Mario Praz, Il Sole 24 Ore 7/4/2013, 7 aprile 2013
CHI SEI TU, BELLA LETTRICE NOTTURNA?
Finalmente ho trovato una cornice per la Donna che s’addormenta mentre legge. Non si tratta d’un quadro d’autore, d’un inedito Vermeer o Terborch, come potrebbe far supporre il titolo; no, questo modestissimo quadretto romantico dipinto su una lamina di zinco non figurerà mai sotto la luce d’un riflettore o alla parete d’un museo. Lo appendo nella camera della mia bambina, tra due altri quadretti d’importanza di poco inferiore, un cane ricamato a punto in croce, e un pappagallo fatto di perline infilate da una tale Marietta Mazzoni la cui grande firma angolosa toglie di mezzo qualunque quesito di attribuzione.
Ora, nella cornice che, a suo modo, è un gioiello di «secondo rococò», tutta curve, cincischi, pennacchi, la damigella d’un secolo fa può dormir davvero sogni dorati tra le tende rossocupe della sua alcova che rendon sontuosa l’ombra, mentre la luce della lampada a petrolio rimasta accesa sul comodino batte in pieno sulla bella che in una posa bizzarra, rococò anche questa, dorme affondata nell’ampio guanciale orlato di gale, e sulla coltre gialla del letto. Una mano riposa sul grembo, proprio sotto a dove la camicia scopre parte del seno destro, l’altro braccio si curva elegante al di sopra del capo, e le dita d’avorio sono leziosamente aperte sul candido lino; due nastri rosa escono dalle chiome brune, un doppio vezzo di perle circonda il collo. Non sarebbe difficile, sottolineando questi bianchi e questi rosa, dei lini, delle perle, delle carni, a contrasto con quella chioma scura, mettere in valore il «pezzo». Ma ciò non fu tentato dalla rigattiera che mi vendette il quadro; e bisogna anche dire che nel negozio esso era ancora velato da un’opaca crosta di vernice ingiallita la cui rimozione dette brividi di scoperta a un amico dilettante restauratore. Non è tuttavia per il volto della bella addormentata – un volto d’odalisca romantica, con le sopracciglia distanti e purissime, e un occhio languido languido che sotto le palpebre abbassate appena s’intravede, – e neanche per la natura morta esibita sul comodino – due libri, uno diritto, uno coricato, su quest’ultimo un mazzetto di rose; due armille, un calice per metà pieno d’un liquido rosa, con un cucchiaino che il pittore ha dimenticato di dipingere al di sotto dell’orlo del bicchiere: – non è per tutto questo che il quadro m’è andato a genio, ma per il libro scivolato di mano alla bella, e aperto lì, tra coltre e guanciale, a una pagina la cui vignetta reca una coppia d’innamorati, lui scuro in ginocchio dinanzi a lei candida.
Donna che s’addormenta mentre legge. La mia Lucia non sa leggere ancora, ma son certo che, quando avrà gli anni di questa giovinetta d’un secolo fa, anche lei dimenticherà sovente le ore del sonno per qualche libro da cui non saprà staccarsi; anche lei, talvolta, si vanterà con l’amica che le ha prestato il volume: «Ci ho passato tutta la notte», anche lei farà le sue orge di letture giacenti che, oso supporre, sono una specialità delle donne. Perché, ci scommetterei, se un orologio figurasse sul comodino della bella addormentata di cui sopra, esso segnerebbe le ore piccole; solo un’eroica saturazione avrebbe potuto far scivolare il libro di mano alla dormiente proprio sul punto in cui gli amanti si confidano la loro mutua passione. A me, lettore lento e parco (in media leggo una pagina mentre altri ne legge tre), tali gesta femminili appaiono circonfuse da un alone di leggenda; e sarei pronto a far la tara a confessioni del tipo: «Ci ho passato tutta la notte», se non sapessi di certa scienza che la cosa accade. Anch’io, sì, tengo un libro sul comodino, ma giuro di non averne mai letto più di quattro pagine per sera senza essere stato vinto dal sonno, onde il senso del libro s’assottiglia come un filo logoro per almeno due delle quattro pagine, e il ricordo della lettura ne resta poi alternativamente preciso e sbiadito, come la copia d una pagina scritta a macchina a una sola interlinea con una carta carbone molto usata. Niente di simile sarà accaduto alla bella d’un secolo fa: avrà letto d’un fiato fino a quel punto, poi la sua mente, alla scena d’amore, avrà divagato in personali reminiscenze, e in fondo a quella prospettiva invece di Cupido avrà trovato Morfeo. E tralascio il piccolo problema del lume a petrolio che, dimenticato dalla dormiente, potrà di lì a poco filare e coprire di tetra fuliggine tutto quel candore di lini, di perle, di carni. (...)
A una sola bella donna sdraiata i pittori, fino al Settecento, mettevano innanzi un libro: alla Maddalena, e il libro, superfluo aggiungere, era un libro devoto (per quanto, dall’aspetto d una Maddalena come quella di Pompeo Batoni, ci si aspetterebbe altro).
A chiunque scrive di storia della moda e del gusto par di toccare il cielo con un dito quando scopre il punto preciso in cui avviene una svolta. Nel caso presente, codesta svolta ci pare di seguirla guardando due ritratti di Madame Récamier. Nell’anno 1800 David dipingeva il famoso quadro della leggiadra Giulietta adagiata su un sofà, coi piedi nudi come una dea, accanto a un alto candelabro di bronzo d’impeccabile forma antica. Il candelabro non reca luce alcuna; la mano della bella signora, inerte lungo il fianco, è vuota. Ventisei anni dopo, François-Louis Dejuinne ripeteva la posa pel ritratto della dama nella sua «cella» all’Abbaye-aux-Bois. L’ambiente non è più rigorosamente classico: la biblioteca, l’arpa, il piano, un tavolo con un vaso di fiori spirano intimità borghese. Qui un candelabro sarebbe fuori posto, mentre possiamo benissimo immaginare sul tavolo una lampada Carcel o magari, se non fosse ancora troppo presto, un lume a petrolio. Il sofà su cui è adagiata la dama è press’a poco il medesimo del quadro del David; ma la mano della bella lungo il fianco non è più vuota: regge, naturalmente, un libro. E non per darsi un contegno, non in cambio d’un mazzolin di fiori. Gli scaffali colmi di volumi dietro la dama la dichiarano divoratrice di libri. Ma – notate il punto, e absit iniuria verbo – la posizione della dama è orizzontale. Dal principio dell’Ottocento in poi la donna della buona società si corica con un libro; siam certi che leggendo farà le ore piccole. Il letto, il sofà, l’amaca, in mancanza d’altro il fresco giaciglio dell’erba, sono i consueti concomitanti della lettura. Poi, a un certo momento, il libro scivolerà di mano, e la vicenda continuerà nel sogno.