John Lloyd , la Repubblica 9/4/2013, 9 aprile 2013
L’INFLUENZA SU BLAIR
Margaret Thatcher diventò primo ministro nel 1979, quando il Regno Unito era per così dire sospeso tra il tentativo fallito da parte del precedente governo laburista di dar vita a una politica socialdemocratica stabile e un nuovo approccio alla governance economica.
Un nuovo approccio detto monetarismo o (in seguito) neoliberalismo, che la Thatcher fece proprio. Il partito laburista non era riuscito nei due governi tra il 1974 e il 1979 a raggiungere una solida intesa con i sindacati dei lavoratori sulla riduzione dei salari e su una maggiore produttività. Sapeva, come sapeva chiunque nella vita pubblica, che la Gran Bretagna era considerata “il malato d’Europa”; che gli scioperi stavano nuocendo alle sue esportazioni; che la sua produttività era tra le più basse d’Europa e che il suo prestigio si stava affievolendo.
Verso la fine dell’ultimo governo laburista, il primo ministro James Callaghan aveva cercato di adottare un criterio più radicale, comunicando al suo partito che la politica keynesiana non poteva più funzionare: «Non si può cercare di uscire da una recessione continuando a spendere! » . Non ebbe però l’occasione di dimostrarlo: dopo gli scioperi dell’inverno 1978/’79, i laburisti persero di stretto margine le elezioni. Ad andare al governo fu Margaret Thatcher.
La Thatcher era una monetarista convinta, non per necessità. Ciò si confaceva alla sua etica, come pure alla sua visione politica ed economica del mondo: come spiegò lei stessa, i governi, tanto quanto le famiglie, non dovevano spendere più di quello che guadagnavano. Fu derisa per questo, come per molte altre cose. Ma a tante persone di basso reddito la sua teoria apparve sensata. Così si conquistò, e seppe mantenere, il favore di una parte significativa della classe operaia che di norma votava a favore dei laburisti.
Ritenne i sindacati responsabili di buona parte della decadenza britannica, in quanto le loro richieste di aumenti del salario e la loro bassa produttività favorivano l’inflazione. Un governo laburista – ne era convinta – si limitava a compiacerli, perché aveva bisogno dei loro voti e dei loro soldi. Non fu la prima primo ministro conservatore a cercare di far breccia nel potere dei sindacati: agli inizi degli anni Settanta si era già cimentato Edward Heath, ma fu sconfitto dallo sciopero dei minatori e perse le elezioni del 1974.
Margaret Thatcher fu più fortunata: gli scioperi del 1978/’79 avevano fatto perdere ai laburisti un notevole supporto popolare. Si ebbe chiaramente
la percezione che la Gran Bretagna era in decadenza. I laburisti, dopo la sconfitta, se la presero con sé stessi e causarono una guerra civile tra destra e sinistra. Lei iniziò a tagliare la spesa pubblica, a imbrigliare i sindacati con nuove leggi e a ridurre le spese. La disoccupazione si impennò. Il suo indice di popolarità precipitò. Poi, nell’aprile 1982, la giunta militare che governava l’Argentina decise di invadere le isole Falkland (Isole Malvinas per gli argentini), abitate da circa tremila cittadini britannici.
La Thatcher, appoggiata da tutti i partiti del Parlamento, inviò un contingente navale e di paracadutisti che riconquistò le isole in un tempo relativamente breve, anche se ci fu un migliaio di perdite, per lo più di argentini. Fu una brutta e sanguinosa faccenda; ma dal punto di vista politico fu una vera e propria manna. L’indice di popolarità della Thatcher balzò alle stelle. Non fu più in guai seri almeno per dieci anni, quando alla fine fu il suo stesso partito a rivoltarsi contro di lei. Le nuove forze così trovate le consentirono di combattere la componente più agguerrita del movimento laburista, il Sindacato nazionale dei minatori, forte a quei tempi di 200mila affiliati. Uno sciopero guidato dal marxista Arthur Scargill arrivò a protrarsi per un anno intero, fino a quando in conclusione la maggior parte dei minatori tornò al lavoro e il sindacato abbandonò le sue richieste. Per i laburisti britannici organizzati quella fu l’ultima grande battaglia: da lì in poi i sindacati, pur contando sempre su parecchi milioni di soci, non furono mai più una forza in grado di costituire un rischio per il governo.
Un’influenza ancora maggiore l’ebbe sul partito laburista. Per buona parte degli anni Ottanta il suo leader era stato Neil Kinnock, di sinistra, che poco alla volta divenne un moderato e smorzò anche le posizioni del partito. A subentrare alla carica di presidente del partito fu John Smith, un socialdemocratico che morì ancora in carica. Tony Blair fu chiamato a sostituire Smith e fu lui a portare il partito al centro dello spettro politico, adottando nella sua costituzione una clausola in virtù della quale si impegnava nei confronti del libero mercato, del pareggio di bilancio e a garantire un appoggio duraturo alle leggi sul lavoro di Thatcher. Il “Nuovo Labour”, ideato da Blair, fu ispirato
da Thatcher.
(Traduzione di Anna Bissanti)