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 2013  aprile 07 Domenica calendario

«NESSUN RISCHIO BOLLA A TOKYO»

TOKYO. Dal nostro inviato
La tempistica è casuale ma finisce per assumere un preciso significato: proprio all’indomani dell’annuncio di una nuova e radicale politica monetaria - più aggressiva di ogni previsione - Haruhiko Kuroda ha ricevuto la sua seconda investitura parlamentare, necessaria per garantirgli un mandato pieno di cinque anni come Governatore della Banca del Giappone. Il voto della Dieta assicura che a dirigere per un lustro intero l’istituto centrale nipponico sarà uno spietato reflazionista che ha messo la sua faccia su una scommessa non certo esente da rischi. Le prime reazioni dei mercati hanno combaciato con tutti i suoi desideri e obiettivi ma non è detto che sarà sempre così, almeno stando ad alcune autorevoli cassandre.
Aprendo le dighe della liquidità per ottenere una inflazione al 2% e un rilancio complessivo dell’economia, Kuroda - con il governo che l’ha nominato - vuole galvanizzare la Borsa, deprimere lo yen e schiacciare la curva dei tassi limando quelli a lungo termine. Nell’immediato, la missione è compiuta. Il Nikkei, dopo esser passato giovedì da -2 a +2,2% sull’onda dell’annuncio-shock, ha inanellato ieri un altro progresso dell’1,6% pur ridimensionandosi dai picchi di giornata superiori al +4%: in tre giorni l’indice azionario è salito del 6,9%, il che porta il guadagno a oltre il 50% nel giro di poco più di 4 mesi e mezzo.
Come accade da mesi, il balzo della Borsa è stato inversamente proporzionale alla direzione dello yen, che ieri è sceso ai minimi da tre anni e mezzo sul dollaro fin oltre quota 97, mentre sull’euro è arrivato a sfondare il livello di 125 (solo all’inizio dell’anno scorso la moneta unica stava sotto il rapporto di 100). Fin qui, ci sarebbe solo da brindare: una Borsa brillante galvanizza gli animi e uno yen debole assicura la competitività manifatturiera del Paese frenando le delocalizzazioni. Fin troppo successo e qualche primo campanello di allarme è arrivato dal mercato obbligazionario, caratterizzato da un’ampia volatilità. Per alcuni momenti il tasso sul Jgb decennale è precipitato al minimo storico di 0,315 con una perdita di ben 14 punti base, mentre i rendimenti sul trentennale sono scesi addirittura sotto quelli del ventennale.
Molti investitori sembrano aver comprato i bond nella convinzione che si irrigidirà il rapporto tra offerta e domanda, visto che sarà la banca centrale a farne incetta. Tuttavia, i paralleli movimenti su titoli di stato esteri hanno cominciato a far pensare che in futuro gli investitori domestici non potranno restare fedeli come prima a Jgb che offrono rendimenti tanto scadenti, per di più con uno yen in debolezza strutturale. Alla BoJ ieri mostravano baldanza anche su questo punto, suggerendo informalmente che un po’ di diversificazione estera del portafoglio dei grandi player domestici non è affatto sgradita. Ma il gioco appare pericoloso: c’è già chi proclama che «il mercato dei Jgb è morto», mentre il guru dell’obbligazionario Bill Gross ha espresso l’opinione che un dumping valutario permanente finirà per non essere tollerato dai non pochi Paesi che ne pagheranno il conto. Il finanziere George Soros è giunto a profetizzare che la BoJ non riuscirà a gestire il mostro che ha creato: a suo parere, alto è il rischio che yen e credibilità della banca centrale finiranno per precipitare. Kuroda ha dichiarato ieri di non temere bolle di asset e ha assicurato che vigilerà perché non si verifichino. Altri analisti pensano che la droga offerta dal neogovernatore forse potrà creare un po’ di inflazione, ma non basterà a generare una robusta crescita sostenibile a fronte delle persistenti rigidità burocratico-strutturali del Paese e delle sue negative dinamiche demografiche.
A segnalare che il governo non pensa solo a stimoli monetari e fiscali, ma anche a introdurre riforme incisive, proprio ieri è stata costituita la "task force" di 65 persone (che saliranno a 100) che condurrà i negoziati per l’adesione alla Trans-Pacific Partnership (un’area di libero scambio che comprende gli Usa), mentre il 15 aprile inizieranno le trattative per una partnership economica con l’Unione europea. Sono due Free trade agreement che renderanno necessari cambiamenti di una certa profondità su un mercato domestico ancora in molti casi allergico a vere liberalizzazioni. Ma ci vorranno vari anni prima che entrino in vigore.