attentamente, in modo da capire. Quando verrai a casa condivideremo il modello con te. Con tanto amore, papà». Lots of love, Daddy. Questa scritta blu un po’ obliqua è come una carezza in una storia di cui conoscevamo altri risvolti: le rivalità, le scorrettezze, i lampi di genio, le goliardate, il traguardo epocale. Michael sostiene di aver subito compreso la portata della scoperta. La moglie di Crick no. Quel che Odile ha pensato la sera dell’eureka lo ha rivelato lei stessa qualche anno dopo. «Venivi sempre a casa dicendo cose del genere, perciò non ci ho fatto caso». Anche questo è istruttivo. La moglie artista dello scopritore della doppia elica che non prende sul serio il marito quando le rivela la grande impresa. L’amore coniugale, anche quello è sempre imperfetto. Questa scena però fa sorridere. Non sappiamo invece cosa abbiano pensato gli avventori del pub di Cambridge di cui scrive James Watson nel bestseller «La doppia elica». Era il 28 febbraio del 1953 quando Crick entrò nell’Eagle e si lasciò scappare di fronte a tutti: «Abbiamo scoperto il segreto della vita». È lo stesso concetto che arriva in chiusura del celebre articolo su Nature, il 25 aprile. Ma sentite come suona diversamente: «Non ci è sfuggito che l’appaiamento specifico che abbiamo postulato suggerisca immediatamente un possibile meccanismo di replicazione per il materiale genetico». Quanta sobrietà e quale umiltà. Eppure, nel celebre incipit del suo libro, Watson aveva fotografato così il compagno: «Non ho mai visto Francis Crick in vena di modestia». «Vulcanico, loquace, affascinante, scettico e tenace», è la descrizione del suo biografo Matt Ridley. I soldi del Nobel li aveva spesi per una MG spider, un cottage e una barca, i cui giornali di bordo andranno all’asta, assieme alla medaglia ricevuta a Stoccolma e altre cose. Anche il suo camice, con un’elica dorata, singola non doppia, ricamata sul taschino. Lo stesso Crick nel 2000 voleva vendere a un privato parte delle sue carte, prima che Watson lo pregasse di non farlo e il Wellcome Trust mettesse tutto a disposizione del pubblico. No, a lui non importerebbe dove finiscono le sue cose. Ma a chi ama la scienza interessa. Sapere che parte della somma, valutata intorno ai 2 milioni di dollari, andrà a un istituto di ricerca è una piccola consolazione.
Anna Meldolesi