Alessandro Penati, la Repubblica 6/4/2013, 6 aprile 2013
LA GUERRA INUTILE CHE LOGORA L’ABI
SEMBREREBBE che la missione dell’Abi sia difendere gli associati dagli attacchi dei “nemici delle banche”. Va bene se lo scopo è salvaguardare la loro immagine. Meno se si vuole capire la crisi e fare proposte concrete per uscirne. Emblematico il dibattito sulle sofferenze. Secondo l’Abi i crediti deteriorati sono elevati da noi perché Banca d’Italia impone criteri più stringenti che altrove: usando criteri omogenei, le banche italiane apparirebbero virtuose e ben capitalizzate.
Vero che i nostri criteri sono più stringenti di quelli spagnoli o francesi, ma il problema è come si applicano. E’ bastato un monito della Banca d’Italia perché nei bilanci delle banche spuntassero sofferenze come funghi: se i criteri di contabilizzazione fossero regole meccaniche e oggettive, come l’Abi vorrebbe far credere, le valutazioni di bilancio non sarebbero sensibili ad alcuna moral suasion. Ci si dimentica, poi, che oltre a quello contabile, c’è anche un valore di mercato del rischio credito: può essere esplicito, come per i Cds, le cartolarizzazioni o le obbligazioni, ma anche implicito. Agli investitori, che decidono il valore di una banca, e quindi la sua capacità di finanziarsi sul mercato e dare a prestito, interessa solo il valore di mercato. Se anche adottassimo criteri meno stringenti, come vorrebbe l’Abi, per le banche italiane non cambierebbe una virgola: per quanto una banca possa iscrivere in bilancio a 100 il prestito ad una azienda il cui rischio di credito vale 80 sul mercato, per gli investitori l’attivo della banca vale 80. Il fatto che altrove abbiano regole più lasche, non influisce sul valore delle banche Italiane; è solo una questione di immagine.
Quello che preoccupa oggi è che il picco delle sofferenze arriva dopo uno o due anni dal minimo della recessione. E visto il pessimismo sull’inizio della ripresa è facile che il problema delle sofferenze perduri nel 2014; e che le “pulizie” di quest’anno non siano le ultime.
Penso anche che si sottovaluti l’impatto sui bilanci bancari della crisi immobiliare, che ha una dinamica molto lenta. Infine, la capacità delle banche di sopportare l’onere delle sofferenze dipende dalla loro redditività prospettica e dalla forza della ripresa: in entrambi i casi, lo scenario è deprimente.
Per rassicurare gli investitori che le banche italiane sono in grado di sostenere i rischi già in bilancio, e di assumersene di nuovi, tornando a espandere il credito, è serviranno nuovi capitali. Poco importa se i livelli attuali di patrimonializzazione sono adeguati per il Regolamentatore. Il capitale non serve a soddisfare i suoi requisiti, ma a garantire gli investitori. E basta guardare le valutazioni di Borsa per capire che non si sentono garantiti. Anche perché la regolamentazione si basa sui Risk Weighted Assets, un parametro pseudoscientifico che ha perso credibilità agli occhi del mercato.
Per le banche italiane però il ricorso al mercato dei capitali è una chimera: le popolari dovrebbero rinunciare alla loro governance; le Fondazioni non hanno più soldi e dovrebbero farsi diluire, e tutti a gridare allo scandalo dell’Italia in svendita. Non è realistico.
Urge un piano B, radicale e coraggioso. L’unica soluzione è trasferire crediti deteriorati, attività immobilizzate, ma anche prestiti in bonis in un unico Fondo, che li smaltirebbe nel tempo finanziandosi sul mercato; liberando così il capitale delle banche per sostenere la ripresa del credito. Chiamiamolo Fondo Bancario Italiano (Fbi) se bad bank suona male. Per assorbire le perdite e garantire i finanziatori di Fbi, ci vuole capitale e collateral. Le banche ne dovrebbero fornirne una parte, per rendersi corresponsabili delle fortune di Fbi; ma il più dovrebbe venire dallo Stato, che però è già troppo indebitato. Come ho già proposto, la Cassa DDPP potrebbe fornire il risparmio postale (o le sue tante, inutili partecipazioni) come collateral. O si potrebbe pensare a uno swap per utilizzare l’oro della Banca d’Italia; o negoziare un accordo con lo Esm. L’importante è non perdere più tempo in sterili polemiche e passare rapidamente a proposte di soluzioni radicali. Il tempo per sta per scadere.