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 2013  aprile 09 Martedì calendario

BIBBIA E ARCHEOLOGIA, QUANTI SVARIONI

D iscipline archeologiche e storico-bibliche sono le­gate da rapporti sempre più stretti e oggi le scoperte ar­cheologiche possono confermare o confutare ricostruzioni o inter­pretazioni giudicate inattaccabili. Fortunatamente, gli strumenti di analisi rendono sempre più diffi­cile esibire scoperte dubbie che hanno il solo fine di azzardare novità ’controverse’. Eppure, c’è sempre qualcuno che prova a for­zare o falsificare perché interes­sato più alla risonanza data dai media che alla verità. Così, negli ultimi anni, si sono succeduti an­nunci sonoramente pubblicizzati rivelatisi errori o manipolazioni o truffe. Di questi spesso lucrosi ’errori volontari’ si occupa Le­slaw Daniel Chrupcala in un pamphlet snello: L’archeologo di­sinvolto. Mondo biblico e sensa­zionalismo mediatico (Edb,pagi­ne 56, euro 5,50). Qui Chrupcala ­teologo con competenze archeo­logiche - denuncia recenti esem­pi «tra quelli più amplificati dai mass media mondiali», che han­no infuocato l’immaginario per seminare «scompiglio o dubbio nella mente dei semplici». Come quando, nel 2002, fu proclamato il ritrovamento d’un reliquiario di pietra che avrebbe provato con la sua iscrizione («Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù») che Giacomo il Giusto era fratello carnale di Gesù. Dopo tanto cla­more gli archeologi, uno dopo l’altro, l’hanno giudicato un sicu­ro falso e il verdetto è ora confer­mato anche dalla Israel Antiqui­ties Authority. O come quando, nel 2005, l’archeologo Aviram O­shri annunciò che l’identificazio­ne tradizionale della città di Be­tlemme in Giudea (Mt 2,1.5.8; Lc 2,1.6) andava corretta con la Be­tlemme di Galilea (Gs 19,15; Gdc 12,8). Poco valutando la tradizio­ne cristiana che ininterrottamen­te, con la testimonianza di chiese e santuari, ha identificato la Be­tlemme di Giudea con quella del­le Scritture, Oshri ha obiettato che Maria, incinta, non avrebbe potuto percorrere i 140 km che dovevano portarla in Giudea e, peggio, che gli evangelisti avreb­bero intenzionalmente cambiato il luogo di nascita di Gesù per in­serirlo nella stirpe di Davide, ipo­tesi che peraltro deriva da Joseph Klausner e Bruce Chilton. Agli ar­gomenti di Oshri è stato facile opporre una serie di fatti difficil­mente confutabili. Fra gli altri questo: se i racconti evangelici sulla nascita di Gesù a Betlemme di Giuda dovevano servire per fa­vorire la conversione degli ebrei, è strano che gli antichi apologeti ebrei non abbiano mai cercato di confutarne l’autenticità e che la posteriore teologia rabbinica se ne sia disinteressata del tutto.

Ancora, grande il clamore susci­tato dall’archeologo israeliano Ehud Netzer che nel 2007 annun­ciò il ritrovamento del sarcofago di Erode ad Herodium. Tuttavia, tra le centinaia di pezzi di quello che potrebbe essere un sarcofago non vi è traccia di tessuto organi­co. Un errore di valutazione cui Netzer sta ancora lavorando. Più sospette sono certe scoperte ri­lanciate sempre in coincidenza con il Natale e la Pasqua, le «date preferite da certa stampa per da­re notizie sensazionali che mette­rebbero in dubbio fatti e verità fondamentali del cristianesimo».

Restando nell’ambito dell’ar­cheologia, Chrupcala ricorda co­me il giorno di Pasqua del 1996 il documentario The Body in Que­stion (Bbc) rivelava la vicenda della tomba di Talpiot scoperta nel 1980 a Gerusalemme. In essa erano state rinvenute 10 urne contenenti ossa di 35 individui di forse tre diverse generazioni. Sei ossari riportano i nomi Yeshuah bar Yehosef (Gesù figlio di Giu­seppe), Maryah (Maria), Yoseh (Giuseppe), Mattiyah (Matteo), Mariamne (Miriam) e Yehudah bar Yeshuah (Giuda figlio di Ge­sù). Questi nomi erano così co­muni nella Terrasanta antica che a nessun archeologo è venuto in mente di collegare quelle ossa al Messia. Undici anni più tardi, il documentario The Lost Tomb of Jesus (Discovery, 2007), diretto da James Cameron, rievocava la sco­perta, in stile thriller, collegando i nomi a Gesù e alla sua famiglia.

L’attribuzione è stata rifiutata da ogni serio studioso per ragioni di tipo epigrafico, archeologico, sto­rico, biblico, linguistico e geneti­co. Vi s’aggrappano oggi gli adep­ti della fanta-archeologia. Però, quando archeologi, soprattutto cattolici, hanno chiesto di riesa­minare le ossa, sulle quali erano state fatte sommarie ricognizio­ni, hanno scoperto che queste e­rano state… ’smarrite’. «Questa mancanza di professionalità è davvero sorprendente, tenuto conto del valore ’unico’ del ri­trovamento di Talpiot», commen­ta ironicamente Chrupcala. Me­no clamore, perché si è subito sgonfiato, ha provocato il caso del sudario di Akeldama del Na­tale del 2009, che poteva, nell’in­tenzione degli scopritori ’scalza­re la Sindone’. Ma le differenze fra questo reperto e la misteriosa impenetrabilità del telo sindoni­co erano tali e tante che s’è prefe­rito porre un pietoso velo, è il ca­so di dire, sulla questione. Que­st’anno non è ancora stata an­nunciata la rivelazione clamoro­sa ma possiamo star certi che qualcuno sta preparando il nuo­vo scoop, magari per Natale: gli ’archeologi disinvolti’ stanno già lavorando per noi. E soprattutto per se stessi.