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 2013  aprile 06 Sabato calendario

PARENTI

& PROCESSI DI DUE STRANI SAGGI -
Ma va, i magistrati hanno fatto una cazzata. D’altra parte siamo in campagna elettorale, no?”. L’ancora non saggio Giancarlo Giorgetti la buttò berlusconianamente in caciara: era il 2006 e la procura di Busto Arsizio aveva avviato un’indagine a carico di Laura Ferrari, moglie dell’allora parlamentare leghista, per truffa. La signora, insieme ad altre due persone, aveva inventato degli iscritti fantasma a un corso di equitazione così da poter ottenere un finanziamento di oltre 700 mila euro dal fondo sociale Europeo e dal ministero del Lavoro attraverso la Regione Lombardia guidata da Roberto Formigoni insieme agli amici leghisti. “L’unica è metterla sul ridere”, disse Giorgetti, non prima di aver fatto chiamare dal presidente Casini la polizia giudiziaria impegnata a setacciare casa sua, nel vano tentativo di bloccare la perquisizione. Eppure, magari a insaputa del marito, Laura Ferrari corse subito in tribunale per patteggiare la pena: sei mesi di reclusione 400 euro di multa, ridotta per le attenuanti a due mesi e 20 giorni di carcere e 200 euro. Pena trasformata, infine, in una sanzione pecuniaria di 3.040 euro. In concorso con Giuseppe Landucci e Maurizio Turolo (entrambi condannati), la signora Giorgetti, attraverso la onlus Forma Moda organizzava dei corsi che venivano sovvenzionati dalla Regione con i fondi europei e del ministero del Lavoro.
PER OTTENERE i soldi però era necessario dimostrare che ci fosse qualcuno interessato a seguire realmente i corsi. Così, Ferrari e compagni, hanno falsificato le firme di numerosi allievi (il giudice ne elenca 42) sui registri didattici e di presenza e sull’elenco dei partecipanti dei corsi, nonché sui documenti di iscrizione ai corsi. “Con artifizi e raggiri”, scrive il Giudice per le indagini preliminari Chiara Venturi, i tre hanno indotto “in errore la Regione (...) procurando alla Forma Moda l’ingiusto profitto dei finanziamenti stanziati per 742.400 euro ed effettivamente erogati per 443.349 euro (..) al fine di trarne profitto per sé o altri”. Tutti i tre imputati hanno patteggiato la pena ed evitato il processo.
LA FACCENDA si è chiusa rapidamente. Laura Ferrari era assistita da Attilio Fontana, leghista da prima della nascita, oggi sindaco di Varese e un tempo legale di fiducia di Umberto Bossi e del Carroccio, ha visto crescere nel partito Giancarlo Giorgetti. Da bravo avvocato ha suggerito a Laura Ferrari di chiudere la vicenda con il patteggiamento. L’evidenza delle prove, del resto, secondo quanto ha scritto il Giudice, non lasciava molte speranze. Ma la signora ha da subìto preso le distanze dai due soci, Landucci e Turolo. In un’intervista a un giornale locale nel gennaio 2006 disse: “Io ho solo prestato consulenze, Landucci mi propose di tenere un corso per istruttori di ippica per disabili e ho accettato anche se mi pareva un tipo strano”. I riscontri hanno appurato che invece Ferrari ha agito in concorso con Landucci e Turoli. Ma certo, come disse l’oggi saggio Giorgetti, la “cazzata” l’hanno fatta i magistrati.
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IL LUCANO BUBBICO: IMPUTATO PER I PM, PRESENTABILE PER IL PD -
La commissione etica del Pd, presieduta da Luigi Berlinguer, alla vigilia delle elezioni, non l’ha certo ritenuto "impresentabile". E infatti Filippo Bubbico - già presidente della Regione Basilicata, nonché sottosegretario nel governo Prodi - s’è candidato ed è stato eletto al Senato incassando poi, in regime di stallo post elettorale, l’unica nomina che si è resa possibile: quella di “saggio” della Repubblica. Un collega di partito suo corregionale, Antonio Luongo, pensò di sollevare dall’imbarazzo la commissione etica - con essa Luigi Berlinguer e l’intero Pd - che, sebbene fosse imputato di corruzione, non l’aveva escluso dalla competizione elettorale: rinunciò alla candidatura di sua spontanea volontà. Bubbico no: imputato d’abuso d’ufficio, con processo in pieno dibattimento, ha ritenuto d’essere presentabile. Con il consenso del partito. Nel frattempo, al tribunale di Potenza, accade che la Regione Basilicata - un tempo da lui governata - è ascritta nel procedimento in questione come “persona offesa” nella persona dell’attuale governatore.
UN PARADOSSO: parliamo del presidente Vito De Filippo, che è del Pd e risulta persona offesa, quindi, dal suo stesso compagno di partito (nonché predecessore) Filippo Bubbico. Eppure la candidatura di Bubbico è stata ritenuta opportuna. È anche vero che De Filippo, oltre che vestire i panni di “persona offesa”, indossa quelli d’erede di Bubbico alla guida della regione: oggi al secondo mandato, nei decenni precedenti assessore per due legislature, e con Bubbico presidente. Bubbico è accusato di abuso d’ufficio perché, nel 2005, in concorso con altri componenti dell’ufficio di Presidenza, conferiva all’avvocato Paolo Albano “un incarico di consulenza per un progetto di organizzazione della struttura del consiglio”. La retribuzione, di circa 23 mila euro, non era esorbitante ma la questione è un’altra: il punto - secondo l’accusa sostenuta dalla pm Anna Piccininni - è che fu violato “l’articolo 6 del decreto legislativo 165/2001”. La delibera che incaricava l’avvocato Albano dichiarava che in Regione mancavano “strutture organizzative e professionali interne in grado di svolgere tale attività”. Insomma: non c’erano risorse interne da utilizzare. La procura di Potenza, stando alle accuse, ha invece accertato che “l’organico del Consiglio regionale risultava dotato di 46 dipendenti con qualifica direttiva”. FORSE - si dirà - non erano all’altezza di ricoprire l’incarico affidato all’esterno. E invece: “In considerazione dei titoli di studio e delle figure professionali rivestite - scrive l’accusa - ben avrebbero potuto attendere all’incarico affidato all’avvocato Albano” che, peraltro, “non prevedeva l’analisi di problematiche di particolare complessità, né rientrava, a norma di legge, in ipotesi di eventi straordinari, che consentivano il ricorso a consulenti esterni”. Ecco perché, secondo l’accusa, Bubbico recava un danno alla Regione. Lo arrecava “intenzionalmente”. E cioè - quel che più conta, in termini di etica e opportunità politica- ben sapendo di commettere un reato.