Elisabetta Muritti, D Repubblica 6/4/2013, 6 aprile 2013
CHI HA PAURA DEL COLESTEROLO?
Il colesterolo? Una truffa che dura da mezzo secolo. Il legame tra ipercolesterolemia e infarto? Una semplificazione. Le statine, farmaci inibitori dell’Hmg-CoA reduttasi (la sostanza che produce colesterolo nel fegato)? Un business vergognoso, un mercato mondiale che alimenta un giro d’affari annuo di 25 milioni di dollari (fatturato 2011) e illude (o magari predispone a degenerazioni muscolari, calo del desiderio, amnesia, diabete) ben 220 milioni di persone. Nonché uno dei consumi superstisti nell’Italia in crisi dei primi 9 mesi del 2012, con 9,5 euro spesi pro capite. E la crociata contro uova, burro, formaggi? Un calvario del gusto non solo inutile ma persino dannoso.
A lanciare questi sassi nello stagno ci pensa oggi un bel signore francese di 81 anni, folti capelli bianchi da “philosophe”, biologo e pneumologo di fama internazionale: Philippe Even, professore emerito dell’Université Paris Descartes, presidente dell’Institut Necker di Parigi, notoria linguaccia della saggistica medica, autore di pagine al vetriolo sulle molte medicine sbagliate e/o assassine prescritte nel mondo e alla bufala “politically correct” dei danni procurati dal fumo passivo. So french!, direbbero gli americani. Bene, l’ultimo libro del professor Even, dedicato appunto allo spauracchio della salute contemporanea (La Vérité sur le cholestérol, scritto insieme a un altro “pierino” francese, l’urologo ed ex ministro Bernard Debré, Editions du Cherche-Midi) è appena uscito Oltralpe scatenando un putiferio.
Le offese bruciano. Sono accusati di ignoranza sia i dottori, sia i pazienti. Per non parlare dei ricercatori scientifici, squali peggio dei broker di Wall Street, manipolati e prezzolati dalle case farmaceutiche, spesso svelti a firmare studi scritti da ghost writer e fatti uscire solo quando Big Pharma dà il suo grazioso permesso. Nella migliore delle ipotesi, e cioé che gli studi siano invece corretti, è perverso l’uso che ne viene poi fatto. «Il colesterolo? La nostra molecola più preziosa, generosa, indispensabile, senza di essa l’evoluzione si sarebbe bloccata, le nostre cellule non potrebbero difendersi dall’ossidazione, i nostri trasmettitori ormonali sarebbero muti», declama Even a Le Nouvel Observateur, con toni lirici. «Il colesterolo trasporta i grassi ma non è un grasso, è all’origine del cortisone, degli ormoni sessuali, della vitamina D e contribuisce a regolare la crescita cellulare e ossea e l’infiammazione».
Fin qui tutto accettabile. Ma la bagarre comincia quando l’anziano professore spara sullo steccato tra colesterolo “buono” e “cattivo”, alla base dei nostri check up annuali («Una farsa architettata dalle multinazionali farmaceutiche»): la piccola diminuzione di mortalità cardivascolare registrata nel nuovo millennio, sostiene, non è dovuta all’abbassamento del colesterolo ma alla cura dell’ipertensione, alla diminuzione delle sigarette e, soprattutto, ai progressi delle terapie d’urgenza («le arterie si otturano per colpa di un coagulo di sangue, che non piove dal cielo, ma si forma su una placca aterosclerotica fessurata, là dove il sangue è più turbolento: è una malattia che comincia sui 12 anni, il colesterolo è innocente, è solo un marker...»).
In Francia si scatenano Le Figaro e Le Monde, impazziscono i blog, ma il professore non fa una piega. Si sente difeso. Il danese Uffe Ravnskov, altro brillante divulgatore, è a capo dei 98 membri del Thincs (The International Network of Cholesterol Skeptics) e tuona contro il più grande errore di diagnostica della storia della medicina. Michel de Lorgeril, cardiologo e nutrizionista del prestigioso Centre national de la recherche scientifique di Grenoble, accusa le indiscriminate prescrizioni di statine, attirandosi le simpatie degli americani, già scottati dagli scandali (uno per tutti: l’inutilità e la pericolosità del farmaco Vytorin).
Il professor Cesare Fiorentini, 68 anni, è ordinario di cardiologia all’Università Statale di Milano e direttore del dipartimento di cardiologia del Centro cardiologico Monzino di Milano. Non si scompone, ma mette i puntini sulle I, incarnando la posizione “ufficiale” italiana, niente truffa storica, niente nemico immaginario della salute, ma anche niente statine considerate farmaci da banco, come in Inghilterra («Un paese dove hanno cinicamente capito che le procedure anti-infarto costano di più delle pasticche», dice). «Il pamphlet di Even è brillante. Ma è pericoloso. Il problema non è la riabilitazione del colesterolo, ma la possibilità che molte persone, dopo averlo letto, scaraventino le medicine giù dalla finestra. Un po’ facile fare del complottismo, perché le dimostrazioni sui fattori di rischio di cui il colesterolo è parte, sì, parte, non causa esclusiva, sono vagliate. Stiamo parlando di un’emergenza consolidata». Però, se vogliamo restare nel campo della sfida intellettuale e scientifica, quel che gli dispiace di più è che, in fondo, Philippe Even non pecchi di originalità. «In Italia ci sono già state riflessioni, del professor Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di Ricerche farmacologiche Silvio Negri, e soprattutto di Marco Bobbio, il figlio del filosofo Norberto, primario di cardiologia dell’Ospedale Santa Croce e Carle, a Cuneo. I suoi richiami erano equilibrati».
Già, Marco Bobbio, di cui Einaudi ha pubblicato il saggio Il malato immaginario. I rischi di una medicina senza limiti, già una ventina d’anni fa si cimentò con un libro che invocava una rivoluzionaria “mancanza di regole”, intitolato Leggenda e realtà del colesterolo. Le labili certezze della medicina. In quell’occasione, un preveggente studio inglese cominciò a delineare un paziente-tipo emergente, dai comportamenti sociali ambiti dal marketing: ovvero, colui che tiene a bada i livelli del suo colesterolo, tra l’invidia o la riprovazione dei conoscenti. Una moda. E un imperioso “io biochimico” che domina la morale corrente, stigmatizzando, manco fosse la misurazione del quoziente d’intelligenza, i valori “sporchi” del proprio sangue.
Ma se da anni a certa classe medica italiana non erano sfuggiti i limiti dell’equazione colesterolo-infarto e i costi siderali (sia in termini finanziari che di rischi per la salute) di un abbassamento indiscriminato dell’ipercolesterolemia, nonché i danni che un colesterolo troppo basso procura alla salute psichica e femminile, perché mai Even avrebbe stuzzicato un vespaio? Cesare Fiorentini ha la risposta pronta: «Trovo stupefacente che un biochimico azzeri la distinzione tra colesterolo buono e colesterolo cattivo. Certo, Even spiega che l’80-90% del colesterolo è fabbricato dal fegato e il cibo ne apporterebbe in quantità irrilevanti; che il “cattivo” è semplicemente quello trasportato dalle Ldl, le Low-density Lipoproteins, adibite a distribuirlo alle cellule, e il “buono” è quello, pronto per esser eliminato, che ritorna al fegato grazie alle Hdl, le High-density Lipoproteins. Ma, detto questo, non possiamo non spiegare altrettanto chiaramente che chi ha il colesterolo cattivo alto può non avere, al di sotto dell’endotelio (tessuto che riveste la superficie interna dei vasi sanguigni e linfatici e del cuore), una protezione adeguata dagli insulti del sangue».
Parrebbe insomma che le opinioni di Philippe Even siano forti più per la forma, trionfalistica che per la sostanza. Come quando ricorda che la placca aterosclerotica, responsabile del coagulo che procura la trombosi e dunque l’infarto e l’ictus, è inizialmente una ferita della parete arteriosa, dovuta, parole sue, ai “colpi d’ariete della pressione sanguigna”. Una ferita che si cicatrizza una, due, dieci, cento volte e poi s’inspessisce e si infiamma, piena di acidi grassi ossidati ma non di colesterolo. Il rischio cardiovascolare, per Even, dipenderebbe dunque da ragioni genetiche ancora sconosciute, dall’ipertensione, dall’ossidazione degli acidi grassi e dall’ipercolesterolomia famigliare, che è una malattia a se stante. Ma il professor Fiorentini ricorda che va valutato il rischio cardiovascolare nel suo complesso, non c’è un livello ottimale di colesterolo ma ci sono i rapporti tra i suoi diversi fattori, e vanno tenuti presenti altri parametri tipo il fumo, la qualità di vita, il diabete e, sì, il sesso (più svantaggiati gli uomini di 50 anni rispetto alle coetanee, che entrano in zona critica 10 anni dopo).
In sintesi, oggi l’indice di rischio cardiovascolare è il rapporto tra colesterolo totale e colesterolo buono: dovrebbe essere inferiore a 5 per un maschio e a 4,5 per una femmina. Fiorentini commenta: «Le Hdl proteggono le Ldl, certo. Ma se il rischio è alto, il colesterolo va abbassato, meglio, va abbassato quello cattivo. Certo, sarebbe meglio alzare quello buono, ma è difficile... ». Continua: «Mi preme dire un paio di cose. La prima è che, messe così le cose, non ha senso demonizzare le statine, che in alcuni casi vanno prese. Pensiamo al primo anno successivo a una terapia intensiva di intervento: le statine promuovono la riformazione dell’endotelio. Poi un’occhiata ai dati italiani: in una decina d’anni il calo della malattia vascolare è diventato importante, attorno al 40%, e ha a che fare anche con la cura del colesterolo. Infine, le donne: sono le francesi che possono tranquillamente preoccuparsi a partire dai 60 anni, per le italiane il rischio sta anticipando. Forse perché fumano di più, o perché, storicamente meno abituate alle mansioni dirigenziali, oggi sono più stressate».