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 2013  aprile 06 Sabato calendario

RICCHI PER 15 MINUTI

Fondamentalmente, ci sono due modi per reagire alla propria ricchezza: fare come Ted Turner, e cioè non prenderla sul serio; o fare come il principe saudita Alwaleed bin Talal, e cioè prenderla tanto sul serio da far la guerra a Forbes per averla sottovalutata. Si dice infatti che il magnate della Cnn, quando apprese di essere entrato nella classifica dei 400 uomini più facoltosi d’America, commentò: «Oh be’, avrei potuto fare di meglio».E si legge sul Financial Times che il principe saudita si è arrabbiato con i compilatori per non aver superato la 26esima posizione al mondo. In entrambi i casi l’“ego della bilancia” l’ha fatto la più celebre delle liste di megamiliardari, storica cartina tornasole nel pedigree di ogni tycoon. Anche questa piccola parabola del cammello ha una morale, e cioè che, se è vero che ci sono sempre stati due modi per reagire alla propria ricchezza, oggi ce ne sono infiniti per calcolarla.
New economy, oligarchie dell’ultimo minuto, eredità, social net-worth, petrolio ed energie verdi, ipermercati e nuovi media: con il moltiplicarsi delle fonti di arricchimento e la nuova mobilità sociale, dare dei numeri precisi è sempre più difficile. Finiti i tempi in cui l’élite si divi- deva tra quelli ricchi con patrimonio e arricchiti con reddito, tra proprietari terrieri e nouveaux riches, il panorama attuale è così frastagliato che una bibbia sola che censisca i Paperoni del pianeta non basta. E infatti chi ritenga che la propria fortuna sia stata fraintesa o vittima di pregiudizi può trovare rifugio altrove, come ha fatto il principe saudita: in un altro indice,meno rigido e impettito di uno vecchio di 30 anni (quando Forbes nel 1982 pubblicò per la prima volta la lista dei 400 Usa, i miliardari con un reddito sopra i 75 milioni di dollari erano solo 13 e rappresentavano il 2,8% del Pil; venti anni dopo, sono così tanti da valere il 22,3%).Ovvero nella classifica mobile e 2.0 lanciata un anno fa da Bloomberg e appena rilanciata on line, con grafica interattiva a mo’ di videogame e faccine da cliccare (www.bloomberg.com/billionaires).
«Il nostro indice tiene conto di misure dinamiche della ricchezza, sugli andamenti dei mercati, sull’economia generale e sulle proiezioni dei nostri analisti», ci spiega Robert LaFranco, editor del team Bloomberg Billionaires per Europa e Mediterraneo. «Ogni dato è aggiornato quotidianamente, tutti i giorni lavorativi, alle 5,30 di sera, ora di New York. Il criterio incrocia le quotazioni e i profitto di una compagnia in molti modi, dal suo margine operativo lordo al rapporto prezzi/utili o altri indici di redditività. Così come il patrimonio netto del suo azionista principale si ricava anche dal calcolo dei dividendi, degli shares, e anche delle tasse imponibili».
E se un ricco, non pagandole, occulta parte della sua fortuna? «Non facciamo congetture su debiti personali», taglia corto LaFranco. La classifica Bloomberg, però ha introdotto anche un criterio “etico”: ogni super-ricco riceve da 1 a 5 stelle, come gli alberghi sulle guide.Più un patrimonio è trasparente, più stelle riceve - i più cristallini insomma sono come Relais & Chateaux, e più spesso orientali (tra i primi 15 ricconi, l’unico ad avere 5 stelle è anche l’unico del mondo non occidentale: Li Ka-Shing, l’uomo più ricco d’Asia).
Meno complicata forse, ma anche meno divertente da navigare, è la lista di Forbes, che tuttavia mantiene il fascino dell’autorevolezza e un’illusoria allure di apertura democratica, grazie a un maggior numero di portafogli rispetto ai 100 di Bloomberg. Censiti da quaranta reporter sguinzagliati in trenta paesi, quest’anno nella 27esima edizione ne sono entrati 1.426, pari a un valore totale di 5,4 trilioni di dollari (per farvi un’idea della cifra, infilate undici zeri dopo il 5,4). «Ancora una volta sono gli Stati Uniti il paese più rappresentativo, con 442 miliardari sul loro territorio», spiega Luisa Kroll, una delle giornaliste di Forbes che se ne occupa. «Seguono Asia (386), Europa (366), Americhe (129) infine Medio Oriente e Africa (103)».Ma è anche vero che «nonostante la crisi, ci sono state più new entry rispetto all’anno scorso»: l’Angola e Renzo Rosso, ad esempio.
Altre novità? «Le miliardarie che si sono fatte da sé, 138 contro le 104 dell’anno scorso».Vanno ad aggiungersi al- le storiche quote rosa (il forziere Liliane Bettencourt dell’impero L’Oréal, numero 9, o Christy e Alice Walton di Wal-Mart, numero 11 e 16) la stilista d’affari Tory Burch, la ristoratrice Peggy Cherng della catena Panda Express e la co-fondatrice di Zara, la spagnola Rosalia Mera.Come dimostra la socia di Amancio Ortega, o anche l’impero low-cost H&M dello svedese Stefan Persson, anche se nel paese dello Zio Sam c’è un’alta concentrazione quantitativa di ricchezza, la qualità sta comunque nuotando verso Est e, attraverso l’Atlantico, scalando vette europee - come le torri del nuovo quartiere londinese di One Hyde Park (per ambizione, l’equivalente del Terzo Millennio della Valle dei Re egiziana).Lo dimostra il mercato del lusso, che nel 2012 si è attestato a 212 miliardi di euro (dai 123 del 2003) nel settore “personal luxury”, cioè i beni di lusso per la persona: nella fotografia scattata dal Worlwide Market Monitor di Bain & Company per Altagamma, i contorni del nuovo super-ricco sono ben definiti, al di là delle faccine che popolano i grafici interattivi.
«È l’Asia il continente in cui si prevede una maggior crescita del marcato: 17% contro il 4,5% dell’Europa», dice Edorardo Carloni, responsabile comunicazione di Altagamma. «E se a livello di cifre il mercato cinese non è il più lucrativo, secondo le previsioni i consumatori del lusso avranno sempre più passaporti cinesi, con una crescita del 25%, contro il 20% degli statunitensi». Il motivo è semplice: «È l’onda lunga della globalizzazione, per cui la ricchezza è sempre più veicolata dagli spostamenti, dai viaggi. E quelli che viaggiano di più oggi sono i cinesi», chiaramente metropolitani. Liste ingannatorie.
Un’altra area non geografica che ci si immagina emergente, ma che nelle classifiche non lo è affatto, è quella tecnologica. Con tutto il polverone alzato da film,media e social media, i super-ricchi hi-tech si contano sulla punta delle dita: Sergey Brin e Larry Page di Google (20 e 21esimo posto) e Mark Zuckerberg (66esimo), segno che i geek di strada ne devono ancora fare.O che forse stare come un santino in una classifica non è poi tanto status symbol quanto il creare un impero da un sito per rimorchiare universitarie. «Una lista è sempre un gioco interessante, anche se inaccurata», dice Micheal Gross, firma del New York Times, esperto di lusso e autore tra gli altri del bestseller 740 Park (sottinteso Avenue: l’indirizzo di Manhattan con la più alta concentrazione di bilionari al mondo, ndr). «Perché inaccurate lo sono sempre: i più furbi possono celare enormi fortune ai loro governi, figuriamoci a un manipolo di giornalisti».Però è vero quanto scrive il Financial Times, che ora il club è meno esclusivo, e l’accesso ai vertici più facile? «In realtà non è cambiato granché. Dopo tutto sono sempre soldi, non ci sono segreti. Semmai il segreto è come si sono fatti».