Luca Veronese, Il Sole 24 Ore 7/4/2013, 7 aprile 2013
A LISBONA È SFIDA ALL’AUSTERITY
La Corte costituzionale portoghese ha bocciato quattro misure di austerity introdotte dal governo conservatore giudicandole inique. La decisione aggrava le difficoltà di Lisbona nel rispettare il percorso di risanamento dei conti pubblici concordato con l’Unione europea e con il Fondo monetario nel 2011 in cambio dei 78 miliardi di euro del salvataggio internazionale.
Secondo le prime stime del governo, confermate dalle analisi di alcuni economisti, la stroncatura della Corte apre nel bilancio pubblico un buco di almeno un miliardo di euro, tra minori entrate e mancate riduzioni della spesa. La legge finanziaria per il 2013 - la più dura nella storia del Paese per stessa ammissione del premier Pedro Passos Coelho - dovrà ora essere rivista. Valeva circa cinque miliardi di euro: circa il 3% del Pil del Paese che supera di poco i 170 miliardi di euro. Il Portogallo deve infatti riuscire a tagliare il deficit pubblico al 5,5% del Pil dal 6,4% con il quale ha chiuso il 2012, quando pur mancando gli obiettivi dichiarati venne elogiato da Bruxelles e dall’Fmi per gli sforzi compiuti in piena recessione. Mentre l’obiettivo del 3% è slittato al 2015.
Era stato lo stesso presidente della Repubblica portoghese, Anibal Cavaco Silva, anch’egli conservatore, a sottoporre la legge di bilancio alla valutazione della Corte Costituzionale per verificare se le misure anticrisi contenute nel testo fossero conformi alla Costituzione, soprattutto sull’equità nella distribuzione dei sacrifici: «Ci sono perplessità sulle misure di austerity per il 2013, alcune persone saranno colpite più di altre», aveva spiegato Silva, firmando comunque la legge finanziaria per evitare ulteriori tensioni sui mercati.
I giudici hanno respinto quattro delle nove misure che avevano suscitato i dubbi del presidente portoghese: bocciato il taglio della 14esima mensilità per i dipendenti pubblici; la riduzione delle pensioni sempre nel pubblico impiego; i tagli ai sussidi di disoccupazione; la riduzione dei congedi per malattia. «Bloccare i pagamenti dei dipendenti pubblici comporta una violazione del principio di eguaglianza e del principio di equa distribuzione delle tasse», ha dichiarato il presidente della Corte costituzionale, Joaquim Sousa Ribeiro.
Il governo portoghese è stato convocato ieri d’urgenza per ridefinire le misure del budget bocciate. Secondo molti osservatori la manovra finanziaria potrà essere modificata senza troppe difficoltà dal punto di vista tecnico. «Non credo che ci saranno problemi nel mettere a posto le cose. Stiamo parlando di una revisione che vale pochi punti percentuali della spesa pubblica complessiva del Paese», dice Joao Cantiga Estevens, economista all’Universidade Tecnica de Lisboa.
Ma il Portogallo rischia la crisi politica che potrebbe vanificare gli sforzi fatti dal Paese per riconquistare credibilità sui mercati e allontanare la ripresa economica. Giovedì il premier Passos Coelho ha dovuto superare il voto di fiducia del Parlamento voluto dall’opposizione socialista che chiede da mesi la rinegoziazione delle condizioni del salvataggio internazionale e la fine dell’austerity. «Se abbandoniamo la strategia di risanamento saremo alla deriva nella tempesta», ha ripetuto il ministro delle Finanze, Vitor Gaspar in Parlamento ricordando gli impegni fissati dal «memorandum d’intesa» con la troika Ue-Fmi-Bce. «Il governo dovrà lavorare duramente per rifare il budget e dovrà discuterne di nuovo con Ue e Fmi. Non credo che ci saranno svolte radicali», afferma Antonio Costa Pinto, politologo dell’Universidade de Lisboa, sottolineando che la situazione sarebbe stata ben più grave se la Corte avesse bocciato tutte le nove misure contestate lasciando nel bilancio un buco di oltre tre miliardi di euro.
Il Portogallo è entrato nel suo terzo anni di recessione, il tasso di disoccupazione ha superato il 18% e sta crescendo anche la protesta di piazza. Quello che per la troika è un modello da seguire si sta sempre più trasformando in un banco di prova per il rigore imposto da Bruxelles. Ma almeno in parte bocciato dai giudici costituzionali portoghesi.