Giordano Tedoldi, Libero 7/4/2013, 7 aprile 2013
UNA SETTIMANA DA SENZATETTO REPORTER INGLESE MUORE DI FREDDO
La tragica storia di Lee Halpin più che quella di un giornalista morto sul fronte della notizia ricorda quella di Christopher Mc- Candless, il giovane benestante di cui racconta il film «Into the Wild» che abbandona la famiglia borghese per finire in Alaska, nel contatto più solitario e brutale con la natura, finendo per morire di fame e congelato.
La stessa fine di Halpin, 26 anni, il cui corpo è stato trovato in un ostello abbandonato a Westgate Road, Newcastle. Halpin aveva deciso di vivere una settimana come un barbone nel west end di Newcastle e sottoporre il reportage dell’esperienza all’emittente britannica Channel Four. Aveva girato un video in cui, con toni esaltati, esponeva il suo progetto, annunciava di aver parlato con i responsabili dell’associazione benefica Crisis e di voler vivere esattamente come gli altri senzatetto, «raccattando il cibo», e «tentando di interagire con loro il più possibile e di immergermi profondamente nel loro modo di vivere». Tutto questo per farsi notare dai responsabili dei programmi di giornalismo investigativo di Channel Four, programmi in cui viene esplicitamente esaltato il «coraggio», la «mancanza di paura», tutte espressioni che ricorrono nel video di Halpin, che definisce il suo stile giornalistico «intrepido».
Nel toccante finale del video, Halpin, cercando ancora di suscitare l’interesse di coloro che avrebbero dovuto prenderlo nella sua squadra di reporter, racconta di come l’esperimento di vivere da homeless per una settimana angosci la sua famiglia e gli amici. Ma, con un sorriso, aggiunge di sperare solo che il suo impegno venga riconosciuto.
Le ultime notizie di Halpin risalgono a domenica, quando si è rivolto a degli amici per chiedere un sacco a pelo. In connessione con la sua morte, la polizia ha arrestato due uomini, poi rilasciati su cauzione, sospettati di avergli venduto sostanze stupefacenti, ma considerate le temperature notturne abbondantemente sottozero a Newcastle (quest’anno inverno e primavera sono stati eccezionalmente freddi sull’isola), la causa quasi certa del decesso di Halpin è l’ipotermia. Crisis, l’associazione di beneficenza con cui era entrato in contatto Halpin, ha annunciato che nello scorso anno in Gran Bretagna circa 2.300 persone hanno dormito all’addiaccio in media ogni notte, anche se considerata la difficoltà di individuarli, sono probabilmente molti di più. Un fenomeno in preoccupante crescita che era sembrato adatto al giovane e volitivo Halpin per mostrare che davvero, come chiedeva appunto il programma investigativo di Channel Fuor (definito dalla stessa stampa inglese «molto competitivo») lui era un uomo «fearless», senza paura.
Il suo amico Daniel Lake ha dichiarato a un giornale di Newcastle: «Ha compiuto l’estremo sacrificio tentando di risvegliare le coscienze su ciò che accade alle altre persone».
Di poche parole, e quasi una prudente presa di distanze per non essere implicati in alcuna responsabilità, il commento di un portavoce di Channel Four: «Siamo rattristati di apprendere della tragica morte di questo giovane aspirante giornalista. I nostri pensieri sono con la famiglia». Quasi un fastidio per loro parlare del «giovane aspirante giornalista» che è morto per inseguire il giornalismo investigativo «competitivo», per adeguarsi alla richiesta di essere senza paura, di mostrare coraggio e metterlo sul piatto della bilancia e dell’ascolto televisivo, per fare merce di sé, della propria temerarietà, della propria ambizione smodata.
Il rovescio della vicenda del vagabondo McCandless, che voleva uscire dalla società dell’informazione e del capitale per entrare nella natura, mentre Halpin voleva entrare nella natura, nella vita degli emarginati, per guadagnare il proscenio del mercato dell’informazione. Questa vicenda racconta moltissimo di cosa siano diventate le virtù nel mondo della comunicazione: specchietti per le allodole, marketing, margini nel gioco della concorrenza.
La virtù, che un tempo era un valore per sé, ora è solo una qualità che rende un prodotto, o un giornalista, più competitivo. Se poi si riesce a crepare, come è accaduto al povero Halpin, il reportage è un vero successo.