Filippo Ceccarelli, la Repubblica 6/4/2013, 6 aprile 2013
LA MOSCA CIECA DEI DEPUTATI-BAMBINI
MOSCA cieca, nascondino, acchiapparella, rubabandiera e anche buzzico rampichino, come s’intuisce con tragicomico sgomento nell’osservare la bionda cronista che sale sul tetto dell’agriturismo dentro cui si erano rintanati i gruppi parlamentari grillini. Non che Berlinguer, ai tempi, o Craxi, o gli sfuggentissimi capitribù democristiani fossero lieti di trovarsi i giornalisti fra i piedi.
OPPURE alle calcagna, specie quando dovevano decidere sugli affarucci delicati e scottanti dei loro partiti. Ma c’è qualcosa di inequivocabilmente bambinesco, e grottesco, e anche un po’ regressivo, nel gioco dei quattro cantoni ingaggiato ieri con l’informazione dagli occulti strateghi del M5S tra piazzale Flaminio, il Grande Raccordo Anulare, l’amena località detta Testa di Lepre e la sospiratissima “Villa Valente”, in quel di Tragliata (Rm).
Dove i fuggiaschi a cinquestelle hanno potuto finalmente incontrare Beppe Grillo di persona, e non il suo alias elettronico o in pixel. E dove anche, tra praticelli, statuine e turbo-affreschi michelangioleschi nel gran salone da pranzo, quella «bestia apoca-littica » che secondo il grande Ceronetti è il sistema mediatico ha già potuto sanzionare e riprodurre e diffondere «il patto dei paccheri con porcini e guanciale».
Secondo il quale patto, ancora abbastanza misterioso, Grillo cercherà d’ora in poi di essere un po’ più presente, in carne e ossa, e perfino disponibile, «una volta al mese» sarebbe la quota stipulata. Ma nulla è veramente certo perché non c’è stata conferenza stampa finale, non era prevista all’agritour dell’arcano, né diretta streaming. Solo Grillo ha scambiato qualche battuta con il mucchione semovente dei giornalisti in tenuta d’assedio, per qualche enigmatica ragione costretto a spostarsi da un salone all’altro. Quaranta metri circa di parole, e incespicati assai. Quaranta secondi di rumoroso, effimero e indomabile caos.
A un certo punto la faccenda deve aver preso una vibrazione quasi più ludica che antagonistica, come pure spesso si verifica nelle piattaforme digitali; e forse allora i grillini e gli operatori mediatici hanno riattivato un certo stupore infantile, magari smettendo di riprendersi a vicenda con macchine fotografiche e telecamerine. Ma in assenza di una (sempre possibile) «Velina Grillina », non si saprà mai troppo bene cosa è accaduto nel chiuso di “Villa Valente”. O meglio: non si saprà mai che cosa il nucleo di cristallo del M5S avrebbe voluto trasmettere all’esterno di questo meeting convocato così platealmente fuori mano e in forme a tal punto semiclandestine da suscitare qualche sospetto alla rovescia.
E infatti, per una volta, può non essere un gran danno il non sapere. Né forse vale la pena di stracciarsi le vesti per lo scandalo di un moVimento che elude i circuiti dell’intermediazione giornalistica, individua i media tradizionali come avversari e si presenta, almeno per ora, a tenuta stagna. E’ anche possibile che in futuro si stabiliscano nuovi codici, e s’intravedano nuovi orizzonti.
Ma intanto si potrebbe notare, per esempio, che al giorno d’oggi il silenzio fa molto più effetto del frastuono; e che nel tempo anche sciagurato della visibilità un leader che non si vede, che si separa, che si nega, che si nasconde e che addirittura nasconde la faccia scappando sulla spiaggia conquista molta, ma molta più attenzione dei soliti estenuati ospiti di Ballarò e Porta a porta. Grillo, che viene dall’eterno palcoscenico, lo sa benissimo. E Casaleggio, che reca in dote l’evoluzione guerrigliera e predatoria del marketing, pure lo sa.
Quanto ai grillini - poveri, a cominciare dal diminutivo che li accompagna prima ancora che arrivassero in Parlamento - qui la storia si fa complicata. I video di ieri sembrano i trailer di un film, ma aprono interessanti spiragli, più umani che politologici, più autentici che artefatti. La pioggia, gli ombrelli, i torpedoni, la smarrita inconsapevolezza sulla destinazione, la docile allegria con cui deputati e senatori si lasciavano irreggimentare come scolari in gita, la calca delle telecamere, le domande spesso clamorosamente ribalde dei giornalisti, le telecronache dell’inseguimento tipo Rocambole sulla Braccianese, ecco, tutto questo faceva ridere e faceva pena.
I due sentimenti in Italia vanno benissimo insieme. Ma quanto possono durare? S’intuiva in quelle scene un po’ ridicole e drammatiche una regia astuta e impietosa, come devono essere tutte le regie, ma tanto più efficace quanto più capace di far leva sulla paura di sbagliare, di tradire, di mischiarsi, di diventare come tutti gli altri, di perdere la purezza ritrovandosi indegni e contaminati. E allora vai con i disinfettanti contro i giornalisti «spalamerda », o gli «schizzi di merda digitali», gli ecofeudi con bunker annesso.
Forse tra il culto della trasparenza e la liturgia del segreto, tra la coazione allo streaming e l’abitudine di blindarsi e segregarsi non c’è contrasto, ma una sottile tensione che si risolve - tanto per cambiare - nel potere carismatico, sempre lui, che però non salva, non libera, non offre davvero soluzioni a portata.