Nino Materi, il Giornale 6/4/2013, 6 aprile 2013
«IO ROVINATO DA AMANDA KNOX E LEI ORA SE LA GODE NEGLI USA»
Alla fine, dalla bocca di Amanda, uscì quel nome: Patrick Lumumba. I presenti tirarono un sospiro di sollievo. Nella stanza c’erano avvocati, giudici, poliziotti. E a tutti la «confessione» di Amanda parve una «liberazione». Del resto quel giovanotto dalla pelle nera aveva il physique du rôle del perfetto «colpevole». Meglio ancora se «assassino». Un «mostro» da sfornare caldo caldo sulla graticola delle prime pagine dei giornali. Giornali che in quei giorni di fine 2007 spandevano brace sul giallo della studentessa inglese massacrata a Perugia. La vittima: Meredith Kercher; gli «amici» di lei: Raffaele Sollecito e Amanda Knox; il balordo del gruppo: Rudy Guede. Mancava solo la «figurina» più ricercata: il killer sanguinario, meglio se di colore. L’identikit di Lumumba, il barista congolese arrivato nel nostro Paese in cerca di fortuna. Amanda, l’americana di buona famiglia, non ebbe dubbi: il colpevole? «Lumumba». La polizia lo arrestò e chiuse in carcere per due settimane. «Ripetevo che con quel delitto non c’entravo nulla, ma nessuno mi credeva», si tormenta a sei anni di distanza da quell’incubo. Non parla volentieri coi giornalisti, si limita a uno sfogo: «Nessuno in Italia mi ha mai chiesto scusa...». Eppure lui davvero «non c’entrava nulla»: «innocente», come dicono al bar dello sport; «estraneo ai fatti» come dicono al bar del tribunale. «A salvarmi -ricorda- non fu certo il ravvedimento degli inquirenti, ma la testimonianza di un cliente del mio pub che testimoniò di essere stato con me nell’ora in cui Meredith veniva accoltellata». Per quella falsa accusa contro di lui, Amanda è stata condannata per calunnia a 3 anni. Magra soddisfazione per Lumumba che, dopo la sua disavventura giudiziaria, con l’Italia chiuse definitivamente. Si trasferì in Polonia dove ha ritrovato una sua serenità grazie all’amore della moglie e dei figli. C’è chi dice ora Lumumba sbarchi il lunario facendo il dj, chi che abbia aperto un nuovo pub come quello che aveva a Perugia quando finì dietro le sbarre. Lui non conferma né smentisce: «La mia vita interessa solo me e la mia famiglia». Un «fantasma», Lumumba, cui neppure la sentenza della Cassazione che ha annullato l’assoluzione di Amanda riesce a dare corpo. Silenzio. Oblio. Rotto solo dall’eco di qualche frase sprezzante, tornata oggi più attuale che mai: «Amanda è una grande attrice... mi accusò sapendo di mentire... una vendetta solo perché tra me e lei c’era stato qualche screzio...». Amanda dava una mano saltuariamente nel pub Le Chic gestito da Lumumba, ma invece di lavorare passava tutto il tempo a chiacchierare con i clienti. Lumumba si «permise» di farglielo notare, e lei, Amanda, pensò bene di fargliela pagare nel peggiore dei modi. Accusandolo di essere un assassino. Quindici giorni in galera, poi il proscioglimento. «Benché fossi uscito pulito dalla vicenda- dichiarò Lumumba al Daily Mail - i clienti non venivano più nel mio pub. Ho dovuto chiudere il locale, licenziare il personale. Senza lavoro e malvisto da tutti». Costretto a fuggire dall’Italia. Lumumba ha seguito, con sconcerto, l’alternanza delle sorti giudiziarie della sua calunniatrice: prima condannata a 25 anni, poi assolta, ora di nuovo sottoposta a processo. Ha le idee chiare Lumumba: «Amanda è negli Stati Uniti e lì rimarrà per sempre...». Per lei ingenti guadagni grazie a un libro che racconta la sua «storia» e alla tante ospitate televisive dove, più che Meredith, la vittima sembra essere proprio lei, Amanda. Il cliché a prova di audience è sempre lo stesso: Amanda che piange perché i giudici italiani continuano a perseguitarla...». Per Lumumba nient’altro che le «lacrime di coccodrillo di un’attrice fantastica...».