Vittorio Sabadin, La Stampa 9/4/2013, 9 aprile 2013
ANNIENTO’ I SINDACATI E INVASE LE FALKLAND DAVANTI UNA TAZZA DI TE’
Margaret Thatcher ricordava della madre Ethel solo che le aveva insegnato a stirare le camicie. Del padre droghiere, Alfred Roberts, ricordava invece tutto e ne citava spesso le frasi e i solidi principi che le aveva trasmesso: quando divenne primo ministro, non ne mise in pratica nemmeno uno. Alfred sosteneva che non bisognava comprare niente che non si potesse pagare, che i debiti andavano saldati subito e che i privilegiati dovevano assumersi la responsabilità dei più deboli e svantaggiati. Sua figlia è passata alla storia come la donna che ha ridotto al minimo indispensabile lo stato sociale, applicato all’estremo le regole del libero mercato, annientato il potere dei sindacati, privatizzato le aziende sostenibili e chiuso le altre licenziando gli operai.
La Thatcher non era nata così, lo è diventata. A Oxford aveva studiato chimica e scoperto la passione per la politica nel partito conservatore. Aveva sposato il miliardario Denis Thatcher per amore, ma forse anche perché quando hai ambizioni politiche è più facile soddisfarle se tuo marito gioca a golf con ministri e direttori di giornali. Nel 1972, l’anno in cui divenne ministro dell’Istruzione nel governo di Edward Heath, Maggie era considerata da molti parlamentari poco più che «una donna delle caverne reazionaria»: parlava sempre a voce alta, gesticolava, si vestiva male e pensava di nascondere i difetti sotto una montagna di gioielli. I giornali la chiamavano «Margaret Milksnatcher», ladra di latte, perché aveva deciso di bloccarne la fornitura gratuita alle scuole materne, un passo falso del quale non si liberò mai.
Fu il produttore televisivo Gordon Reece a insegnarle a stare al mondo: le fece cambiare acconciatura, le impose abiti più eleganti e sobri, lavorò a lungo sul tono di voce, le insegnò a tenere le mani a posto mentre parlava. Così riassettata, la Thatcher scalò in fretta i vertici del partito, diventandone la prima donna segretario. La scrittrice Germaine Greer, una delle maggiori voci del femminismo nel XX secolo, ritiene che non avesse scrupoli, né senso dello stato, né rispetto per la democrazia. Diceva di avere imparato a memoria il libro «La società libera» di Frederick von Hayek, ma sicuramente aveva saltato il capitolo nel quale l’economista premio Nobel spiega come niente faccia più danni alla causa liberale del «capitalismo laissez-faire».
La Greer sostiene che il Thatcherismo non è stato inventato dalla Thatcher, ma dalle circostanze. Nell’inverno dello scontento che aveva preceduto la sua nomina a premier, avvenuta nel maggio del 1979, la Gran Bretagna era in bancarotta, l’immondizia riempiva le strade, l’elettricità era razionata, la disoccupazione senza precedenti e la settimana lavorativa ridotta a tre giorni. Era facile dire che bisognava tornare grandi, indicare esempi da imitare come quello di Winston Churchill e presentare agli elettori in un modo più accettabile vecchie idee già sperimentate che in circostanze migliori sarebbero state respinte.
Prima donna a Downing Street, la Thatcher non assegnò a nessun’altra donna compiti di rilievo nel suo staff o nel governo. Si faceva consigliare solo dagli uomini e da quattro in particolare. Oltre a Reece, il parlamentare Cecil Parkinson, lo scrittore Ronald Miller, che le preparava i discorsi, e il pubblicitario Tim Bell, una persona così affascinante che, si diceva, persino i cani attraversavano la strada per farsi accarezzare da lui. Furono loro a creare l’immagine della casalinga superstar, che preparava la colazione al marito ogni mattina prima di andare ai Comuni e tornava a casa la sera in tempo per il tè. Le fecero incontrare Rupert Murdoch, che mise il più popolare dei suoi giornali, il «Sun», al servizio di questa immagine e ottenne in cambio l’appoggio nella lotta che annientò il sindacato dei poligrafici e cambiò per sempre l’editoria.
Le circostanze che avevano bisogno del Thatcherismo erano davvero gravi e la ricetta fu all’altezza della situazione. I sindacati erano diventati incontenibili ed elitari: nei cantieri navali si scioperava perché i rappresentati dei fabbri e quelli dei falegnami non si mettevano d’accordo su chi dovesse avvitare le viti che univano il ferro al legno. Lo Stato spendeva troppo e gestiva decine di aziende gravate da inefficienze, debiti e dirigenti incapaci. Lo stato sociale, che pretendeva di accompagnare i cittadini dalla culla alla tomba, non era più compatibile con i bilanci. Incurante delle proteste, delle minacce e degli scioperi e favorita dall’assenza di una vera opposizione, la Thatcher annientò i sindacati, disgregò lo stato sociale e privatizzò tutto quello che poteva, guardata con invidia dai suoi colleghi europei che avevano gli stessi problemi, ma in circostanze diverse. Grazie a lei, la Gran Bretagna tornò a essere un grande Paese, con molte diseguaglianze sociali in più ma con una City che di nuovo attirava capitali, ampiamente dispiegati nei quartieri di Belgravia, South Kensington e Mayfair.
Priva di scrupoli, vendeva armi all’Iraq di Saddam, a Hussein di Giordania, al regime di Suharto in Indonesia e a quello di Pinochet in Cile, spesso con la ricca intermediazione del figlio Mark, che interpretava a suo modo il libero mercato e finì in guai molto seri.
Quando venne il momento di fare la guerra, non si tirò indietro. La «Lady di Ferro» inviò nel 1982 le cannoniere a riconquistare le isole Falkland, un relitto dell’imperoche l’Argentina si era ripreso con un blitz militare. Ne fece una crociata morale, in difesa della civiltà contro la barbarie dei colonnelli argentini, ma in realtà quella facile vittoria le servì per essere rieletta nel secondo dei tre mandati.
Rassegnò le dimissioni nel 1990, sconfessata dal suo partito sulla nascita dell’Unione Europea, che lei osteggiava apertamente. In quegli undici anni a Downing Street e grazie all’alleanza con un altro alfiere del liberismo, il presidente americano Ronald Reagan, ha cambiato il mondo. Insieme, si vantavano di avere anche fatto cadere l’impero del male, l’Unione Sovietica, che in realtà collassò da solo. È una beffa del destino che l’impero del male sia ora considerato il liberismo senza freni del sistema economico globale, che ha portato alla crisi attuale e che è il figlio, un po’ degenerato, di Margaret Thatcher.
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