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 2013  aprile 06 Sabato calendario

TANIA CAGNOTTO “VI SPIEGO COME RINASCERE SCONFITTE”


Ci sono momenti che vorresti rimuovere dalla tua memoria, e invece restano lì, purtroppo, vividi nella mente. I ricordi peggiori: quelli delle delusioni. Delle sconfitte.
Sia pur sportive, ma sempre ricordi dolorosi. «Fai di tutto per scacciarli, ma non se ne vanno, se ne stanno in qualche angolo nascosto». Eppure lei sa come si fa per conviverci. Per, addirittura, imparare e rafforzarsi. Ma andiamo con ordine.
Tania Cagnotto. Tuffatrice. Nome d’arte che non ha certo vissuto di rendita, sull’eredità del passato di papà Giorgio: sua, di Tania, la prima medaglia mondiale per l’Italia femminile dei tuffi, ai Campionati di Montreal del 2005, più un’altra sfilza di medaglie tra Europei e Mondiali. Un’icona del movimento azzurro, un punto di riferimento.

Poi, Londra 2012. Quel giorno. Il maledetto 5 agosto. La finale del trampolino (da tre metri). Sei tuffi per una medaglia. Mai nessuna azzurra c’è riuscita all’Olimpiade: il pensiero di una vita, forse un’ossessione. La gloria sfugge per venti centesimi di punto. Venti centesimi. Cosa sono? Numeri decimali. Con la virgola: 0,20. Il resto di una banconota. Chi può reggere un colpo così? Non si può. Non in uno sport piccolo, di nicchia, come i tuffi. Le cui grandi occasioni passano solo ogni quattro anni. E il prossimo autobus è lontano, anagraficamente troppo lontano.
Per questo, quel giorno, Tania pianse. Nella maniera più spontanea. Drammaticamente dolce. Senza vergogna. Senza paura della propria privacy. Delle proprie emozioni. E così vinse nella sconfitta. Chiunque vide, chiunque seppe, partecipò al suo stato d’animo. Si commosse. La televisione ingrandì i dettagli. I fotografi immortalarono l’attimo. Nessuno ha dimenticato. Tania non dimenticherà più cose piccole, intime. «Quella pelle di daino, color lilla che tanto mi piaceva». Quante lacrime le ha asciugato.
Altro che terzo tempo. Ma quale fair play del rugby. Per carità, bellissimo. Ma quelli, i rugbisti, si menano che è un piacere, poi vanno a bersi una birra sapendo che qualche mese dopo avranno un’altra chance. È più facile, più accettabile. «Per me non sarà così. Nulla sarà più come prima». Ci sono filosofie e filosofie. Quel giorno perfino i giornalisti hanno faticato a porle domande. C’era solo consolazione. Rispetto, per questa Dorando Pietri in gonnella. Sì, proprio Dorando Pietri. Lo ricordate? Londra 1908: il maratoneta che tagliò per primo il traguardo, ma aiutato dai giudici che l’avevano visto barcollare stremato dalla fatica. Fu squalificato, perse la medaglia d’oro, ma quelle immagini fecero il giro del mondo e lo consegnarono alla storia.
Cento (e quattro) anni dopo, una storia simile: una sconfitta che diventa vittoria. Di più: una ragazza che insegna a saper perdere. «Faticavo a respirare, ero sopraffatta da pensieri, dai perché, dai “non ci credo che è successo a me”». Quelle lacrime, meno male. «Liberatorie, hanno interrotto l’insopportabile flusso di ogni cosa che mi stava sopraffacendo ». Tania, oggi, ne parla — di quel giorno — come se fosse di fronte ad un terapeuta: «Come ho fatto a superare Londra? Razionalmente non so spiegarlo. Credo che sia nel nostro Dna, nell’educazione ricevuta, nel percorso di formazione fatto, nel vedere le cose della vita». Cultura, insomma. Sensibilità. Il grande Roger Federer, leggenda del tennis, una volta ha detto che il grande campione si vede nel momento della sconfitta. Solo in certi momenti emergono (se ci sono) lo stile, la grandezza. Gli psicologi dello sport, quelli che analizzano i traumi, dicono asetticamente: «Ciò che distingue un campione da un atleta comune è la resilienza, cioè: “mi piego ma non mi spezzo”. Significa che il vero campione esce fuori dalle sconfitte».
Parole inutili, per Tania. A lei queste leggi scientifiche non possono essere applicate. «Magari avessi avuto una situazione normale: il mio allenatore è mio padre. Peggio non poteva essere. Io consolavo lui, e lui consolava me. Io piangevo sulla sua spalla, lui piangeva sulla mia». Dolore duplicato. «E papà ha perso tante volte, nella sua carriera. Ma ci sono giorni, e momenti, in cui tutto si rinnova, ed il passato non può aiutarti a scegliere il giusto comportamento. Me lo ha detto recentemente». Il 5 agosto 2012 ha prevalso l’impulso. «Dare libero sfogo alle lacrime è stata la cosa più giusta. Ho detto al mondo chi sono, l’onesta e la sincerità di una ragazza che sognava semplicemente una medaglia olimpica». Il messaggio è arrivato, forte e chiaro. Potente. E poi, però? Elaborato il lutto? «Sono stati giorni duri. Anche se la gente, le persone normali che abbiamo incontrato per strada, sono state meravigliose: tanti incoraggiamenti, quante coccole. Un sostegno bellissimo». Dai, Tania, fai un ultimo sforzo: liberati. «Ho avvertito un grande senso di vuoto. Una spossatezza. Mi sforzavo di non pensare. Di non ripensarci. Gli occhi fissi su oggetti anonimi e senza importanza. Ma se fossi tornata su quei venti centesimi forse sarei impazzita, non so». Per fortuna la vita va avanti, e richiede impegno e attenzione. «Io e il mio fidanzato abbiamo acquistato casa. E l’edilizia è peggio dei tuffi, non puoi distrarti nemmeno per un istante. Mi sono trasformata in una specie di interior designer, concentrata su ogni finitura dell’appartamento. Sono passata dai tuffi carpiati e i doppi salti mortali al saper ogni cosa sulle cucine monoblocco, o in muratura, o country. Alla fine ne ho scelta una moderna...».
Oggi ci si può scherzare su. «Sì, posso dire di essere sopravvissuta. Posso dire di essere più forte. Di poter perfino tenere una lezione su come reggere ad una botta del genere. Penso che potrebbero farlo tanti altri atleti. Non è che vincono sempre tutti... Ah, cosa direi al mio uditorio? Sono rimasta me stessa, non ho recitato. Non ho dato in escandescenze, non ho insultato i giudici, non me la sono presa con nessuno. Ho esternato il mio stato d’animo con il mio body language, la faccia rossa rigata dalle lacrime valeva più di ogni possibile parola. In generale bisogna ricordarselo, che c’è una legge che regola la vita degli sportivi, che devi rispettare. Che ti piaccia o no. Una sorta di fatalismo cosciente. Ecco, dovessi tenere una lezione sul come comportarsi in caso di sconfitta, esprimerei questi concetti. Ma... vogliamo parlare anche delle mie vittorie? Non vorrei passare per una pessimista deprimente, è meglio sorridere alla vita...».