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 2013  aprile 06 Sabato calendario

HARVEY IL TERRIBILE

Indossa l’armatura, scalda i muscoli, informa la famiglia e poi entra, senza armi in pugno, a parlare col grande, crudele, temutissimo magnate: guance enormi, velo di barba da jet lag, jeans ampi sotto la cintola. Ma il famosissimo produttore hollywoodiano ti spiazza subito, raccontando che la sua fama di cattivo è di lunga data («Vent’anni fa ero già nella lista dei 10 peggiori capi») e che la cosa non lo rallegra affatto. «Gli altri nove erano molto orgogliosi di avere quella fama, io no di certo. Mi vergognavo, odio tutto questo. A volte m’infurio ancora, ma aver avuto quattro figlie credo mi abbia guarito». Paternità a parte, Harvey Weinstein, il re del cinema d’autore a vasto budget (l’anno scorso 5 Oscar per The Artists, quest’anno Il lato positivo e Django in pole position) pensa che aver rinunciato anni fa allo zucchero abbia ridotto i suoi picchi di adrenalina sotto la soglia d’allarme. Compensa comunque le sue scariche con nuovi progetti di primo piano per il cinema: Kill Bill III, sempre col duo Tarantino-Thurman, Halloween III scritto da John Carpenter e un nuovo Sin City di Robert Rodriguez con Mickey Rourke, Jessica Alba e Rosario Dawson. Ma soprattutto dandosi al teatro. Il primo passo è stato mettere in scena a Londra, al The CurveLeicester, Neverland, ispirato al film del 2004 con Johnny Depp e Kate Winslet sulle orme di Peter Pan. Lo show, che forse sarà ripreso a fine 2013, è il primo di una serie di progetti “dal film al musical”: Nuovo Cinema Paradiso e Chocolat i primi titoli.
«Il cinema è stata una delle mie più grandi esperienze. Ma fare un musical, di successo o no, è un’avventura altrettanto bella, esilarante, impegnativa. La migliore. Non dimenticatevi che ho prodotto un film molto “teatrale” come The Producers. Anche se non rido spesso...». Neverland ha avuto una gestazione di tre anni, col direttore e coreografo Rob Ashford al timone: è stato il debutto inglese del compositore Scott Frankel e del paroliere Michael Korie.
Weinstein, spesso occupato a catturare voti per l’Oscar (lui svogliatamente nega: «Sembrerà scontato, ma l’oscar lo vinci se produci un buon film»), si è rivelato un sentimentale.
Il cambiamento è maturato un po’ di tempo fa. Nel 1993 la Miramax, società fondata da Weinstein con Bob, il fratello più tranquillo, soffriva nella morsa della Disney. Dopo aver prodotto Pulp Fiction, Il paziente inglese, Shakespeare in Love e Chicago, Harvey e il produttore esecutivo della Disney, Michael Eisner, si sono stancati dei veti sui diritti imposto dalla Major. La diatriba è iniziata col film anti - Bush di Michael Moore Fahrenheit 9/11, ma ci fu anche dell’altro. I fratelli Weinstein se ne andarono, senza però riuscire a portare con loro il nome della società, derivato dall’unione dei nomi dei genitori Miriam e Max.
Così la Weinstein Company fu fondata nel 2005. Lui ammette di aver distolto un po’ lo sguardo, all’inizio, spostando la sua attenzione sulla tv digitale, internet, persino sulla moda. «I primi 4 anni sono stati terribili. Lottavo contro i miei “fantasmi Disney”, volevo fare altre cose, non certo film, quindi delegavo tutto. Sono riuscito a seguire sette-otto belle cose, abbandonandole in tempi record».
Le qualità di un buon produttore? «Produrre significa avere a che fare con persone che vengono da te a chiederti di risolvere dei problemi. E, nelle difficoltà, io ho fiducia in me stesso. Mio padre ci ha insegnato tutto questo. È come la matematica: le risposte sono relativamente semplici».
Per spiegarlo racconta un buffo aneddoto avvenuto durante la produzione di Malena di Giuseppe Tornatore. Il regista gli aveva chiesto di stare lontano dal set di Siracusa, la prima settimana, mentre lui sistemava le cose con i siciliani. Risultato: la mafia ridusse in cenere il set. E Weinstein dovette volare di corsa in Sicilia per accordarsi con la polizia.
È un genio nel mettere gli altri in condizione di fare le cose. E non è una coincidenza, dice, che si sia occupato di film che hanno a che fare coi processi creativi.
Come Neverland, Shakespeare in Love e il recente Marilyn. Vive in compagnia di attori e registi, e i suoi racconti sono pieni di appunti sulla sua familiarità con Scorsese, Clooney, Tarantino, Depp. «Spesso la gente dice, a sproposito, che sono amico di tanti, a Hollywood. Ma delle persone con cui lavori, difficilmente diventi amico. Comunque io mi trovo meglio con gli attori che coi registi, sono incredibilmente creativi, si preparano di più. Quando giravamo Marylin con Michelle Williams, era la mia miglior risorsa: aveva letto tutto».
Un anno voleva andare in vacanza in un posto dove i cellulari non prendevano. «Così Bob De Niro mi regalò un satellitare, un telefono da 25mila dollari. Il senso del dono era:“Ne avrai bisogno”. “Non lo userò”, gli dissi. Ero in mezzo della savana e c’è stato un problema. . . ». Ma non tutte le crisi si possono risolvere, persino da uno che dice «non rinuncerei mai a un film». «In Gangs of New York di Scorsese eravamo al 13° ciak di una tormentata ripresa. Eravamo esausti. Quando finalmente abbiamo trovato la forza per farcela, nonostante pensassimo di essere finiti, è stato come assistere alla risurrezione di Lazzaro».
Perché alcuni film funzionano e altri no? Il Discorso del Re è stato un successo mondiale. Ma quando due suoi personaggi minori sono stati affidati alla regia di Madonna, in una storia parallela, il pubblico non ne ha voluto sapere. . . «Non l’ho fatto io W. E. , Madonna ha girato il film. E le sono grato. Il suo racconto della storia di Wallis Simpson è uno dei migliori lavori fatti di recente. Purtroppo sono arrivato tardi, pensavo di poterla aiutare e non ci sono riuscito. L’ho delusa. Spero che presto ci siederemo insieme per pensare a una versione teatrale di W. E. ».
Se gli chiedete di descrivere un suo progetto tipo, risponde: «Quando faccio qualcosa di diverso dal solito, magari sentimentale, rasserenante, cinque minuti dopo mi dico: “Che diavolo stai combinando?”. Non riesco a seguire con costanza una dieta di ispirazione. Così vedo un gran film noir e mi dico: “Ok, torna al genere tagliente”».