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 2013  aprile 07 Domenica calendario

LA DIVINA SCIENZA DEI DADI

«Può darsi che io non sia degno di essere elogiato in nulla, ma è certo che merito di esser biasimato per essermi dato al gioco degli scacchi e dei dadi senza impormi alcun freno», confessa Gerolamo Cardano nell’autobiografia De vita propria ricordando i lunghi anni in cui ha dato libero corso alla sua sfrenata passione per il gioco d’azzardo. Più di quaranta dedicati agli scacchi, oltre venticinque ai dadi.
«E in tanti anni ho giocato, mi vergogno a dirlo, ogni giorno. Così ho dilapidato contemporaneamente la mia reputazione, il mio tempo e il mio denaro», rimpiangerà in vecchiaia. Medico che può vantare tra i suoi pazienti uomini di chiesa e teste coronate, grande matematico che con l’Ars magna (1545) ha inaugurato una nuova stagione dell’algebra varcando le colonne d’Ercole della scienza greca, interprete di sogni e facitore di oroscopi, inventore di marchingegni meccanici come il giunto e la sospensione che portano il suo nome, Cardano è una delle figure più originali e stravaganti del Rinascimento. La sua vita è un succedersi di eventi straordinari, di successi che diffondono la sua fama in Europa, e di disgrazie che si abbattono sui figli finché, incarcerato con l’accusa di eresia, finisce i suoi giorni a Roma come pensionato del Papa. Nella sua sterminata produzione figura anche il De ludo aleae, un libro sul gioco dei dadi. «Sfortunato ai dadi al punto di dover impegnare i gioielli di mia moglie e le suppellettili», confessa Cardano, «per qual ragione chi gioca, ama i dadi ed è insieme scrittore non dovrebbe trattarne? E forse vale anche qui il detto ex ungue leonem», egli scrive di sé senza falsa modestia, vantandosi di avere spiegato «che cosa sia il fato e come si esplichi» e rivelato «la causa di fenomeni straordinari». Non mancano oscurità in quel libro e l’assenza di un adeguato simbolismo matematico rende molti passi di difficile interpretazione.
Ma di fatto in quel trattato Cardano rivela una sicura padronanza di concetti fondamentali, a cominciare dal principio che un gioco di dadi è equo se gli eventi sono equiprobabili, e dall’idea che la probabilità di un evento è data dal rapporto tra il numero dei casi favorevoli e il numero totale dei casi ugualmente probabili, il «circuito» lo chiama Cardano. Riesce a trovare la formula della probabilità del numero dei casi favorevoli nella ripetizione di lanci di dadi un numero di volte qualsiasi, e sostiene che quando un giocatore ha la probabilità p di vincere una certa posta P, allora p x P è l’ammontare corretto della somma da scommettere, la sua speranza matematica, diremmo oggi. Infine, Cardano formula per la prima volta, anche se in forma rudimentale, la cosiddetta legge dei grandi numeri: se nel lancio di dadi la probabilità di un evento è p, allora ripetendo un numero n abbastanza grande di lanci il numero di volte in cui l’evento si ripresenta non è molto lontano n x p.
All’epoca giochi d’azzardo con carte e dadi non appassionano solo Cardano. Quando il suo libro esce (postumo) a stampa nel 1663 il gioco dei dadi (e il calcolo delle relative combinazioni) è stato oggetto di un celebre scambio di lettere tra Pierre Fermat e Blaise Pascal, al quale il cavalier de Meré, accanito giocatore parigino, ha sottoposto il problema seguente: come si deve suddividere la posta tra due o più giocatori se, di comune accordo, dopo un certo numero di partite smettono di giocare prima che qualcuno abbia vinto l’intera posta? Si tratta del cosiddetto «problema delle parti» che Christian Huygens enuncia fin dall’introduzione, e poi discute lungamente, in un libro ancora una volta dedicato ai calcoli inerenti al gioco dei dadi, De ratiociniis in ludo aleae (1657), scritto per mostrare «quanto si estenda la divina scienza dell’analisi». Ed è proprio il libro di Huygens, arricchito di lunghe Adnotationes, a costituire la prima parte dell’Ars conjectandi (1713) di Jakob Bernoulli, una pietra miliare nella storia della probabilità. Seguace di Leibniz e originale interprete, col fratello Johann, del calcolo differenziale che applica a una quantità di problemi di meccanica, Jakob Bernoulli lavora per anni a quest’opera che vede la luce solo postuma, otto anni dopo la sua morte. Quando tratta il problema delle parti, Huygens osserva che in primo luogo si devono considerare le partite che ancora mancano a entrambi i giocatori.
Se, per esempio, uno ha vinto due partite su tre, e l’altro una sola, allora se si interrompe di comune accordo il gioco al primo toccano i tre quarti della posta, e un quarto al secondo. «Per ogni singola partita successiva, la probabilità che la fortuna continui a favorire quel giocatore che finora ha favorito non è affatto maggiore della probabilità che la fortuna arrida ora a chi prima è stato sfortunato», commenta Bernoulli. «Penso che questo debba essere sottolineato contrariamente alla ridicola opinione di molti», sostiene Bernoulli. Una ridicola opinione condivisa ancora oggi da chi, giocando al lotto, si affida ai numeri «ritardatari». In quelle pagine è introdotta anche una successione di numeri razionali correlati alla somma di potenze di interi successivi, i cosiddetti «numeri di Bernoulli», che hanno trovato una sorprendente quantità di applicazioni in matematica, e gli consentono di vantarsi di aver calcolato la somma delle decime potenze dei primi mille numeri «in meno della metà di un quarto d’ora». A coronamento della sua opera Huygens aveva proposto cinque problemi, dei quali si era limitato a fornire le risposte ma non il modo di ottenerle.
Nella soluzione di quei problemi Bernoulli presenta e dimostra la legge dei grandi numeri, «qualcosa cui nessuno ha pensato finora», un teorema al quale confessa a Leibniz di «aver meditato per vent’anni». Come fare, si chiede Bernoulli, quando si tratta di eventi in cui le cause sono nascoste e impossibile il computo dei casi ugualmente probabili? L’idea di Bernoulli è di determinare la probabilità a posteriori: «Bisogna presumere che un particolare evento si realizzerà o no nel futuro tante volte quante si è osservato che, in simili circostanze, quell’evento si è verificato o meno nel passato». Si può giungere arbitrariamente vicino alla «certezza morale» aumentando il numero delle osservazioni empiriche. «Anche il più stupido, senza nessuna istruzione, per qualche istinto naturale si convince che tanto più numerose sono le osservazioni fatte, tanto minore è il pericolo di allontanarsi dallo scopo», afferma Bernoulli. E il simbolismo matematico gli consente di tradurre quest’idea in una formula, determinando in maniera rigorosa i limiti «vicini tra loro quanto si vuole» che racchiudono il vero valore della probabilità.