Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 06 Sabato calendario

SUPER MURDOCH

Lo scorso agosto, Elisabeth Murdoch è salita sul palco dell’Edinburgh International Television Festival e davanti al mondo ha tirato un sonoro schiaffo d’immagine al fratello James e al padre Rupert: ha elogiato la BBC e la tv pubblica, ha attaccato il fratello per aver affermato che i profitti sarebbero l’unica garanzia per la libertà dei media, ha dato una strigliata al padre per come ha gestito la News Corp., permettendo allo scandalo delle intercettazioni di distruggere la reputazione di un impero mediatico da 50 miliardi di dollari e spianando la strada a una regolamentazione durissima della stampa britannica. Ciliegina sulla torta, ha lodato per le sue capacità lo sceneggiatore tv inglese Dennis Potter, appena scomparso: l’uomo che fece scalpore ribattezzando il cancro che l’avrebbe ucciso «Rupert», in segno di disprezzo per i tabloid di casa Murdoch.
Non sorprende che, nelle settimane successive, schiere di persone si siano complimentate con la quarantaquattrenne per la coraggiosa sortita. Meno ancora sorprende che tra queste non ci fossero Rupert e James. Incredibile è invece che Elisabeth sia rimasta sconvolta dal silenzio del padre, come dichiarava in un articolo apparso di recente sul New Yorker, aggiungendo che quando finalmente, dopo non essersi rivolti la parola per mesi, lei ha raggiunto al telefono il padre riuscendo a fissare una cena, lui si era reso conto di non aver avuto «una reazione affettuosa».
La vera domanda è: perché lei se l’aspettava? Che cosa esattamente dica tutto questo di Elisabeth e del suo rapporto con il padre è difficile da indovinare, ma alcune ipotesi si possono formulare: la prima è che dopo tanti anni lei sia ancora la bambina di papà, e che abbia un disperato bisogno della sua approvazione. La seconda è che sia talmente egocentrica e sicura di essere nel giusto da ritenere che chiunque dotato di buon senso, suo padre compreso, debba darle ragione. La terza è che ha la stoffa per dirigere i media della famiglia, dove i sentimenti sono un handicap e il carattere d’acciaio un requisito. E forse è proprio questo il messaggio che voleva recapitare.
Se a Sydney, nel 1968, Elisabeth Murdoch fosse nata maschio, sarebbe da molto tempo candidata a ereditare l’impero di famiglia (quotidiani, studi cinematografici, reti tv e satellitari in tutto il mondo). E di lei, senza dubbio, avremmo sentito parlare molto di più. Se ci troviamo a farlo ora è perché lo scandalo che si è abbattuto sui tabloid News of the World e The Sun provocando 100 arresti e 17 incriminazioni, ha riaperto i giochi della successione alla News Corporation, il giorno in cui l’anziano capofamiglia dovesse andare in pensione o morire. Era tutto predisposto perché lo scettro passasse al figlio maggiore Lachlan, finché quest’ultimo non è entrato in attrito con gli alti dirigenti americani di Rupert (e col padre) e nel 2005 ha abbandonato la corsa. In fila dietro di lui c’era il secondo figlio maschio di Murdoch, James, che pareva il pretendente certo fino a quando lo scandalo non ha bruciato le sue chance. Ora rimane soltanto Elisabeth, che si sta dando un gran daffare.
Le sue ambizioni poggiano su basi solide. Prima dei tre figli che Rupert Murdoch ha avuto dalla seconda moglie Anna Torv, oltre che la più tenace e ambiziosa, Elisabeth è la più dotata di capacità relazionali, ed è alta, bionda e attraente - il che non guasta mai. A differenza dei fratelli Lachlan e James, ha accumulato centinaia di milioni da sola, creando una società di produzioni tv di grande successo. Ma non è mai stata ritenuta in corsa perché Rupert aveva deciso che a succedergli dovesse essere un figlio maschio, com’era succeduto lui, nel 1952, al padre Sir Keith.
Trent’anni fa, Rupert dichiarò al direttore di una delle sue testate britanniche: «Mai sentito del figlio maschio di una qualsiasi dinastia mediatica che non volesse seguire le orme dei suoi antenati. È una vita troppo bella». Dieci anni dopo, assicurava ai giornalisti che entrambi i suoi figli erano interessati alla successione. Elisabeth non era neppure nominata, e l’altra figlia adulta di Rupert, Prudence, avuta dalla prima moglie Patricia Booker, era ancor più distante dai suoi pensieri. I favoritismi di Rupert verso i due maschi eravo evidenti nella distribuzione degli incarichi nell’azienda di famiglia. Mentre Lachlan e James venivano proiettati in poltrone dirigenziali, Elisabeth finiva a Sydney a lavorare come redattrice presso Channel Nine, di proprietà del magnate dei media australiani Kerry Packer, a caccia di tecnici riparatori e vicini infernali per il reality A Current Affair. Chi all’epoca lavorava con lei come il giornalista Howard Gipps (che è ancora lì), la ricorda «taciturna, quasi austera, e molto morigerata. Sembrava uscita da un convento». Altri la trovavano «gentile», «caotica» e «di compagnia», ma nessuno avrebbe mai detto che era la figlia di un miliardario: «Non si dava arie e non si aspettava trattamenti di riguardo», dice David Hurley, che all’epoca dirigeva le risorse umane di A Current Affair. «Ci era stato detto dall’alto di trattarla bene, ma senza favoritismi. Credo fosse stato Rupert a chiederlo a Kerry».
A differenza di Lachlan, con la sua enorme villa in un sobborgo chic di Sydney, la Ducati da Gran Premio e le amicizie nel mondo del cinema, Elisabeth conduceva una vita ordinaria. Lavorava molto e svolgeva tutte le mansioni più noiose - compresi gli odiati turni delle 5 del mattino e del fine settimana - senza lamentarsi. Viveva in una modesta casa in affitto a Cammeray, i suoi amici erano quasi tutti di Channel Nine, e doveva ancora tagliare il cordone ombelicale con la famiglia, al punto che sua madre era volata in Australia per aiutarla a pulire la casa prima che si trasferisse. «Ricordo d’aver pensato: io, se avessi i soldi che hanno loro, pagherei qualcuno», dice Sharon O’Neill, all’epoca producer di A Current Affair.
A voler leggere tra le righe, l’infanzia di Elisabeth è stata tutt’altro che meravigliosa. A New York, dov’è cresciuta, era un’immigrata, un’outsider. «Una vera sfigata», almeno questo sostiene lei. A sette anni, la mandarono per un anno in un collegio australiano, intanto che i fratelli se ne restavano a Manhattan, e laggiù si sentì «terribilmente sola». Poi fu rispedita negli Usa, in New England, dove fu sospesa da scuola per aver introdotto del rum facendo sbronzare i compagni. Di nuovo a Manhattan, a casa, in mezzo a un viavai di tate e personale di servizio, Elisabeth scoprì che Rupert era spesso assente, e che ottenere la sua attenzione era difficile. Quando poi si decideva a giocare, voleva sempre vincere, che fosse a Monopoli o in una gara di nuoto con la figlia tredicenne. Era una famiglia competitiva, e i complimenti scarseggiavano, il che spiega perché tutti i figli di Rupert Ana manifestino un bisogno disperato di dimostrare il proprio valore.
I media entrarono nelle loro vite prima dell’adolescenza. A colazione, Rupert distribuiva loro i quotidiani perché li commentassero, e a tutti fu instillato il senso di una missione. «È qualcosa che ha sempre fatto parte del mio universo, che mangiavo e respiravo in continuazione», ha spiegato in un’occasione Elisabeth. Nel 1994, quando il fratello Lachlan già stava scalando le gerarchie della News Ltd in Australia mentre lei sgobbava in televisione, Elisabeth decise di mettersi in proprio. Appena ventiseienne, quasi priva di esperienze di management e con un prestito bancario di 35 milioni di dollari garantito dal padre, comprò un paio di piccoli canali tv californiani tra San Francisco e Los Angeles, e si impegnò per portarli al successo, arrivando perfino a partecipare a un rodeo locale per strappare una sponsorizzazione a una concessionaria d’auto. Naturalmente si affidò anche alla ricetta famigliare dei Murdoch: introdurre un po’ di sesso e violenza e tagliare il personale, cosa che presto fece insorgere la popolazione locale. Licenziò anche il popolare giornalista Rick Martel, un beniamino della zona. «Ormai sono vecchio», dice oggi, «e non mi va di rivangare brutti ricordi. Ma fu doloroso, per me e per tanti miei colleghi. Era cocciuta, e non accettava consigli da nessuno». «Il contraccolpo fu enorme», ricorda l’uomo che prese il posto di Martel, John Summer, «e ancora oggi la comunità serba un certo rancore».
Ma lei era abbastanza tosta da affrontare i detrattori, e anche abbastanza in gamba da riuscire a conquistare la camera di commercio cittadina. Il canale televisivo di San Luis Obispo aveva sede in un edificio fatiscente degli anni Venti che un tempo aveva ospitato la radio, «una piccola struttura male in arnese, con le apparecchiature obsolete, dove tutti stavano pigiati in un ufficio minuscolo», dice Summer, «ma erano persone stupende», e per la loro capa ventisettenne davano il massimo. Sedici mesi dopo, gli ascolti erano saliti, i profitti erano aumentati del 30 percento, ed Elisabeth rivendeva tutto per un utile di 12 milioni di dollari. A un giornalista che le chiedeva che cosa intendesse fare rispose che forse avrebbe comprato un altro canale, o avrebbe fatto un master in economia aziendale, ma che la sua vera aspirazione era dirigere qualcosa alla News Corporation. Per una volta il padre la ascoltò. «Non ti serve un cazzo di master», le disse, «quel che c’è da sapere puoi impararlo a Sky».
E così, nel 1996, Elisabeth si ritrovò di nuovo in famiglia, alla pay tv britannica BskyB, capeggiata allora dal leggendario dirigente televisivo australiano Sam Chisholm, il quale fu tutt’altro che felice di accoglierla, e la mandò in esilio al call center di Livingston, in Scozia. Poi, quando fu promossa a direttrice dei palinsesti, la sminuì definendola la «stagista». Infine, le modificò i palinsesti mentre lei era in congedo maternità, e quando Elisabeth si lamentò della cosa con il padre, se ne andò. A rendere la sua decisione inevitabile fu uno scontro di ego tra lui e Rupert, ma Chisholm scoprì anche quanto poteva essere pericoloso mettersi tra Murdoch e i figli. Non volendo fare la stessa fine, il ceo di BskyB David Chance se ne andò a sua volta. Ma a Elisabeth la massima poltrona sfuggì lo stesso, quando il padre, con un’intervista, le fece sapere che non era pronta, e che doveva prima capire quanti figli volesse. Fosse stata più sicura di sé, dice lei, se ne sarebbe andata in quel momento, invece rimase dov’era, perché il padre non la giudicasse una fallita, assistendo con risentimento all’ascesa dei suoi fratelli.
Nel frattempo, la sua vita privata precipitava nel caos. Il matrimonio con Elkin Pianim, figlio di un dissidente del Ghana che Rupert non aveva mai accettato come genero, stava naufragando. I suoi stessi genitori, dopo trent’anni, erano in procinto di separarsi. Ed Elisabeth aveva avviato una relazione con un uomo sposato, Matthew Freud, che si occupava delle pubbliche relazioni di BskyB. Era magra, stressata, sovraccarica di lavoro.
Malgrado le pressioni e i due figli avuti con Pianim, Elisabeth si rimboccò nuovamente le maniche, guadagnandosi il rispetto del suo team a BskyB. «Era competente, entusiasta, lavorare per lei era un piacere», racconta un dirigente australiano oggi ai vertici della News Corp. Ma due anni dopo, quando la poltrona principale tornò a liberarsi, di nuovo le sfuggì. E di lì a un anno, nel maggio 2000, Elisabeth abbandonò l’azienda di famiglia per la seconda volta per creare una società di produzioni tv sua, la Shine, che presto si rivelò uno strepitoso successo. Annunciò il suo abbandono faxando a Rupert il comunicato stampa. Nella lite che seguì (lei stessa lo raccontò a Vanity Fair) gli disse: «Visto che sei già così incazzato con me, papà, tanto vale che tu lo sappia: aspetto un figlio da Matthew».
Matthew Freud di entrature ne aveva già in abbondanza prima di sposare una Murdoch. Pronipote del fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud, figlio dell’ex deputato e scrittore Sir Clement Freud, nipote del grande pittore Lucian Freud, e fratello di Emma Freud, una presentatrice televisiva sposata con lo sceneggiatore di Quattro matrimoni e un funerale Richard Curtis, Matthew, che oggi ha 49 anni, ha accumulato milioni con le PR negli anni 90, annoverando tra i suoi clienti star cinematografiche e marchi internazionali (Pepsi, Mars e Nike), facendosi molti nemici e guadagnandosi il nomignolo di Matthew “Fraud” (truffa). Quando nel 2001 Vanity Fair lo cercò nella sua tenuta in campagna per scrivere dell’imminente matrimonio con Elisabeth, Freud girava su una Bentley con autista, una Ferrari 360 o a cavallo di un’Harley-Davidson. Accolse l’intervistatore con «attillatissimi pantaloni di pelle Agnès B», che mettevano in evidenza un rigonfiamento «grande quanto un marsupio». Tutte cose che, per una ragazza perbenino come Elisabeth, dovevano risultare piuttosto eccitanti.
Nell’intervista disse che lui e Elisabeth erano anime gemelle. Prima ancora che l’articolo venisse pubblicato, però, si erano già separati per la seconda volta in un anno. Un breve esaurimento nervoso (di Matthew) dopo, si sposarono nella cappella del Blenheim Palace, Oxfordshire. Nel frattempo avevano avuto un figlio, per Elisabeth il terzo. Oggi, a distanza di dodici anni, sono una delle coppie più potenti della Gran Bretagna, con una rete di conoscenze che va dalla politica al mondo dello spettacolo. Famosi per le cene VIP, possiedono una magnifica villa nell’Oxfordshire, chiamata Burford Priory, che ha ospitato party favolosi, come la festa per i 40 anni di Elisabeth, ospiti David Cameron e Tony Blair.
Con loro, quella sera, c’era anche Rebekah Brooks, che dirigeva il News of the World all’epoca in cui cominciarono le intercettazioni telefoniche, e che poi arrivò a dirigere tutti i quotidiani inglesi dei Murdoch. A settembre Brooks verrà processata a Londra per le intercettazioni telefoniche, corruzione e intralcio alla giustizia. Allora, però, lei ed Elisabeth erano amiche. Vicine di casa nei Cotswolds, insieme parteciparono perfino a un pigiama party per pochi intimi organizzato da Sarah Brown, moglie dell’ex premier Gordon. Nel 2001, Rebekah fu tra le poche invitate all’addio al nubilato di Elisabeth. In seguito Elisabeth ha pubblicamente accusato Brooks e James del guaio in cui si trova la famiglia Murdoch, e pare che agli amici vada dicendo che Rebekah «ha mandato a puttane l’azienda». Benché neghi di aver usato queste parole, lei ammette di aver insistito col padre perché licenziasse entrambi.
Non molto tempo dopo che Elisabeth si era messa in proprio, Rupert cominciò a confidare che gli avrebbe fatto piacere riaverla in azienda, pronosticando: «Prima o poi venderà a qualcuno la Shine per una valanga di soldi e verrà a bussare da noi, e sarà la benvenuta». E così è stato. Presto Elisabeth scoprì di avere talento nell’intuire i gusti del pubblico, e la Shine cominciò a sfornare programmi come Gladiators, Masterchef e The Unofficial World Records of Sex, «sguardo spensierato su prodezze di natura biologica», rispondendo a domande come «quanti dischetti del gioco delle pulci può contenere il prepuzio di un uomo?».
La «valanga di soldi» però è arrivata dagli stessi Murdoch, o dai loro azionisti. All’inizio del 2011, mentre lo scandalo delle intercettazioni cominciava a montare, Elisabeth ha venduto la Shine alla News Corp. per la sbalorditiva cifra di 675 milioni di euro, intascandone 214. L’operazione è ora nel mirino delle autorità Usa, dove un gruppo di investitori è convinto che una cifra così esorbitante pagata da Rupert alla figlia sia un conflitto di interessi. Murdoch è anche accusato di aver trattato la News Corp. come «il negozio di caramelle di famiglia». E così, quando Elisabeth lancia le sue bordate contro la gestione di News Corp., dimentica opportunamente di averne lei stessa beneficiato. L’accordo di vendita della Shine prevedeva anche che Elisabeth entrasse nel consiglio di amministrazione della News Corp., accanto al padre e ai fratelli. Ma nell’aprile dello scorso anno, mentre i primi giornalisti di News of the World venivano arrestati, lei ha cambiato idea. È grazie a questa decisione che oggi può sostenere di aver previsto ciò che stava per accadere, mettendo gli altri in guardia. Di certo è rimasta alla larga dal lavoro sporco dei tabloid di Murdoch e dai successivi insabbiamenti, anche se mentre i Murdoch facevano i loro affari in Gran Bretagna Elisabeth, a partire dall’amicizia con Rebekah Brooks, non si trovava certo su un altro pianeta.
Ma quali sono le sue possibilità effettive di arrivare al vertice? Che controllo esercitano i Murdoch su quella proprietà da 50 miliardi di dollari che è la News Corp.? In realtà, la famiglia possiede solo il 12 percento del pacchetto azionario, quasi nove decimi del quale è in mano a investitori esterni. C’è però un punto: le azioni sono suddivise in due categorie, A e B, e solo le seconde garantiscono il diritto di voto sulle questioni aziendali. Possedendo i Murdoch quasi il 40 percento delle B, riescono a determinare chi entra in consiglio di amministrazione e chi dirige l’azienda. Questo potentissimo portafoglio azionario fa capo al Murdoch Family Trust, controllato da Rupert, il quale esercita quattro voti, e dai suoi quattro figli maggiori, Prudence, Elisabeth, Lachlan e James, che ne esercitano uno a testa. Alla morte di Rupert, i suoi voti moriranno con lui, e il controllo passerà ai soli figli. Ammesso che riescano a mettersi d’accordo - ammesso che la questione non sia già stata risolta dal padre, e che non si verifichi una rivolta degli altri azionisti - spetterà a loro decidere chi dei quattro debba succedere al capofamiglia, o a chi andranno le poltrone al vertice della compagnia.
La matematica dice che a quel punto Elisabeth dovrà convincere due dei suoi fratelli ad assegnarle la posizione a cui ambisce. Viene quindi da chiedersi quanto sia stato saggio da parte sua sfidare così apertamente James e il padre. Se lei e James rimarranno ai ferri corti, Elisabeth dovrà convincere sia Prudence che Lachlan (o suo padre) a sostenere la sua candidatura. A tale scopo, le converrebbe sviluppare qualche dote diplomatica, oltre alle altre e più acclarate capacità. La superiorità morale e un ottimo PR potrebbero non bastare.