Claudio Del Frate, Corriere della Sera 09/04/2013; Cesare Giuzzi, ib.; Paolo Mereghetti, ib., 9 aprile 2013
3 articoli – KALASHNIKOV E FIAMME IN AUTOSTRADA. RAPINATI VENTI MAXI LINGOTTI D’ORO — C’erano 240 chili d’oro in viaggio ieri mattina da Milano alla Svizzera dentro un furgone portavalori
3 articoli – KALASHNIKOV E FIAMME IN AUTOSTRADA. RAPINATI VENTI MAXI LINGOTTI D’ORO — C’erano 240 chili d’oro in viaggio ieri mattina da Milano alla Svizzera dentro un furgone portavalori. Lo sapevano i diretti interessati ma lo sapevano anche — nei dettagli — i componenti del commando che a colpi di mitra hanno assalito il blindato e se ne sono andati con 20 lingotti da 12 chili l’uno più denaro contante del valore vicino ai 10 milioni di euro. Dissoltosi il fuoco usato dai banditi per bloccare la A9, spentosi il crepitare dei fucili, sparito il caos che fino a metà pomeriggio ha assediato la Milano—Como e molte strade circostanti, l’ombra che rimane da scacciare è la seguente: come hanno fatto i banditi a mettere a segno un blitz così chirurgico e degno di un action - movie? Per capire quanto fuori dell’ordinario sia stata la rapina scattata ieri mattina alle 7 lungo la carreggiata della A9 diretta verso nord occorre partire dalla ricostruzione dell’evento. All’alba due furgoni della ditta portavalori Battistolli partono dalla loro sede di Paderno Dugnano, periferia nord di Milano: uno di loro trasporta 20 lingotti d’oro da 12 chili l’uno e della valuta, l’altro è vuoto e fa da scorta. Loro destinazione è la sede della Battistolli a Como dove sono attesi da colleghi di una ditta svizzera che prenderanno in consegna il carico e lo porteranno fino a Lugano. Un percorso definito «navetta» perché viene coperto quasi tutti i giorni e in particolare il lunedì. Poco dopo Saronno alcuni automobilisti vedono davanti a loro un tir che procede lentamente e dalla cui motrice sale un denso fumo: restano allibiti perché poco dopo al fumo vedono aggiungersi il fuoco finché il mezzo si ferma al centro della carreggiata. Poco più avanti (e siamo ormai in vista dello svincolo di Turate) un altro camion sterza bruscamente e si mette di traverso: si apre il portello posteriore e ne scendono almeno cinque uomini armati e incappucciati. Il loro obiettivo sono i due furgoni della Battistolli che altri componenti del commando, balzati giù da alcune auto, sempre armati e a volto coperto hanno già provveduto a bloccare con più sventagliate di Kalashnikov: una trentina i fori lasciati sulla carrozzeria e sul parabrezza di uno dei due. Il blindato «civetta» non viene quasi toccato, i banditi assediano invece quello con l’oro: alcuni di loro tengono sotto tiro le tre guardie giurate dentro la cabina mentre altri, usando un flessibile, tranciano i cardini del portello posteriore e portano via tutto il carico. L’intera azione dura cinque minuti, il commando agisce indisturbato anche perché nel frattempo altri complici hanno paralizzato l’autostrada: chiodi a tre punte sono stati sparsi lungo le rampe dello svincolo di Turate mentre lungo la carreggiata opposta, diretta a Milano, un terzo camion è stato dato alle fiamme. Il sangue freddo e la preparazione del colpo è sottolineato anche dalla maniera con cui i rapinatori si aprono la via di fuga: risalgono sulle auto (almeno quattro) e ripartono lungo la A9 verso Como; ma poche centinaia di metri dopo accostano, segano il guard rail ed escono dall’autostrada fino ai capannoni abbandonati di un supermercato, appena lì accanto. Sotto quei ruderi vengono trovate dalla polizia le auto usate dai banditi, di cui non c’è invece traccia. Il guard rail era stato nel frattempo rimesso a posto, nel punto in cui è stato segato è stato trovato un piccolo segno giallo. L’unica «firma» lasciata dal commando. Claudio Del Frate GUARDRAIL SEGATO. SI PREPARAVANO DA ALMENO SEI MESI — C’è un solo punto debole nel colpo perfetto degli uomini d’oro di Turate. Non è la probabile presenza di un basista, certamente l’anello più fragile della catena. Quello che, ripercorrendo l’organizzazione del colpo a ritroso potrebbe mettere la polizia sulle orme dei banditi. Ma questo, con argomenti convincenti, la banda deve pure averlo messo in conto. Certe cose non s’improvvisano. Piuttosto, c’è un vecchio motto tra i rapinatori: quando un colpo si fa in due, uno è di troppo. Perché così si moltiplica il rischio. E nella banda di Turante erano almeno in dieci. Non basta essere perfetti, bisogna essere impeccabili nel tempo. Una confidenza a un amico, una «cazzata», e tutto salta. Così è stato per «il colpo del secolo» in via Osoppo a Milano (1958): 114 milioni di lire. A tradire Ugo Ciappina e compagni fu il ritrovamento delle tute blu usate per la rapina e gettate nell’Olona in secca. L’evoluzione dell’assalto ai portavalori porta verso Est. «I lingotti d’oro saranno già arrivati al mercato nero di Mosca», dicono gli investigatori. Quella russa è — in questo momento — la piazza più redditizia per i metalli preziosi. Il primo punto nella pianificazione di una rapina simile è aprire un canale con il ricettatore: non si ruba qualcosa che non si sa a chi rivendere. L’oro in lingotti può fruttare il settanta o l’ottanta per cento del valore di mercato. Se ci scappa il morto il bottino è bruciato, il valore scende di 3 o 4 volte. I soldi, invece, sono pronti all’uso. L’esperienza dice che i gruppi più attivi in Lombardia sono stati quelli pugliesi e albanesi. In Italia ci sono almeno una ventina di bande specializzate negli assalti ai portavalori. Nel caso di Turate l’organizzazione è stata quasi militare: compiti precisi, armi da guerra, capacità di creare diversivi (il camion incendiato). «Parlavano italiano», hanno raccontato le guardie giurate. Ma è probabile che nel gruppo non ci fossero solo italiani. Magari «ex militari» degli eserciti balcanici. Per bloccare tre corsie con un Tir, in una manovra eseguita tra i sessanta e gli ottanta chilometri orari, serve una certa competenza. I colpi sparati verso il furgone — sembra con un mitragliatore Kalashnikov — sono ravvicinati, precisi. Segno di una mano ferma. I tondini di ferro a tre punte disseminati sull’asfalto per bloccare eventuali inseguitori, il guardrail «segato» (certamente nei giorni scorsi) per aprirsi una via di fuga invisibile, sono i segnali di una pianificazione minuziosa. «Durata almeno sei mesi: pedinamenti, prove, verifiche di tempi e percorsi». L’assalto somiglia alla rapina avvenuta a Seriate (Bergamo) nel giugno 2008, due milioni di euro di bottino. Dopo il colpo di ieri, durato non più di sette o otto minuti, i rapinatori sono fuggiti su almeno quattro auto (anche un’Audi A3) recuperate dalla polizia in un ex supermercato: «Dopo il cambio macchine la banda s’è divisa: uno alla guida del mezzo col bottino, altri in moto o in auto. Ma singolarmente, due uomini in macchina sarebbero stati notati subito ai posti di blocco — dicono gli inquirenti —. La banda poteva contare su qualcuno con un’ottima conoscenza del territorio. Magari su altri complici e una casa nei dintorni». Tradotto: gente del posto. Nella stessa zona, vent’anni fa, agivano uomini legati al boss calabrese Franco Coco Trovato. Erano esperti in colpi a portavalori. Alcuni sono diventati collaboratori di giustizia. Come le bande venete, legate al boss del Brenta Felice Maniero. Rapinatori di furgoni blindati che progettarono addirittura l’omicidio dell’allora capo della Mobile di Venezia, Alessandro Giuliano (oggi a Milano). A Turate, oltre a camion e furgoni rubati, a «flessibili» per il taglio del metallo blindato e a un escavatore, sono servite le armi. Pistole e mitra. Un Kalashnikov si trova nei giusti ambienti a meno di settecento euro. Per le comunicazioni niente telefono (le celle sono tracciabili) solo radiotrasmittenti (costano trenta euro). E dopo la fuga, l’ultima regola: niente colpi di testa. Bisogna avere la pazienza di dimenticare il bottino per almeno due o tre mesi. Il giorno dopo si torna alla vita di sempre. Cesare Giuzzi QUELLE ANALOGIE CON «LA SFIDA» DEL BAMBINO DE NIRO - Come in un film, è stato il commento generalizzato. E in effetti la rapina sull’autostrada di ieri sembrava pensata da un bandito-regista, capace di orchestrare al meglio tutti gli elementi fondamentali di un bel giallo: ambientazione, ritmo, scelta dei particolari, esecuzione senza sbavature. Per la perfezione manca solo il lieto fine (delle forze dell’ordine, naturalmente), ma per quello dobbiamo avere un po’ di pazienza e sperare che la «sceneggiatura» di cui sopra non sia proprio così perfetta. Anche perché a scorrere i più famosi esempi cinematografici, qualche sassolino capace di far deragliare il più oliato dei meccanismi c’è sempre. Come per esempio un complice che tradisce. Succede nel film italiano La banda del gobbo di Umberto Lenzi (1978), con Tomas Milian in un doppio ruolo: quello del «gobbo» appunto, che organizza l’assalto a un vagone portavalori con bombe fumogene, e quella del fratello-quasi-gemello Monnezza, che si incaricherà di vendicarsi su chi durante la rapina aveva sparato al «gobbo» sperando di ucciderlo e spartire il bottino con una persona in meno. Oppure in Tutte le ore feriscono... l’ultima uccide!, forse il capolavoro noir di Jean- Pierre Melville (1966), dove l’evaso Gustave Minda detto Gu (uno straordinario Lino Ventura) partecipa alla rapina di un furgone portavalori ma resta vittima di uno stratagemma dell’astuto commissario Blot (Paul Meurisse) e finisce in galera. Dove comunque i suoi problemi sono appena cominciati... In questi film, però, il momento dell’assalto è raccontato con una certa sbrigativa sinteticità, come anche nel divertente L’incredibile avventura di Mr. Holland (di Charles Crichton, 1951), dove un «onestissimo» dipendente della Banca d’Inghilterra (un gustoso Alec Guinness) decide che non può astenersi dallo svaligiare il furgone che trasporta i lingotti d’oro dalla fonderia all banca. Per trovare una rapina organizzata scientificamente bisogna tornare a Hollywood. E rivedere Doppio gioco (di Robert Siodmak, 1949), dove l’infido Dan Duryea organizza un attacco al blindato che guida Burt Lancaster: esplosione per creare un diversivo, cortina fumogena, «anonimi» passanti che estraggono maschere antigas e pistole. Tutto perfetto se non fosse che il «complice» Lancaster fa, come dice il titolo, il doppio gioco. Per trovare invece un film capace di anticipare la rapina dell’autostrada bisogna ricorrere a Michael Mann e al suo Heat - La sfida (1995). Lascia a bocca aperta come De Niro progetta l’assalto a un furgone (un’ambulanza blocca la strada, un autoarticolato investe e rovescia il blindato, strisce chiodate per fermare le auto della polizia, tre minuti di tempo per fare il colpo e scappare). Un assalto che Mann filma da par suo. Un colpo davvero «perfetto», che potrebbe anche aver ispirato i rapinatori italiani. Paolo Mereghetti