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 2013  aprile 05 Venerdì calendario

«IL PD MI HA SCARICATO NEL TRITACARNE GIUSTIZIA NON DIFENDO PIU’ I PM»

Un comunista d’altri tempi, l’ex senatore Rocco Loreto. Da re delle preferenze bulgare in quel di Taranto a prima vittima vip del pm Henry John Woo­dcock. Oggi che si ritrova al cen­tro ­di una vicenda giudiziaria allucinante, il preside eletto tre volte a Palazzo Madama male­dice i tempi in cui parlava di un misero uno per cento di mele marce in magistratura. «Posso tranquillamente affermare che la percentuale è molto più alta, anche se la stragrande maggio­ranza dei giudici è composta da persone perbene. Rispetto a quei tempi antichi, quando di­fendevo le toghe senza se e sen­za ma, dico che la politica, e so­prattutto il partito dei Ds, oggi Pd, deve scrollarsi di dosso la subalternità ai pm. So di cosa par­lo. Quello che certi magistrati hanno combinato sulla mia pel­le ha dell’incredibile».
Quando cominciano i suoi guai? «La mattina del 4 giugno del 2001, dopo tre legislature in Par­lamento, non essendo stato rie­letto vengo sbattuto in galera su richiesta dell’allora carneade pm potentino Woodcock. Ebbe­ne sì, sono stato il suo primo ar­restato eccellente, il primo di una lunghissima serie di vip in­dagati o trascinati nelle sue in­chieste. Le manette scattano per calunnia e violenza privata nei confronti di un suo collega magistrato della procura di Ta­ranto. E qui occorre fare un pas­so indietro, e andare all’allora ministro della Giustizia, Piero Fassino».
Prego. «L’8 settembre (in tutti i sensi) del 2000 porto un dossier di 130 pagine al ministro Fassino su al­cune situazioni gravissime ri­scontrate nella procura di Taranto, lo consegno all’allora ca­po della sua segreteria partico­lare Morri. La consegna segui­va un’esplicita richiesta a met­tere per iscritto quanto avevo esposto loro a voce, e l’obietti­vo era quello di inviare quanto prima gli ispettori. La notizia del dossier circola presto, e quattro giorni dopo, casualmente, il pm che avevo preso di mira nel report, arresta il mio vicesindaco, il capo dell’ufficio tecnico, il segretario comunale e un ex assessore, in un’indagi­ne sull’amministrazione che guidavo a Castellaneta. Passarono le settimane e dal ministe­ro non filtravano notizie, così parlai con Loris D’Ambrosio, al­lora consigliere giuridico del ministro, che a malincuore mi disse: “Senatore, ho letto tutto. È una cosa molto grave ma col ministro abbiamo convenuto che non è il caso di mandare gli ispettori perché potrebbe sem­brare un soccorso rosso”. Ribat­tei stizzito: “Non capisco ma mi adeguo. Però in quel dossier ho denunciato reati specifici...”. Al che D’Ambrosio mi disse che lo avrebbe mandato al Csm, al pg della Cassazione, e a Potenza, competente a indaga­re sui giudici di Taranto».
A Potenza, vuol dire Woo­dcock? «Esatto. Col tempo verrò a sape­re che Woodcock aveva aperto ben tre procedimenti su questo pm tarantino che stando alle mie accuse, tra l’altro, non si era fatto pagare o si era fatto sot­topagare, in forte ritardo, alcu­ni lavori nella sua villa in campagna da un imprenditore. Fe­ci una memoria integrativa e riassuntiva alla quale allegai anche tre registrazioni audio-vi­deo dove l’imprenditore mi rac­contava com’erano andate le cose, i lavori da 60 milioni non pagati, eccetera. A un certo pun­to Woodcock convoca contestualmente l’imprenditore e un poliziotto stretto collabora­tore del pm da me accusato, che arrivano insieme a Poten­za. Nell’interrogatorio l’im­prenditore fa retromarcia, corregge, precisa, dice che qual­che soldo l’ha preso ma poca ro­ba perché la colpa era sua che aveva abbandonato i lavori. Woodcock al­lora gli mo­stra un video, poi gli altri due, gli dà tempo di riflet­tere, l’interro­gatorio viene sospeso, e quando ri­prende, riferisce che c’era accordo nella videoregistra­zione sostenendo che in un’altra stan­za si metteva­no d’accordo e in quella con le teleca­mere recitava­no. Giura che gli incontri erano stati tre (come le tre cassette alle­gate dal sena­tore), e che sempre s’era svolto quel te­atrino. Non sa­peva, il tapi­no, che di registrazioni ne avevo fatte ot­to, e che dal­l’integrale dei filmati (che avevo tagliato per non coin­volgere perso­ne di passag­gio) risultava che eravamo ri­masti sempre a tu per tu in una so­la stanza. Bene. Di fronte a una prova del genere, il processo si doveva chiudere lì. E invece so­no stato rinviato a giudizio, e ho pure rinunciato alla prescrizio­ne perché voglio giustizia piena: ma il bello deve ancora arri­vare».
Che altro c’è?
«Quando scopre di esser stato registrato a sua insaputa, l’im­prenditore condannato per estorsione in un’altra vicenda, mi minaccia. E così si apre un nuovo procedimento su mia querela, che finisce sempre a Woodcock che chiede e ottiene la condanna dello stesso imprenditore a cui aveva creduto quando mi ha arrestato, con la motivazione che lui, l’imprenditore, aveva accettato di esse­re videoregistrato con l’accor­do, però, che mai avrei potuto utilizzare i video. Una follia. Non solo. Lo steso Woodcock sarà il pm che indagherà sul pm che io avevo attaccato in quel fa­moso dossier. Benevolmente, col senno di poi, posso dire che se avesse tenuto a bada la sua voglia di arrestare il primo vip per concentrarsi di più sul colle­ga c­he oggi è sotto processo a Ta­ranto, sarebbe stato meglio per tutti».
Il processo al suo “nemico” pm a che punto è? «Se prima procedeva spedito al ritmo di una udienza a settima­na, avendo sentito 26 testimoni e acquisiti 15 verbali, adesso con due giudici trasferiti ad al­tra sede rischia di ricominciare daccapo con un altissimo ri­schio di prescrizione. Ed è una vergogna perché dal processo sono emerse cose pazzesche in quella procu­ra, intercetta­zi­oni agghiac­cianti. Ma qui la stampa è narcotizzata, nessuno dà conto di quan­to accade in aula».
La morale di questa storia? «Tornassi in­dietro rifarei tutto, ogni bat­taglia da sin­daco e ogni battaglia da parlamenta­re, a comincia­re da quella sull’autono­mia dell’arma dei carabinie­ri e della guar­dia di finanza che mi portò a scontrarmi nientemeno con Giorgio Napolitano, fermamente contrario al­l’idea che carabinieri e fi­nanzieri do­vessero avere un capo proveniente dal lo­ro interno. Certa magi­stratura mi ha distrutto la vita, ma non mollo. La politica deve avere uno scat­to d’orgoglio, e il partito a cui ap­partenevo, che mi ha subito mollato e a cui non sono più iscritto proprio per questa sua politica prona sui giudici, deve capire che bisogna guardare al­la realtà delle cose, e lottare tut­ti insieme, da destra a sinistra, affinché le mele marce tornino a essere quell’un per cento di tanti anni fa».